Le ingerenze di Musk nella politica Ue ma i suoi interessi sono tutti economici

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Prevedibile che Trump avrebbe rotto con i canoni della democrazia, ma pochi avevano previsto che Elon Musk avrebbe avuto un ruolo così influente nella sua amministrazione. Ci si interroga dunque sul perché Trump gli abbia concesso così potere al punto da oscurare il neo vice presidente J.D. Vance.

Non credo per i 250 milioni versati da Musk alla sua campagna elettorale. La spiegazione più convincente è che Musk sia diventato un elemento cruciale per cementare il sostegno a Trump tra i suoi elettori: l’imprenditore visionario che diventa il simbolo di come si possa «fare grande di nuovo l’America», il suo mantra elettorale.

Il social

Si spiegherebbe in questo modo anche la trasformazione di Twitter (oggi X) che sotto la proprietà Musk è passato da social media che vuole aumentare la propria influenza sull’opinione pubblica, a forum per indirizzare le posizioni di una nuova destra che unisce il populismo al primato della tecnologia.

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A Musk interessa poco la perdita di influenza di X rispetto a Twitter, e la conseguente perdita finanziaria (circa 80 per cento dei 44 miliardi pagati per l’acquisto), perché il valore di X è prettamente politico.

L’uso che Musk fa di X negli Usa è facilmente comprensibile, per quanto disdicevole, considerato il suo ruolo politico nel paese; ma lo è meno quando il social media è usato per esercitare un’indebita ingerenza nella politica europea (i violenti attacchi al premier inglese Starmer e al cancelliere Scholz, il sostegno all’estrema destra tedesca di AfD, e a Giorgia Meloni nello scontro con magistratura sui migranti illegali).

Ingerenze che si collocano al di fuori di ogni convenzione e prassi nei rapporti diplomatici tra paesi. Musk vuole diventare l’ambasciatore del trumpismo nel mondo o soltanto promuovere i propri interessi economici? Penso che la seconda sia la risposta giusta.

I servizi bancari

EPA

Musk è un imprenditore visionario. Il suo ingresso trasformò PayPal da fornitore online di servizi bancari e finanziari, attività ormai tradizionale, in un nuovo sistema per i pagamenti: vale oggi 86 miliardi, una frazione rispetto a Visa o Mastercard, ma un multiplo di Wordline (francese) e Nexi (italiana), il doppio dell’olandese Adyen leader europeo nella tecnologia dei pagamenti, segno dell’incapacità del nostro sistema finanziario di sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia.

Musk è principalmente associato al successo di Tesla, avendo previsto le potenzialità che tecnologia e motore elettrico avrebbero offerto in un settore maturo, dominato da grandi gruppi che costruiscono automobili la cui struttura rimane sostanzialmente simile a quella della prima metà del novecento.

L’elettro-auto

L’auto elettrica infatti non è l’auto tradizionale con un motore diverso, ma richiede una nuova piattaforma per la produzione, una catena di fornitori dedicata, la produzione di batterie (Tesla è pioniere delle gigafactory), e soprattutto l’innovazione tecnologica e l’uso dell’intelligenza artificiale per il suo sviluppo, come dimostrano gli investimenti nella guida autonoma, il Cybertruck o il Robotaxi. A differenza di tedeschi e giapponesi, Tesla ha poi puntato sul mercato cinese prevedendo che sarebbe stato il paese con la più rapida diffusione dell’auto elettrica.

Così Tesla vale oggi più di tutte le altre case automobilistiche messe assieme: certamente si tratta di una bolla gonfiata dal potere politico di Musk; inoltre la concorrenza di case come Byd eroderà i suoi margini e quote di mercato, ma Tesla evidenzia quanto costosa, anche in termini sociali, sia stata la miopia imprenditoriale dell’industria tradizionale.

L’IA

Nell’intelligenza artificiale generativa Musk è arrivato in ritardo rispetto ad OpenAI, ma sta rapidamente recuperando il terreno perduto con xAI, grazie alla sua capacità di attirare talenti e capitali: per la start up ha raccolto 12 i miliardi, che già oggi ne valgono 50.

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Con Space X ha capito le potenzialità dello spazio, che per le comunicazioni significa l’accesso a internet ad alta velocità in qualunque posto della terra tramite i satelliti a bassa orbita di Starlink. Può dunque permettere l’accesso alla banda larga dove la fibra non può arrivare, ma anche fornirla a una frazione del costo dei cavi dove questi possono essere posati (a Londra Starlink sta conquistando quote di mercato).

I satelliti

L’importanza strategica di Starlink sta però nel suo utilizzo militare: la guerra in Ucraina lo ha reso palese. Per avere i satelliti nello spazio bisogna inviarceli e così Space X è diventato il primo fornitore di lanci spaziali, anche per conto della Nasa, che ha inspiegabilmente cessato questa attività.

Così Starlink ha già 7.000 satelliti in orbita e ne sta lanciando al ritmo di 150 l’anno, mentre il principale concorrente OneWeb, dell’europea Eutelstat (che ha però come principale azionista l’indiana Bharti, la giapponese Softbank e il governo inglese) in bassa orbita ne ha appena 160, e solo nel dicembre scorso ha siglato un accordo da 11 miliardi per finanziare lo sviluppo, peraltro per il 60 per cento a carico della Commissione UE.

In futuro arriverà anche la concorrenza della cinese SpaceSail e della Kuiper di Amazon ma, come nel caso di Tesla, ci vorrà tempo e sarà costoso per la concorrenza recuperare il terreno perduto.

Tutte le iniziative di Musk sono sempre state interamente finanziate dal mercato e dal venture capital americano: una lezione che l’Europa dovrebbe tenere a mente. Ma è evidente che l’espansione delle sue imprese, sia negli Usa come nel resto del mondo, dipenda oggi in larga parte anche dal sostegno dei governi nei paesi in cui opera.

Per Tesla, i sussidi all’auto elettrica e il sistema dei certificati verdi, ma anche la benevolenza del governo cinese vista la rilevanza di quel mercato per Musk. Per la guida autonoma, l’autorizzazione a ottenere le coperture assicurative. Per xAI le commesse del governo federale per l’efficienza della pubblica amministrazione, che dipenderanno da un nuovo Dipartimento, guidato proprio da Musk.

Per Starlink, la decisione dei vari governi nel mondo di affidare alla società di Musk le comunicazioni militari, e di concedere la licenza a operare in competizione con le società telefoniche nazionali, molte delle quali a partecipazione pubblica.

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La politica estera

Così corteggia il regime cinese, in aperto contrasto con la retorica anti Cina di Trump e lo convince a ribaltare l’imposizione legale alla cinese ByteDance di vendere le attività di TikTok negli Usa, una legge che proprio Trump volle nella sua prima presidenza.

Utilizza X come randello contro i governi europei dove le destre populiste sono all’opposizione (in UK e Germania) per sostenerne l’ascesa e acquisire crediti da usare in futuro a proprio vantaggio; ma a favore dei governi dove la destra è al potere, come nel caso del governo Meloni, per ottenere dei vantaggi.

In Italia è Starlink la contropartita che Musk chiede alla Meloni per accreditarla presso Trump. Ma oltre al costo politico per il nostro governo di rompere il tentativo di una posizione europea unitaria, o perlomeno coordinata, nel confronto con l’amministrazione americana sui dazi, l’arrivo di Starlink sarà costoso per lo Stato.

Sarà infatti un concorrente temibile di OpenFiber, a controllo pubblico, che già affoga nei debiti ed è tenuta a galla proprio dalla garanzia dei fondi pubblici del Pnrr, e di FiberCop, società tramite la quale KKR, con il sostegno e il coinvestimento dello Stato ha comperato la rete di Tim, avendo l’obiettivo di creare una società unica della rete a controllo pubblico: che a quel punto non sarà più unica per via dell’alternativa Starlink.

Se l’ingerenza di Musk nella politica europea è dettata da ragioni economiche, va combattuta toccandolo nei suoi interessi economici: l’indignazione politica è legittima ma inutile.

In Brasile gli attacchi a Lula tramite X sono finiti quando il governo ha imposto la sospensione dell’attività a Starlink e favorito l’ingresso della cinese SpaceSail. La concorrenza di Starlink è un bene per il consumatore, ma solo se rispetterà le regole del mercato e della democrazia. L’opposto di quello il governo Meloni sta facendo.

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