Da Agrigento a Gibellina, ecco a voi la derelitta e rissosa cultura siciliana

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La Sicilia è diventata palcoscenico di velleità e narcisismi, specialmente quando ci sono soldi di mezzo. Ciò che manca è una personalità che dia un indirizzo forte e sapiente a queste manifestazioni, per valutare con serietà ogni idea e progetto legato alla gestione dei grandi eventi culturali


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E sì, ricordo bene quel giorno degli anni Sessanta quando il giovane scrittore irruppe nella stanza di Vittorio Nisticò, mitico direttore de L’Ora, e diede sfogo a un suo “vibrato risentimento” contro un articolo scritto dal grande Leonardo Sciascia per “Quaderni” la raffinata rubrica che l’autore del “Giorno della civetta” firmava puntualmente ogni settimana. “Scrive cazzate, solo cazzate”, urlava il giovane scrittore mentre sgranava la sua filippica gonfia di dissenso e contumelie contro il Maestro di Regalpetra. Nisticò lo ascoltò con amorevole irritazione. Poi, con quel cinismo docile e dolce che solo lui riusciva a miscelare, tagliò corto con queste parole: “Va bene, chiudiamo il discorso: Sciascia scrive cazzate; tu scrivi e non si capisce un cazzo… e questa è la cultura siciliana”. Gli ardori e i furori del giovane e promettente scrittore finirono lì

Già. Ma dove sta di casa oggi la cultura siciliana? Le ambizioni di Agrigento sono finite in un fosso, coperte da una lapide di lamiera sulla quale un ignoto asino dell’Anas, volendo indirizzare gli automobilisti verso la terra di Luigi Pirandello, è riuscito a collezionare due sgrammaticature in appena quattro righe. Gli sberleffi sono partiti dal Corriere della Sera e si sono propagati a macchia d’olio su tutta la stampa. Sono seguite indignazioni e suggerimenti. Non ultimo quello di Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia, che ha auspicato addirittura un commissariamento di tutta la macchina organizzativa di “Agrigento, Capitale italiana della Cultura per il 2025”. Intanto, alla Valle dei Templi aspettano la visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, già in agenda per il 18 gennaio. La speranza di una resipiscenza esiste. Chi vivrà vedrà.

Sono finite in una miserabile rissa da cortile anche le ambizioni di Gibellina, la cittadina del trapanese distrutta dal terremoto del ’68, individuata dal ministro Alessandro Giuli come Capitale dell’Arte contemporanea per il 2026. L’annuncio ha risvegliato, manco a dirlo, velleità e narcisismi; provincialismi fuori controllo e una voglia matta di alcuni santoni locali di attirare su di sé le luci della ribalta. Non solo. I soldi messi a disposizione hanno scatenato improvvise rivalità e inimmaginabili appetiti. Con la conseguenza funesta di avere spinto alle dimissioni da presidente della Fondazione Orestiadi, cuore pulsante di Gibellina, l’ex deputato della Dc, Lillo Pumila, l’unico intellettuale che avrebbe potuto dare sostanza e spessore al programma che la città, segnata dal Cretto di Burri e dalle sculture di Pietro Consagra, dovrà comunque mettere in moto da qui all’anno prossimo. Ma tant’è.

Lo scivolone di Agrigento e il vuoto di Gibellina rimandano purtroppo a un problema antico e all’un tempo grande come una casa. In Sicilia – e in particolare nei palazzi della Regione siciliana, che è la principale fonte di finanziamento – purtroppo non c’è una figura carismatica in grado di dare un indirizzo forte e sapiente a queste manifestazioni. Non c’è una personalità in grado, con il proprio prestigio e la propria autorevolezza, di contrastare trame oscure e opacità amministrative, di spegnere sul nascere le risse da campanile, di valutare con serietà e competenza ogni idea e ogni progetto, di scegliere le persone più adatte e più attrezzate per la gestione della cultura e dei grandi eventi legati alla cultura.

Succede invece che questi importanti appuntamenti siano stati trasformati, da una classe politica avventata e avventurosa, in una formula aritmetica che porta, nei luoghi designati, tantissimi “piccioli” da distribuire a pioggia tra i clienti della parrocchietta; o da spartire tra pagnottisti, faccendieri e mezze calzette. Torna alla memoria la rozza operazione di potere costruita da Gaetano Galvagno, presidente dell’Assemblea regionale, attorno alla Fondazione Federico II. L’istituzione culturale di Palazzo dei Normanni – tra i suoi tesori annovera la Cappella Palatina, famosa in tutto il mondo – è senza direttore dal marzo 2024. Licenziata con una pec di tre righe Patrizia Monterosso – un insopportabile cervello pensante, almeno per i gerarchi di Fratelli d’Italia –  la Fondazione viene gestita direttamente da Galvagno e dalla sua corte politica. Povera Sicilia. Palcoscenico, ancora una volta, di insopportabili sfregi e di indicibili miserabilità.
 





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