«Qualunque cosa faccia il nuovo governo della Siria non potrà fare peggio di Bashar al Assad». È categorico padre Khalil (nome di fantasia), direttore di una struttura sanitaria di Damasco gestita dalla sua Congregazione. Incontro il religioso, siriano di Hama, nella chiesa del piccolo ospedale, pulito e in ordine in maniera impeccabile. Padre Khalil racconta di come le tasse richieste dal governo di Assad alla struttura nell’ultimo anno fossero aumentate di trenta volte. «Così, senza motivo, solo per l’avidità di Bashar. Abbiamo già pagato la prima rata, vedremo quanto dobbiamo pagare per la seconda, e a chi».
Intanto il costo delle derrate alimentari è sceso di molto nelle ultime tre settimane, «e questo è già un fatto positivo: negli ultimi anni il costo della vita è aumentato vertiginosamente ed ora la Siria si trova ad affrontare fame e povertà», continua il religioso. L’ingordigia della nuova generazione degli Assad è un dato che mette tutti d’accordo; secondo padre Khalil, cresciuto sotto il padre di Bashar, Hafez, il vecchio dittatore non aveva questo vezzo. «Di politica Bashar non capisce niente. Lui, la moglie Asma, il fratello Maher si sono enormemente arricchiti affamando il popolo siriano, oltre che naturalmente col traffico di droga e altri affari illeciti. Ho visto un video di un tale che è entrato nella camera del figlio di Bashar e ha rubato tutti i vestiti: ha trovato completi coi bottoni d’oro. Bashar ha sbagliato su tutta la linea e ora nessuno lo rimpiange, nemmeno chi ideologicamente stava dalla sua parte».
Mohammed Abazeed, Ministro delle finanze del governo provvisorio a guida Hayat Tahrir al Sham, ha dichiarato alla Reuters di voler aumentare i salari del settore pubblico del 400% a partire da questa settimana, come «primo passo verso la soluzione dell’emergenza economica del Paese». Nell’ultimo periodo del regime di Bashar i salari degli impiegati governativi a ogni livello erano scesi fino a 25 dollari USA al mese, cifra considerata ben al di sotto della soglia di povertà. Secondo il Ministro delle finanze il governo provvisorio stilerà entro tre mesi un piano di tassazione che porterà a esentare i contribuenti da more e interessi e a garantire tasse eque per tutti. Le bozze del nuovo piano finanziario, ha dichiarato Abazeed, saranno pronte tra quattro mesi e la riorganizzazione fiscale entro la fine dell’anno: tre mesi è la durata dichiarata del governo provvisorio di transizione, ma al Jolani e i suoi pensano già al lungo periodo. Frattanto è lecito chiedersi dove saranno reperite le risorse necessarie a tali misure, tenendo anche conto dei danni economici provocati dalle sanzioni e della svalutazione della Lira siriana. Inevitabilmente i nuovi leader della Siria dovranno ricorrere ad aiuti internazionali per realizzare il piano, oltre che servirsi di «risorse interne del Paese, nuovi investimenti e recupero di patrimoni siriani congelati all’estero».
Sotto gli Assad la Siria aveva una caratteristica in comune con i Paesi moderni, cioè la laicità dello Stato. Politicamente affiliato a Ba’th, partito socialista arabo non confessionale, e di fede alawita, una branca dello sciismo islamico, quando prese il potere nel 1971 Hafez al Assad instaurò inizialmente quello che è stato definito un “regime leninista militare”. Legami stretti con Mosca e con l’Iran, la Siria degli Assad ha rispecchiato per un cinquantennio le contraddizioni dei suoi leader ma è sempre stata agli antipodi dell’estremismo islamico, che Hafez e poi Bashar hanno represso nel sangue e combattuto fino all’ultimo.
Fa una certa impressione dunque vedere ora la moschea degli Ummayadi sorvegliata, per la preghiera del venerdì, non più dai carri armati russi come pochi anni fa, ma dagli uomini a volto coperto di al Jolani. Scena ancor più inusitata, il grido “Allah akbar” (Allah è il più grande) scandito dalla folla all’uscita della moschea dopo la preghiera, assieme allo sventolio di bandiere a tre stelle e al gesto del “takbir”: l’indice puntato al cielo (qui sotto nella foto) a significare la fede nell’unico Dio, Allah, tipico del militantismo islamico ed usato in particolare dai jihadisti. Tra le tante bandiere del nuovo regime siriano, spunta qua e là davanti alla moschea degli Ummayadi anche quella della Shahada, il cui utilizzo si fa risalire ai tempi di Maometto. Simbolo delle conquiste arabo-islamiche, originariamente con scritta bianca su sfondo nero, la bandiera è stata ripresa da Hayat Tahrir al Sham nella versione psicologicamente edulcorata già diffusa in anni recenti dai talebani: scritta nera su sfondo bianco.
L’impressione è quella di un balzo all’indietro di oltre cinquant’anni, ma mi aveva del resto avvertito in tal senso un padre francescano di Damasco tornato di recente nella città natale di Idlib dopo tredici anni di assenza. Ha accompagnato padre Ibrahim Faltas, Vicario della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, ed altri religiosi cristiani siriani all’incontro a Palazzo Presidenziale con Ahmed Shara Al Jolani e poi nella regione di Idlib, dove gli estremisti islamici governano sotto la denominazione di “Governo di salvezza siriano” dal 2017.
Gli chiedo come ha trovato la città dopo tanti anni di assenza: «La città è profondamente cambiata. Ho visto tante nuove costruzioni, strade, ponti, palazzi, decisamente non è più la città arretrata e semidistrutta che ho lasciato. Pensi che, distrutti chiesa e convento, a quei tempi dormivo nel campanile per cercare riparo dalle bombe di Assad che miravano ai jihadisti. Le donne però ora girano col niqab (in foto a sinistra), la versione dell’hijab che copre tutto il corpo e lascia solo una fessura per gli occhi».
Sembra confermato che anche nella non lontana città di Aleppo le cose vadano in questa direzione: recentemente è stata avvistata per le strade di un quartiere cristiano una macchina con altoparlante che chiedeva agli uomini di separarsi dalle donne e a queste ultime di coprirsi il capo. Non ho avuto poi bisogno di ulteriori conferme: nell’affollatissimo souq Hamidiyeh, proprio alle spalle della moschea degli Ummayadi, un ragazzo mi ha indicato un banco di hijab, sciarpe, foulard e cappelli invitandomi ad acquistarne uno per coprirmi il capo. Ho sorriso gentilmente: sono cristiana, niente velo, almeno per ora.
© Photo Elisa Gestri per la Nuova Bussola Quotidiana
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