Alloggi popolari «prima ai veneti», la legge va cambiata: «Se la norma è illegittima, ci adegueremo»

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di
Alice D’Este

Sentenza a Padova dopo lo stop della Consulta. Battaglia sui punteggi aggiuntivi a chi risiede da più tempo in regione

Il requisito di accesso ai bandi per le case popolari che richiedeva la residenza nella regione per almeno 5 degli ultimi 10 anni è incostituzionale e deve essere rimosso dalla legge regionale e dai regolamenti che ne discendono. Non solo. Anche i meccanismi di punteggio che nelle graduatorie premiavano la residenza in Veneto, talvolta in modo spinto, sono stati dichiarati «di carattere discriminatorio».
È un nuovo stop, su tutti i fronti, quello sancito dalla sentenza del 2 gennaio del tribunale di Padova, dopo il responso della Corte Costituzionale che già ad aprile scorso aveva giudicato illegittimo il requisito in questione e che ora evidenzia – si legge nel dispositivo – la necessità «di modificare il regolamento regionale eliminando (…) qualsiasi clausola che impedisca l’accesso alle graduatorie sulla base degli anni di residenza pregressi nella Regione».

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Corazzari: «Ci adegueremo»

Come a dire che, a questo punto, è il caso di passare dalle parole ai fatti, cancellando definitivamente dal regolamento e dalla legge regionale quelle righe. Un’indicazione che appare inappellabile. «Una volta stabilito che la legge regionale non rispetta il principio Costituzionale non c’è altra strada che adeguarsi — conferma Cristiano Corazzari, assessore all’Edilizia residenziale pubblica della Regione del Veneto — il principio del regolamento che attribuisce una premialità nel punteggio alla residenza ci pare invece perfettamente legittimo e su quello ci appelleremo». Su quest’ultimo passaggio è stato molto chiaro il 7 gennaio anche il presidente della Regione. «Noi andiamo avanti fino alla fine — ha detto Luca Zaia — non capisco perché un amministratore di una comunità non possa occuparsi dei propri cittadini. Siamo una comunità ospitale, cosmopolita e inclusiva, siamo abituati ad esserlo per ragioni storiche. Pensiamo “prima ai veneti” (come nello slogan usato in campagna elettorale ndr) a prescindere dal loro colore di pelle, dal loro credo religioso e dal loro censo. Che senso ha però che a parità di requisiti mi resti in strada un cittadino che è qui in Veneto e si dia invece una casa a qualcuno che in Veneto viene solo a farci un giro?».




















































La battaglia sui punteggi

Sul fronte dei punteggi si preannuncia dunque dura battaglia. Il secondo punto della sentenza del tribunale di Padova giudica infatti illegittimi nelle graduatorie anche i «punteggi aggiuntivi attribuiti a chi abbia risieduto per oltre 10 anni e per oltre 30 anni in Veneto». Ed è proprio quello che il presidente Zaia, come dice lui, – da buon padre di famiglia- cercherà di difendere. Si appresta a fare altrettanto il Comune di Venezia per i punteggi relativi alla graduatoria comunale. «Ricorreremo — fa sapere infatti anche Simone Venturini, assessore alle politiche della residenza del Comune di Venezia — riteniamo che il punteggio dato alla stabilità di permanenza nel Comune sia un criterio più che legittimo. Diventerebbe assurdo dare la casa ad un cittadino di Pordenone, di Napoli, dello Sri Lanka e lasciare “a piedi” tanti veneti. Ci troveremo con l’avvocatura civica per trovare una soluzione anche perché altrimenti il rischio è quello che un comune come Venezia, con 5.500 case a disposizioni diventi il collettore della marginalità di tutto il Veneto».

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I ricorsi

«Il Comune rifaccia al più presto il bando, migliaia di famiglie e di persone sono attesa» dice Gianfranco Bettin consigliere comunale. La problematica dell’adeguamento dei bandi a livello comunale si porrà ora anche per altri comuni minori, tenendo conto che Padova, Rovigo, Vicenza e Verona hanno cancellato dai requisiti di partecipazione i cinque anni di residenza anagrafica in autotutela già quando era stato aperto il caso, in primavera.
Tutto era partito lo scorso anno da una serie di ricorsi presentati da alcuni partecipanti ai bandi. Uno dei primi ad opporsi all’esclusione era stato Gustavo Garcia, sociologo venezuelano ed ex docente universitario, ricercatore del Dipartimento di filosofia, sociologia pedagogia dell’Università di Padova, che tramite il suo legale Marco Ferrero si era rivolto al tribunale per chiedere indicazioni sulla legittimità della norma che lo aveva escluso da un bando veneziano.

Un tema politico

«È un successo importante che aveva già dei precedenti in altre regioni ma che è arrivato a compimento anche qui — spiega l’avvocato Marco Ferrero, che si è occupato del ricorso insieme alle associazioni Asgi, Razzismo stop, Sunia — siamo arrivati a questo punto perché dopo il pronunciamento della Corte costituzionale la Regione non si è adeguata. Adesso non ci saranno più dubbi. Abbiamo deciso di non ricorrere invece per i bandi già portati a termine del Comune di Venezia (100 le case già assegnate ndr), per non innescare una “guerra tra poveri”. Tanto più che il tribunale non ha suggerito di togliere del tutto la premialità legata alla residenza ma di commisurarla alle esigenze dei bandi». Il tema a questo punto diventa squisitamente politico. «Lo Stato ha il dovere di far corrispondere ad un bisogno sociale, una risposta? – si chiede Ferrero – se la risposta è sì devono esserci regole comuni. Il problema non sta nel criterio in sé ma nel rischio discriminazione che vi era legato».

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8 gennaio 2025



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