La verità é che l’America ha paura – la Cina e l’insicurezza sistemica – Alessandria Today Italia News Media

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La Cina, con oltre 1,4 miliardi di abitanti, rappresenta il 18% della popolazione mondiale e contribuisce al 18% del PIL globale. Nonostante l’apparente solidità, il paese affronta sfide interne significative. Dal 2022, la popolazione ha iniziato a contrarsi, rivelando un rapido invecchiamento demografico che potrebbe influenzare la crescita economica.

Il sistema economico-finanziario cinese si trova in un delicato equilibrio tra espansione e riforma, richiedendo un controllo centrale forte. Il Partito Comunista Cinese (PCC) guida questo processo, consolidando la sua autorità per affrontare contraddizioni e garantire stabilità.

La scarsità di risorse è un altro punto critico: oltre il 60% delle città soffre di carenze idriche, mentre la Cina dispone di meno del 7% delle terre coltivabili mondiali per sfamare quasi un quinto della popolazione globale. Queste vulnerabilità definiscono tanto i limiti quanto le ambizioni del paese.

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Sul piano geopolitico, Pechino adotta una strategia basata sulle teorie di Mackinder e Spykman, proteggendo il proprio heartland e ampliando l’influenza sulle rotte marittime strategiche. La Belt and Road Initiative incarna questa visione, integrando infrastrutture terrestri e marittime per accedere a risorse e mercati globali. Parallelamente, la Cina consolida la sua presenza nel Mar Cinese Meridionale e investe in Africa e Asia meridionale.

Culturalmente, la lingua e la visione olistica cinese influenzano profondamente il pensiero strategico del paese, plasmando anche lo sviluppo tecnologico. L’intelligenza artificiale cinese è progettata per rispondere a esigenze linguistiche e culturali locali, offrendo un’alternativa ai modelli occidentali.

La Cina bilancia ambizioni e debolezze, puntando a proiezione esterna e stabilità interna.

Comprendere questa dinamica è essenziale per interpretare il futuro del gigante asiatico e le paure degli USA.

Interdipendenza e vulnerabilità

Il confronto tra Cina e Stati Uniti si radica in un’interdipendenza che alimenta timori reciproci e vulnerabilità strategiche. Gli Stati Uniti importano dalla Cina beni essenziali, tra cui tecnologia di consumo e prodotti industriali, per un valore che nel 2022 ha superato i 536 miliardi di dollari. Questa dipendenza rappresenta una vulnerabilità critica: qualunque alterazione nella capacità produttiva cinese ha ripercussioni dirette sulle filiere americane.

La Cina controlla oltre l’80% della raffinazione globale di terre rare, indispensabili per l’elettronica avanzata, le energie rinnovabili e i sistemi di difesa. Questa posizione strategica consente a Pechino di utilizzare il commercio come leva politica, come dimostrato nel 2010 quando bloccò le esportazioni verso il Giappone durante una disputa diplomatica.

Nel settore farmaceutico, circa il 90% degli antibiotici utilizzati negli Stati Uniti proviene dalla Cina, insieme a una vasta percentuale di principi attivi farmaceutici. Durante la pandemia di Covid-19, l’interruzione delle forniture cinesi ha messo in evidenza la dipendenza americana da Pechino.

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Questa interdipendenza si estende ai semiconduttori, dove la Cina rappresenta oltre il 24% della capacità produttiva globale, mentre gli Stati Uniti contribuiscono solo per il 12%. Nonostante il dominio americano nella progettazione tecnologica, la produzione dipende fortemente dalla Cina e da altri paesi asiatici.

Questa struttura crea una vulnerabilità strategica per gli Stati Uniti. Una crisi nelle forniture, intenzionale o accidentale, potrebbe paralizzare settori critici dell’economia americana, come dimostrato nel 2021 dall’interruzione delle forniture di componenti elettronici, che ha causato ritardi nella produzione automobilistica e perdite miliardarie.

Per gli Stati Uniti, il confronto con la Cina non è solo una questione di competitività, ma un problema strutturale che mette in discussione la loro capacità di mantenere la leadership globale. La Cina, interlocutore imprescindibile, capitalizza sulla sua posizione trasformando ogni connessione economica in una potenziale leva strategica.

Evergrande rappresenta un punto emblematico per comprendere come la Cina abbia usato il settore immobiliare per strutturare il proprio sistema finanziario. Prima degli anni ’90, la finanza cinese era ai suoi primordi, con un sistema bancario limitato e fortemente centralizzato. L’avvento del settore immobiliare ha trasformato questa dinamica, creando un motore economico che ha integrato sviluppo urbano, industriale e finanziario.

Il governo cinese ha promosso l’urbanizzazione massiccia come strategia per sostenere la crescita economica. Dal piano di stimolo del 2008, pari a 4 trilioni di yuan, una quota significativa è stata destinata al settore edilizio, che rappresenta il 6% del PIL cinese e impiega oltre 41 milioni di persone. La domanda di abitazioni è stata sostenuta da tre pilastri principali:

  1. Migrazione interna: Il massiccio spostamento di popolazione dalle aree rurali a quelle urbane ha generato una domanda continua di nuove abitazioni.
  2. Investimenti familiari: Per molte famiglie cinesi, l’acquisto di immobili rappresenta una forma primaria di investimento e sicurezza economica.
  3. Finanziamento locale: I governi locali hanno finanziato gran parte della loro spesa pubblica attraverso la vendita dei diritti d’uso del suolo a sviluppatori immobiliari.

Questa struttura ha permesso al settore immobiliare di fungere da volano per l’espansione del credito. Le aziende come Evergrande hanno contratto debiti enormi, anticipando ricavi futuri da progetti in costruzione. Questo modello ha alimentato il sistema bancario e creato un circuito finanziario che ha sostenuto tassi di crescita economica superiori all’8% annuo fino al 2011.

A differenza dei modelli occidentali, basati spesso su strumenti finanziari derivati, la Cina ha fondato il proprio sistema su beni reali, come le proprietà immobiliari, riducendo il rischio di instabilità sistemica. Tuttavia, questo modello ha reso il settore immobiliare vulnerabile a fenomeni di sovraesposizione debitoria e saturazione del mercato.

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Nel 2021, quando Evergrande ha dichiarato default tecnico su debiti per oltre 300 miliardi di dollari, Pechino ha dimostrato la capacità di gestire la crisi attraverso un intervento centralizzato. L’uso del Capitolo 15 del Bankruptcy Code americano ha consentito a Evergrande di proteggersi dalle azioni legali estere e ristrutturare il debito sotto la supervisione cinese, minimizzando il contagio interno.

Questo approccio ha evidenziato come la Cina abbia usato il settore immobiliare non solo per sostenere la propria economia, ma anche per consolidare il proprio sistema finanziario, trasferendo i rischi agli investitori internazionali. Il caso Evergrande dimostra la capacità di Pechino di integrare strategia economica e finanziaria per proteggere la stabilità interna. Questo approccio è tipico della Dottrina delle Tre Guerre, che prevede l’uso delle leggi altrui per nuocere all’avversario.

Non ci interessa sapere se il Covid-19 sia stato messo in giro deliberatamente o meno, né investigare i ritardi nell’avvisare la popolazione globale. Ciò che conta è comprendere come il Covid-19 sia stato utilizzato militarmente dalla Cina per generare uno squilibrio nelle interdipendenze globali.

Diamo contesto: negli ultimi anni, la Cina è diventata il principale fruitore di sistemi di trasporto merci globali, ospitando 7 dei 10 porti container più trafficati del mondo, con Shanghai al vertice con 37,13 milioni di TEU. Un rallentamento nei porti cinesi ha avuto un impatto devastante sull’economia globale. Inoltre, la Cina ha disattivato sistemi elettronici di tracciamento dei vascelli, penalizzando le catene di approvvigionamento globali.

Il costo medio di spedizione di un container da 40 piedi da Shanghai a New York è passato da 2.500 dollari nel 2019 a quasi 15.000 dollari nel 2021. I tempi di approvvigionamento per microchip sono saliti da due settimane a nove mesi, paralizzando settori industriali chiave.

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Negli Stati Uniti, l’impatto è stato drammatico, soprattutto nel settore agricolo.

I fertilizzanti, che rappresentano il 36% dei costi per il mais e il 35% per il grano, hanno visto aumenti di prezzo del 150%. Questo ha costretto gli agricoltori a ridurre le coltivazioni di mais e grano o a passare alla soia, meno dipendente dai fertilizzanti. Tuttavia, molti campi sono rimasti incolti per i costi insostenibili.

La Cina ha limitato le esportazioni di fertilizzanti per proteggere la propria sicurezza alimentare, aggravando la crisi globale. Pechino ha colto l’occasione per consolidare alleanze strategiche in Africa e America Latina, offrendo fertilizzanti a condizioni favorevoli, aumentando così la sua influenza geopolitica.

L’impatto psicologico sulle leadership statunitensi è stato devastante: non solo il sistema agricolo interno è stato colpito, ma l’influenza americana sui mercati alimentari globali ha iniziato a erodersi. La Cina ha dimostrato che il sistema economico statunitense può essere manipolato attraverso le interdipendenze globali, rappresentando un attacco strategico alla sua posizione dominante.

  • L’espansione commerciale

La Cina, nella sua ascesa a potenza globale, ha trasformato l’espansione commerciale in uno strumento strategico di influenza, minacciando direttamente la supremazia economica e tecnologica degli Stati Uniti.

Per decenni, la Cina è stata la “fabbrica del mondo”, producendo beni a basso costo per i mercati occidentali. Questo modello, pur profittevole, non garantiva l’autonomia strategica. Negli ultimi anni, Pechino ha accelerato la transizione verso un’economia basata sull’innovazione. Nel 2022, gli investimenti cinesi in ricerca e sviluppo hanno raggiunto il 2,4% del PIL, avvicinandosi rapidamente al livello americano del 2,7%. Settori strategici come i veicoli elettrici (EV), le energie rinnovabili e l’intelligenza artificiale sono ora dominati da aziende cinesi.

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Un esempio emblematico è rappresentato dai veicoli elettrici. Aziende come BYD e CATL hanno superato i concorrenti americani sia nei volumi che nei mercati emergenti. Nel 2023, oltre il 50% dei veicoli elettrici venduti in Africa e America Latina erano di origine cinese, contro il 28% americano.

Strategicamente, Pechino si è concentrata sulle rotte marittime cruciali per il commercio globale. Progetti come il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC) garantiscono alla Cina un accesso diretto al Mar Arabico, bypassando lo Stretto di Malacca. Con un investimento superiore ai 4 miliardi di dollari, il porto di Gwadar rappresenta non solo un hub logistico, ma una piattaforma per proiettare potenza economica e militare nella regione.

Parallelamente, la Belt and Road Initiative (BRI) ha creato una rete globale di infrastrutture che collega Asia, Africa e America Latina. Con investimenti stimati oltre un trilione di dollari, la BRI ha consolidato la presenza cinese nei mercati emergenti. Nei paesi africani e sudamericani, i beni cinesi rappresentano oggi oltre il 60% delle importazioni industriali.

Forse il cambiamento più significativo risiede nella capacità della Cina di utilizzare l’innovazione tecnologica come arma geopolitica. La leadership cinese nella produzione di tecnologie avanzate, dalle batterie ai semiconduttori, rappresenta una minaccia diretta al modello americano.

La Cina non solo sfida la supremazia tecnologica statunitense, ma sfrutta il commercio come leva strategica per ridisegnare l’ordine globale. Questo pone Washington di fronte a una sfida esistenziale, evidenziando la necessità di una risposta strategica.

La diplomazia del lupo guerriero (Wolf Warrior Diplomacy) è divenuta una caratteristica dominante della politica estera cinese nel XXI secolo. Combinando assertività retorica e azione strategica, questo approccio mira a consolidare l’immagine di una Cina forte, capace di rispondere alle critiche e di influenzare il sistema globale. Per Pechino, rappresenta una risposta alle pressioni esterne e un mezzo per capitalizzare la propria ascesa economica e geopolitica.

Tradizionalmente, la diplomazia cinese era caratterizzata dalla “politica del sorriso”, un approccio discreto volto a rassicurare sulla natura pacifica di Pechino. Tuttavia, con l’ascesa economica e militare del paese, questa strategia è stata sostituita da un atteggiamento più assertivo, rafforzato dalle tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti e dalle critiche sulla gestione della pandemia di Covid-19.

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Un esempio emblematico è stato il confronto con l’Australia. Nel 2020, Canberra ha richiesto un’indagine indipendente sull’origine del Covid-19, interpretata da Pechino come un attacco diretto. In risposta, la Cina ha imposto restrizioni su esportazioni chiave australiane, causando perdite economiche stimate in oltre 20 miliardi di dollari australiani.

In Europa, un caso simile si è verificato con la Lituania, che ha aperto un ufficio di rappresentanza per Taiwan. Pechino ha risposto bloccando le importazioni lituane e facendo pressione sulle multinazionali europee affinché riducessero i legami con Vilnius, dimostrando la capacità cinese di influenzare decisioni politiche attraverso leve economiche.

Parallelamente, la Cina ha intensificato l’uso di piattaforme digitali come TikTok e WeChat per promuovere narrative pro-Cina e destabilizzare le democrazie occidentali. Secondo il rapporto IRSEM, Pechino ha implementato una rete globale di disinformazione, amplificando messaggi attraverso account falsi e bot.

Gli Stati Uniti percepiscono questa diplomazia aggressiva come una minaccia esistenziale. Il costo economico per contrastare Pechino è significativo: la massa monetaria M3 è cresciuta del 40% tra il 2020 e il 2023, in parte per finanziare iniziative come il CHIPS Act e il rafforzamento delle catene di approvvigionamento alternative.

La diplomazia del lupo guerriero non rappresenta solo una strategia retorica, ma un mezzo per obbligare Washington a redistribuire risorse strategiche, amplificando il debito pubblico e minando la capacità americana di reagire efficacemente.

Negli ultimi due decenni, la Cina ha trasformato la propria economia da un centro di produzione a basso costo, il “Made in China”, a un hub di innovazione tecnologica riconosciuto come “Invented and Engineered in China”. Questa transizione, sancita dal piano “Made in China 2025”, mira a spostare il focus produttivo su settori ad alto contenuto tecnologico, come robotica, intelligenza artificiale, semiconduttori e biotecnologie.

Nel 2021, la Cina ha rappresentato quasi il 50% delle richieste globali di brevetti, superando di gran lunga gli Stati Uniti. Aziende come Huawei, Tencent e Alibaba sono leader mondiali nei loro settori, mentre startup cinesi attraggono finanziamenti record.

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Ad esempio, le startup nel campo dell’IA hanno raccolto oltre 26 miliardi di dollari nel 2021, superando i fondi americani.

La leadership cinese si estende ai semiconduttori e alle telecomunicazioni. Con investimenti di oltre 445 miliardi di dollari nel 2022, la Cina si avvicina rapidamente alla spesa americana in ricerca e sviluppo. La Belt and Road Initiative digitale ha costruito oltre 100 data center in Asia, Africa e America Latina, consolidando l’influenza tecnologica di Pechino.

Il dominio tecnologico cinese rappresenta una sfida diretta agli Stati Uniti, minacciando il loro controllo sui flussi globali di dati e comunicazioni. Washington ha risposto con il CHIPS Act e il programma Clean Network, ma la velocità e la scala degli investimenti cinesi rendono difficile competere efficacemente. Pechino utilizza il dominio tecnologico per creare dipendenze infrastrutturali, ridurre l’efficacia delle sanzioni e ridefinire l’equilibrio geopolitico a suo favore.

7. Il Mar Cinese Meridionale


Il Mar Cinese Meridionale rappresenta uno dei fulcri della competizione geopolitica globale, non solo per il suo valore economico, ma anche per la sua importanza strategica. Circa il 40% del commercio marittimo globale transita attraverso questa regione, pari a un valore stimato di 3,5 trilioni di dollari annui. Inoltre, il sottosuolo marino è ricco di risorse naturali, tra cui 11 miliardi di barili di petrolio e 190 trilioni di piedi cubi di gas naturale, secondo le stime dell’US Geological Survey. Per la Cina, il controllo del Mar Cinese Meridionale è cruciale per la sicurezza energetica, l’accesso alle rotte commerciali e il consolidamento della propria influenza geopolitica.
A partire dal 2013, la Cina ha avviato un vasto programma di costruzione di isole artificiali su scogli e atolli contesi, principalmente nei gruppi delle Spratly e delle Paracel. Questo programma, che integra ingegneria su larga scala e pianificazione militare, ha portato alla creazione di oltre 3.200 acri di nuove terre, secondo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Queste strutture sono state trasformate in veri e propri avamposti militari, dotati di:
– Piste di atterraggio militari: Strutture come quelle di Fiery Cross Reef, Subi Reef e Mischief Reef includono piste lunghe oltre 3.000 metri, capaci di ospitare caccia, bombardieri strategici e velivoli di trasporto pesante.
– Porti strategici: Grandi abbastanza da accogliere cacciatorpediniere e fregate, aumentando la capacità navale di Pechino.
– Sistemi missilistici avanzati: Batterie di missili HQ-9 terra-aria e antinave che ampliano il raggio di controllo militare cinese.
– Radar e sorveglianza: Sistemi di monitoraggio che consentono una supervisione continua delle attività navali e aeree nella regione.

La presenza militare cinese nel Mar Cinese Meridionale non solo consolida il dominio regionale, ma funge anche da leva diplomatica e politica. Le isole artificiali consentono alla Cina di minacciare l’accesso alle rotte marittime dei rivali, utilizzando la loro dipendenza commerciale come strumento di pressione. Questo ha incrementato il rischio di incidenti tra le forze cinesi e quelle statunitensi, aumentando le tensioni che potrebbero degenerare in conflitti aperti.
Secondo la Corte Permanente di Arbitrato dell’Aia, le rivendicazioni cinesi basate sulla “linea dei nove tratti” non hanno basi legali, una sentenza che Pechino ha ignorato. Per contrastare l’espansione cinese, gli Stati Uniti hanno intensificato le operazioni di libertà di navigazione (Freedom of Navigation Operations, FONOPs), inviando navi da guerra attraverso le acque contese per riaffermare i principi del diritto internazionale. Tuttavia, queste operazioni hanno generato numerosi scontri diplomatici e rischi operativi.
Oltre al commercio, il Mar Cinese Meridionale è cruciale per il settore ittico globale, rappresentando circa il 12% della pesca mondiale, una risorsa essenziale per la sicurezza alimentare cinese. Le risorse energetiche presenti nella regione offrono un’opportunità strategica per ridurre la dipendenza della Cina dalle importazioni di energia attraverso lo Stretto di Malacca, da cui transita circa il 60% del petrolio importato da Pechino.
La Cina ha utilizzato la Belt and Road Initiative (BRI) per espandere la propria influenza oltre il Mar Cinese Meridionale. Investimenti in porti strategici e corridoi economici consentono a Pechino di bypassare le rotte marittime controllate dagli Stati Uniti. Esempi chiave includono:
– Porto di Gwadar, Pakistan: Parte del China-Pakistan Economic Corridor, questo porto offre accesso diretto al Golfo Persico con un investimento superiore a 62 miliardi di dollari.
– Porto di Hambantota, Sri Lanka: Nonostante le controversie sul debito, Hambantota rappresenta un avamposto strategico nell’Oceano Indiano.
– Porto di Kyaukpyu, Myanmar: Collegato a oleodotti e gasdotti, bypassa lo Stretto di Malacca, garantendo una rotta alternativa.
Questi progetti non solo rafforzano il controllo commerciale della Cina, ma creano dipendenze economiche nei paesi partner. Circa il 40% dei progetti BRI include clausole vincolanti, limitando la capacità negoziale di tali paesi, secondo un rapporto della RAND Corporation.
Per contrastare la crescente influenza cinese, Washington ha adottato misure che includono:
– Esercitazioni militari congiunte: Operazioni condotte con alleati regionali come Giappone, India e Australia nell’ambito del Quad.
– Investimenti infrastrutturali alternativi: Attraverso il Build Back Better World (B3W), gli Stati Uniti hanno promesso oltre 600 miliardi di dollari per competere con la BRI.
– Intensificazione delle FONOPs: Queste operazioni sfidano le rivendicazioni cinesi, ma comportano costi elevati e rischi di escalation.
La strategia cinese nel Mar Cinese Meridionale rappresenta una combinazione di proiezione di potenza, controllo delle risorse e costruzione di dipendenze economiche. Per gli Stati Uniti, questa militarizzazione costituisce una minaccia diretta all’architettura di sicurezza regionale e alla libertà di navigazione. Il crescente potere economico e militare della Cina continua a spingere Washington verso uno sforzo costoso e dispendioso per contenere l’espansione cinese, evidenziando un cambiamento nei tradizionali equilibri globali.

  •  Il soft power e la narrativa cinese

Il soft power cinese si manifesta attraverso iniziative culturali, accademiche e mediatiche, ma è principalmente uno strumento strategico del Partito Comunista Cinese (PCC) per consolidare il proprio potere e diffondere una narrativa sinocentrica. Secondo il rapporto IRSEM (2021), il PCC utilizza strumenti come gli Istituti Confucio e i media statali per influenzare le percezioni globali e contrastare l’influenza americana.

Istituti Confucio

Operativi in oltre 150 paesi, promuovono la cultura e la lingua cinese, ma censurano temi sensibili come Taiwan e Hong Kong. Dal 2020, oltre 75 università americane hanno chiuso questi istituti per preoccupazioni legate alla propaganda e alla censura.

Media cinesi

Con un investimento di 10 miliardi di dollari, Xinhua e CGTN trasmettono in 65 lingue, rafforzando la presenza cinese in Africa, Asia e America Latina. CGTN, ad esempio, gestisce un hub in Sudafrica per promuovere la narrativa cinese e screditare i modelli democratici occidentali.

Accademia e borse di studio

Attraverso il ‘Belt and Road Scholarship Scheme’, la Cina ha attratto oltre 500.000 studenti internazionali nel 2021, consolidando legami accademici e reclutando talenti nei settori tecnologici e scientifici.

Cultura e investimenti

Tra il 2013 e il 2021, la Cina ha costruito 20 teatri, 30 centri culturali e 40 musei nei paesi partner della BRI. Il Teatro Nazionale del Pakistan, finanziato con 90 milioni di dollari, è un esempio di come Pechino utilizzi la cultura per rafforzare relazioni bilaterali.

Implicazioni per gli Stati Uniti

  1. Competizione narrativa: Il soft power cinese scredita le democrazie occidentali e promuove l’efficienza autoritaria, erodendo l’influenza americana nei paesi in via di sviluppo.
  2. Riduzione del soft power USA: La centralizzazione del controllo narrativo da parte del PCC mina il modello pluralistico americano, marginalizzando valori democratici in Africa e America
  3. Consolidamento di alleanze: Attraverso il soft power, la Cina crea legami politici ed economici duraturi, limitando la capacità di manovra geopolitica degli Stati Uniti.

Il soft power cinese non è solo uno strumento culturale, ma una leva strategica per ridefinire l’ordine globale a favore di Pechino.

9. Il Covid-19 e i suoi danni profondi

La pandemia di Covid-19 ha rappresentato un momento di crisi globale senza precedenti, rivelando fragilità latenti nelle democrazie occidentali e mettendo in discussione i principi fondamentali della governance liberale. Le misure emergenziali adottate dai governi, spesso ispirate al modello autoritario cinese, hanno prodotto effetti duraturi sull’identità culturale e politica delle società democratiche, erodendo valori storici come la trasparenza, il pluralismo e i diritti individuali.

La gestione della pandemia in Cina è stata trasformata in uno strumento di soft power. Attraverso una narrativa di efficienza e controllo, Pechino ha promosso il suo modello autoritario come una soluzione pragmatica e superiore alle incertezze delle democrazie occidentali. Immagini di ospedali costruiti in pochi giorni, lockdown disciplinati e una popolazione apparentemente unita hanno rinforzato l’idea di una Cina capace di rispondere meglio alle crisi rispetto all’Occidente.

Secondo la dottrina cinese delle “tre guerre”—psicologica, mediatica e legale—la crisi sanitaria è stata utilizzata per influenzare il pensiero occidentale. Attraverso media controllati come CGTN e Xinhua, la Cina ha diffuso una narrativa che celebrava la propria gestione autoritaria, spingendo molte democrazie a replicare approcci centralizzati e restrittivi.

Le misure emergenziali, come i lockdown prolungati, il tracciamento digitale e le restrizioni alla mobilità, hanno ridefinito il rapporto tra Stato e cittadino. La libertà individuale, pilastro della tradizione occidentale, è stata subordinata al “bene collettivo”, un concetto che trova radici nella filosofia confuciana e nel controllo autoritario. Questo cambiamento ha prodotto un’erosione profonda della fiducia nelle istituzioni democratiche e ha normalizzato l’adozione di misure autoritarie in nome della sicurezza pubblica.

Il distanziamento fisico e l’isolamento sociale hanno alterato la struttura delle relazioni umane. La neuroscienza evidenzia come la solitudine attivi le stesse aree cerebrali coinvolte nel dolore fisico, sottolineando l’insostenibilità biologica di questa condizione. La pandemia ha indebolito i legami sociali e ridotto la partecipazione collettiva, spingendo molte persone a considerare le relazioni interpersonali come una scelta opzionale, anziché un valore intrinseco.

Questa disgregazione sociale ha portato a una frammentazione della coesione collettiva. Il distanziamento ha ridotto la fiducia tra individui e istituzioni, alimentando polarizzazioni e un senso diffuso di sfiducia verso la capacità dello Stato di proteggere i cittadini.

La pandemia ha evidenziato una crisi di valori illuministi. L’imposizione di restrizioni autoritarie ha sollevato dubbi sull’efficacia e sulla sostenibilità delle democrazie liberali di fronte a sfide globali. Mentre il modello autoritario cinese è stato presentato come una soluzione efficiente e stabile, le democrazie occidentali sono apparse divise e impreparate, lasciando spazio a una crescente attrazione per approcci più centralizzati.

Attraverso la sua strategia narrativa, Pechino ha sfruttato la crisi per ridimensionare la superiorità morale dell’Occidente e promuovere un’alternativa autoritaria. Questo approccio non ha solo minato i principi democratici, ma ha anche rafforzato l’influenza della Cina sui paesi in via di sviluppo, già affascinati dalla capacità di Pechino di unire stabilità e crescita economica.

Le cicatrici della pandemia

  1. Frammentazione sociale: La disgregazione dei legami sociali ha indebolito la resilienza collettiva, rendendo le società più vulnerabili a future crisi.
  2. Sfiducia istituzionale: Le misure incoerenti e percepite come arbitrarie hanno ridotto la fiducia dei cittadini nei governi e nelle organizzazioni internazionali.
  3. Normalizzazione dell’autoritarismo: La pandemia ha creato un precedente per l’adozione di misure restrittive, aumentando il rischio di sacrifici futuri dei diritti individuali.

Il Covid-19 ha rappresentato non solo una crisi sanitaria, ma una battaglia ideologica e culturale. La capacità della Cina di trasformare una crisi globale in uno strumento di influenza strategica ha messo in evidenza le debolezze delle democrazie occidentali, lasciando cicatrici profonde sulla loro identità e sul loro futuro.

10. La sfida alla supremazia del dollaro

La Cina ha intrapreso una strategia articolata per sfidare la supremazia del dollaro statunitense, promuovendo l’uso internazionale dello yuan attraverso accordi bilaterali, investimenti strategici e innovazioni tecnologiche. Questa iniziativa, parte di una competizione economica e geopolitica più ampia con gli Stati Uniti, punta a ridurre la dipendenza globale dal dollaro e rafforzare l’influenza finanziaria cinese.

Dal 2010, Pechino ha firmato accordi di swap valutario con oltre 60 paesi, inclusi Russia, Brasile e Sudafrica, permettendo l’uso dello yuan per il commercio bilaterale senza ricorrere al dollaro. Nel 2021, le transazioni denominate in yuan hanno raggiunto un valore di 28,5 trilioni di renminbi (circa 4,4 trilioni di dollari), registrando un incremento del 15% rispetto all’anno precedente. In ambito BRICS, il commercio in valute locali ha superato il 30% delle transazioni totali nel 2023, con Cina e Russia che regolano il 65% del loro scambio commerciale in yuan e rubli.

La Belt and Road Initiative ha ulteriormente consolidato il ruolo dello yuan nei mercati emergenti. Progetti infrastrutturali, come porti e ferrovie, vengono finanziati in yuan, riducendo la necessità di utilizzare il dollaro. Questa strategia rafforza i legami economici della Cina con Africa e America Latina, creando dipendenze strutturali e promuovendo la dedollarizzazione.

La Cina è leader nello sviluppo di valute digitali emesse da banche centrali (CBDC). Lo yuan digitale (e-CNY), lanciato in programmi pilota, è stato integrato in oltre 4 miliardi di dollari di transazioni nel 2022. Questa moneta digitale, insieme alle piattaforme blockchain annunciate dai BRICS, rappresenta un’alternativa al sistema SWIFT e riduce la vulnerabilità alle sanzioni economiche statunitensi.

Implicazioni per gli Stati Uniti

  1. Erosione del dollaro come valuta di riserva: La crescente accettazione dello yuan nei mercati globali riduce l’influenza del dollaro, compromettendo il ruolo degli Stati Uniti nella governance economica mondiale.
  2. Impatto sulle sanzioni economiche: La diffusione dello yuan e delle transazioni digitali limita l’efficacia delle sanzioni americane, riducendo la capacità di Washington di influenzare le politiche di altri stati.
  3. Deficit commerciale crescente: Con un deficit commerciale USA-Cina di 355 miliardi di dollari nel 2021, l’indebolimento del dollaro amplifica la vulnerabilità economica americana.

La strategia cinese rappresenta una minaccia strutturale alla supremazia economica e geopolitica degli Stati Uniti. Attraverso l’internazionalizzazione dello yuan e l’integrazione finanziaria nei mercati emergenti, Pechino sta ridefinendo gli equilibri globali, aprendo la strada a un sistema multipolare che ridimensiona il dominio del dollaro.

[1] Riferimenti Bibliografici




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