può testimoniare in un processo per spaccio?

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È valida la deposizione di chi acquista e fa uso di sostanze stupefacenti? I clienti dello spacciatore sono costretti a testimoniare contro il pusher?

Lo spaccio di sostanze stupefacente è un reato molto grave punito con diversi anni di reclusione. La maggior parte delle volte i procedimenti terminano con la condanna del pusher, il quale è stato sorpreso in flagranza di reato dalla polizia oppure è stato inchiodato dai propri “clienti”, cioè da coloro che hanno acquistato la droga da lui. In questo contesto si pone il seguente quesito: un tossicodipendente può testimoniare in un processo per spaccio?

In effetti, il consumo di stupefacenti non costituisce reato ma solo un illecito amministrativo. Ciononostante, chi è invitato dalla polizia a rendere dichiarazioni che possano incastrare lo spacciatore potrebbe avere remore a rispondere, visto che l’ammissione di tossicodipendenza – o, più in generale, del consumo di droghe – può avere conseguenze negative sulla vita del teste, ad esempio in ambito familiare o lavorativo.

In buona sostanza, chi è chiamato a deporre in quanto cliente dello spacciatore potrebbe preferire di tacere o mentire per non macchiare la propria reputazione. Tale condotta sarebbe legale oppure la testimonianza per il reato di spaccio è obbligatoria? Approfondiamo l’argomento.

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Spaccio: come si prova il reato?

Il reato di spaccio può essere provato in diversi modi: si va dall’arresto in flagranza sino al sequestro di un quantitativo di droga incompatibile con l’uso personale.

Da quest’ultimo punto di vista, la giurisprudenza ritiene che la detenzione finalizzata allo spaccio possa evincersi non solo dal quantitativo di stupefacente ma anche dalle modalità di detenzione.

Può essere incriminato tanto colui che viene trovato in possesso di una coltivazione di marijuana quanto chi conserva poche dosi evidentemente “pronte” per essere vendute, ad esempio perché suddivise meticolosamente con l’aiuto di un bilancino.

C’è reato di spaccio, quindi, non soltanto quando il colpevole viene sorpreso nell’atto di cedere la droga (flagranza) ma anche nell’ipotesi di possesso non destinato all’uso personale.

Il reato di spaccio si può provare con i testimoni?

Il reato di spaccio può essere provato anche mediante testimonianze, cioè attraverso dichiarazioni provenienti da persone che hanno assistito alla cessione della droga.

Acquirente droga: può testimoniare contro lo spacciatore?

Tra i testimoni ammessi a deporre contro uno spacciatore vi sono anche gli assuntori di sostanze stupefacenti, cioè coloro che hanno acquistato droga dal pusher stesso.

In pratica, i “clienti” dello spacciatore possono testimoniare contro di lui.

Come ricordato in precedenza, infatti, chi si droga non commette reato ma, al massimo, un illecito amministrativo.

La testimonianza dell’acquirente di droga o del tossicodipendente è quindi valida e legale, e può essere sufficiente a giustificare la condanna dello spacciatore se il giudice ritiene che sia attendibile.

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Tossicodipendente: può rifiutarsi di testimoniare contro lo spacciatore?

Chi ha acquistato droga non può rifiutarsi di presentarsi dalla polizia o in udienza per testimoniare contro lo spacciatore; può tuttavia mentire (o tacere) se ritiene che la verità possa compromettere la propria libertà o il proprio onore (art. 384 cod. pen.).

Secondo la giurisprudenza (11 aprile 2016, n. 14520), chi fa uso di sostanze stupefacenti può mentire oppure rifiutarsi di rispondere alle domande che gli sono poste dalla polizia o dal giudice, se le informazioni richieste possono determinare nei suoi confronti un grave danno alla reputazione, anche se derivante dall’applicazione delle misure sanzionatorie amministrative previste dall’art. 75 del Testo unico sugli stupefacenti in merito all’uso personale di stupefacenti.

In buona sostanza, dunque, i clienti dello spacciatore possono essere convocati come persone informate sui fatti (durante lo svolgimento delle indagini preliminari) e come testimoni (durante il processo) ma, se dovessero tacere o mentire, non possono essere accusati del reato di falsa testimonianza, a patto che la reticenza o la menzogna sia stata necessaria per salvarsi da un grave danno al proprio onore.

Un noto politico viene convocato dalla polizia per rendere dichiarazioni sulla responsabilità penale di uno spacciatore. Per salvare la propria reputazione da un gravissimo danno che pregiudicherebbe l’intera sua carriera, mente riferendo di non aver mai acquistato sostanze stupefacenti dall’indagato.

Carlo è un agente che promuove all’estero la propria azienda. Davanti alla polizia, nega di aver acquistato droga dallo spacciatore su cui si sta indagando, al fine di evitare la sospensione del passaporto prevista dall’art. 75, indispensabile per i suoi viaggi all’estero per ragioni di lavoro

Concludendo: un tossicodipendente può testimoniare in un processo per spaccio, ma può mentire se è indispensabile per salvarsi da un grave pregiudizio all’onore o alla libertà individuale, nelle sue varie manifestazioni, comprensive del diritto al lavoro (Cass., 23 giugno 2022, n. 29940).

Secondo la Corte di Cassazione (11 marzo 2003, n. 11409), è perfino legittimo mentire se l’intento è quello di non svelare la propria tossicodipendenza, tenuto conto dell’ambiente in cui chi ha mentito vive, della sua incensuratezza e del lavoro svolto.



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