La geologia dell’Etna | UnictMagazine

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La storia e l’evoluzione del territorio etneo, con particolare attenzione all’impatto di tali dinamiche sul processo di civilizzazione della regione, sono stati i temi al centro del seminario dal titolo La geologia dell’Etna, organizzato nei giorni scorsi al Palazzo Ingrassia del Dipartimento di Scienze della Formazione nell’ambito delle attività del corso di laurea magistrale in Progettazione del turismo sostenibile, culturale e naturalistico.

Ad intervenire Stefano Branca, direttore dell’Osservatorio Etneo-Ingv, che ha analizzato come i fenomeni vulcanici quali le eruzioni dell’Etna e movimenti sismici abbiano influito sul paesaggio, sulle risorse naturali e sulle abitudini della popolazione che ha abitato l’area nel corso dei secoli.

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In foto il dott. Stefano Branca

La metodologia di studio del territorio

Nella prima parte dell’incontro, di carattere metodologico, il dott. Stefano Branca ha evidenziato l’importanza della collaborazione interdisciplinare tra archeologia e geologia, sottolineando come “l’integrazione di queste due discipline sia fondamentale per una comprensione più completa e accurata dei processi storici e ambientali che hanno plasmato il territorio etneo”.

“Frequentemente, chi non opera nel campo della vulcanologia, tende a esagerare e a interpretare come eventi catastrofici fenomeni naturali che, in realtà, rientrano nella normale attività del vulcano – ha aggiunto -. Tali fenomeni, che nel corso della storia si sono periodicamente manifestati, non devono essere considerati come eccezioni straordinarie, ma come eventi naturali che, proprio attraverso il loro manifestarsi, hanno contribuito alla continua modificazione e alla dinamica evolutiva del vulcano stesso”.

“Il nostro vulcano, infatti, è uno dei più attivi al mondo, e ha subito un’evoluzione geologica complessa che ha profondamente modificato il suo paesaggio nel corso dei millenni – ha spiegato -. La Valle del Bove, una delle caratteristiche più iconiche del vulcano, non esisteva inizialmente. La sua formazione è il risultato di una frana colossale avvenuta in epoche relativamente recenti, la cui datazione è stata precisata grazie agli studi geochimici e stratigrafici condotti dall’Ingv. Questo evento ha dato origine a una depressione di circa 5 chilometri di larghezza, che continua a evolversi con l’attività vulcanica”.

“Nel corso della storia geologica dell’Etna, l’attività eruttiva si è caratterizzata da flussi di lava che, in passato, si estendevano fino alle zone costiere e coprivano ampie aree al di sotto dei 1100 metri di altitudine – ha proseguito il direttore dell’Oe-Ingv -. Tuttavia, negli ultimi secoli, si è osservata una modifica del comportamento eruttivo: le eruzioni si sono concentrate principalmente nella parte superiore del vulcano, sopra i 1100 metri, nei pressi dei crateri sommitali”.

Studio dell'Etna

Una slide riguardante lo studio dell’Etna

“Questo cambiamento ha portato a una riduzione dei flussi di lava che raggiungono le aree periferiche, ma ha contemporaneamente aumentato la pericolosità delle eruzioni in prossimità dei crateri, come dimostrato dalle eruzioni più recenti”, ha proseguito.

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“Le popolazioni che abitano i versanti dell’Etna, nel corso dei secoli, hanno sviluppato una certa sottovalutazione dei rischi vulcanici, spesso dovuta alla percezione che l’attività eruttiva fosse limitata e controllata – ha aggiunto -. Tuttavia, l’evoluzione dell’attività vulcanica, con un potenziale ritorno a fasi eruttive particolarmente violente rappresenta un rischio crescente, soprattutto a causa dell’urbanizzazione intensiva nelle zone vulnerabili”.

“Secondo i dati più recenti, circa 600mila persone vivono nelle aree a rischio eruzione, e la densità abitativa nelle zone ai piedi del vulcano è tra le più alte in Europa – ha precisato -. In caso di un ritorno a eruzioni particolarmente devastanti e disperse in aree più  vaste, le conseguenze per le comunità locali e per le infrastrutture potrebbero essere gravi, con difficoltà nell’implementazione di soluzioni di mitigazione efficaci. La gestione del rischio vulcanico nell’area etnea, quindi, continua a rappresentare una sfida complessa, che richiede approcci interdisciplinari tra geologi, urbanisti e autorità locali per sviluppare piani di protezione e prevenzione adeguati”.

Il quadro delle eruzioni

Il quadro delle eruzioni dal 1670 al 2019

Evoluzione della vulcanologia e le Carte geologiche

Nel corso del seminario Stefano Branca ha approfondito anche l’evoluzione della vulcanologia e la progressiva trasformazione delle carte geologiche, con particolare riferimento alla storia delle cartografie vulcaniche dell’Etna. Ha analizzato la realizzazione della prima carta geologica dell’Etna, risalente al XIX secolo, attribuita al geologo Giuseppe Sciuto Patti (1795-1859).

“Questa carta, pur essendo pionieristica per l’epoca, presentava numerosi limiti metodologici, in quanto non considerava l’intera gamma delle discipline geologiche – ha detto -. Sciuto Patti si era infatti basato principalmente su dati incompleti e fonti non sempre verificate, il che comprometteva l’affidabilità delle sue conclusioni”.

Branca ha poi discusso dell’opera di Alfred Ritmann (1884-1973), uno dei vulcanologi più noti del XX secolo, che, pur avendo contribuito significativamente alla conoscenza delle dinamiche vulcaniche, aveva utilizzato per la sua carta geologica informazioni risalenti alla pubblicazione di Sciuto Patti, le cui teorie erano state già smentite nei decenni precedenti.

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“Nonostante ciò, la carta di Ritmann continuò ad essere utilizzata come riferimento fino agli anni 2000, il che appare oggi incredibile, considerando che essa si basava su dati del XIX secolo ormai obsoleti”, ha precisato.

La carta di Sciuto Patti

La carta di Sciuto Patti

“Fortunatamente, negli ultimi decenni, l’Ingv ha intrapreso un’accurata revisione della cartografia vulcanica dell’Etna – ha detto Stefano Branca -. Grazie all’incrocio di informazioni provenienti da diverse discipline scientifiche, tra cui la geofisica, la geochimica e la geologia, gli studiosi dell’INGV sono riusciti a produrre una carta geologica aggiornata e affidabile, fondata su dati recenti e provenienti da fonti verificate. Questo lavoro ha segnato un importante passo avanti nella comprensione e monitoraggio delle dinamiche vulcaniche, garantendo una base solida per le future ricerche e per la gestione del rischio vulcanico”.

“Recentemente uno dei progetti in cui l’istituto è attivamente coinvolto riguarda lo sviluppo e l’implementazione di sistemi di early warning – ha spiegato -. Questi sistemi di monitoraggio automatico sono progettati per rilevare, in tempo reale, variazioni nei parametri geofisici e geochimici registrati dalle stazioni di monitoraggio, al fine di inviare avvisi tempestivi riguardo a fenomeni eruttivi imminenti, come ad esempio eruzioni esplosive. La tecnologia si basa su algoritmi complessi che analizzano i segnali provenienti dalle reti di sorveglianza per identificare pattern anomali che indicano un aumento della probabilità di eventi eruttivi”.

“L’Ingv, inoltre, collabora attivamente con la Protezione Civile per integrare questi sistemi di allerta nei protocolli di gestione del rischio vulcanico, migliorando la tempestività e l’efficacia delle operazioni di evacuazione e di protezione delle popolazioni – ha proseguito -. Questo approccio multidisciplinare rappresenta una delle principali innovazioni applicative nell’ambito della ricerca vulcanologica, con un impatto diretto e pratico sulla sicurezza pubblica. La crescente efficacia dei sistemi di early warning, unita alla continua evoluzione delle tecnologie di monitoraggio, sottolinea l’importanza di un forte legame tra ricerca scientifica e applicazioni operative nel campo della protezione civile e della gestione del rischio”.

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La carta di Sciuto Patti

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