Il paradosso dell’inclusione a tutti i costi che esclude i giovani italiani in fuga all’estero

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Il tema dell’inclusione è ormai centrale nel dibattito pubblico, con politiche e iniziative volte a garantire pari opportunità a tutti i cittadini.

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L’inclusione forzata, quando applicata senza una visione equilibrata, può generare effetti collaterali inattesi. Tra questi, uno dei più preoccupanti è il rischio di escludere i giovani italiani che, non trovando spazio per le loro ambizioni, scelgono di emigrare all’estero.

Quanto successo a Milano nella notte di Capodanno, dove immigrati, alcuni dei quali irregolari e tutti pregiudicati hanno insultato il popolo e la polizia italiana  deve far riflettere i cittadini ma soprattutto le istituzioni che per molti anni hanno preso sotto gamba questo fenomeno.

L’accoglienza indiscriminata di tutti potrebbe alla fine distruggere il nostro Stato sociale, la nostra sanità, la nostra istituzione. 

La fuga dei giovani italiani non è un fenomeno nuovo. Da anni assistiamo a un esodo crescente, in cui studenti, ricercatori e lavoratori decidono  di lasciare l’Italia alla ricerca delle migliori opportunità. Le ragioni sono molteplici: salari più competitivi, maggiore meritocrazia, minore burocrazia e un senso di riconoscimento che spesso manca nel nostro Paese.

A queste si aggiunge un aspetto meno discusso ma altrettanto rilevante: il senso di esclusione che nasce quando alcune politiche di inclusione sembrano mettere in secondo piano il merito e il talento a favore di criteri rigidi e predefiniti.

Il mancato senso di sicurezza si aggiunge alle motivazioni economiche e professionali che già spingono molti giovani a lasciare l’Italia. In Paesi come la Germania, i Paesi Bassi oi Paesi scandinavi, non è solo il mercato del lavoro più dinamico ad attrarre i giovani, ma anche la percezione di vivere in città ordinate, pulite e ben controllate. Qui, la sicurezza è vista come un pilastro della qualità della vita, un valore che molti ritengono non sufficientemente tutelato in Italia.

Molti ragazzi hanno riportato di sentirsi a disagio nei centri urbani, soprattutto nelle ore serali, a causa di risse, vandalismi e comportamenti molesti. Quartieri considerati una volta sicuri, come i centri storici, sono ora spesso teatro di episodi che minano la serenità quotidiana. La sensazione di abbandono delle periferie, combinata con un aumento della concentrazione di persone in condizioni di disagio, contribuisce a diffondere un clima di incertezza.

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L’inclusione forzata, pur partendo da intenti nobili, può diventare controproducente se non tiene conto del contesto più ampio. Quando le risorse e le opportunità vengono canalizzate verso specifici gruppi, si rischia di trascurare una parte della popolazione che non rientra in alcuna categoria protetta, ma che affronta comunque difficoltà significative.

È il caso di molti giovani italiani che, pur essendo talentuosi e preparati, si trovano esclusi da percorsi professionali o accademici perché non corrispondenti ai requisiti di inclusione stabilità. Questo senso di ingiustizia può alimentare la disillusione e spingere sempre più giovani a guardare oltre i confini nazionali.

Un ulteriore aspetto critico è legato alla percezione di meritocrazia. In un sistema dove le decisioni sembrano essere guidate più da quote e categorie che dal merito, molti giovani si sentono demotivati. Questa mancanza di fiducia nelle istituzioni e nel sistema socio-economico italiano rappresenta una delle principali ragioni per cui i giovani scelgono di emigrare. La loro partenza, però, non è solo una perdita personale, ma un danno collettivo: il Paese perde energie, idee e competenze fondamentali per il proprio sviluppo futuro.

L’esclusione che deriva dall’inclusione forzata si manifesta anche nel settore educativo. Mentre vengono messe in atto misure per supportare gli studenti provenienti da contesti svantaggiati, altri giovani, che pur affrontano sfide significative, rischiano giustamente di essere ignorati. Questo squilibrio può alimentare un senso di alienazione e di disconnessione tra i giovani e il loro Paese d’origine, rafforzando il desiderio di emigrare.

Un inclusione e accoglienza selvaggia sta piegando la nostra sanità. L’arrivo di migranti, spesso in condizioni di salute precarie, comporta un aumento della domanda di servizi sanitari, soprattutto nei settori dell’emergenza e della medicina di base. Molti migranti necessitano di cure immediate per patologie trascurate nei Paesi di origine o durante il viaggio, aumentando la pressione su ospedali e ambulatori. Inoltre, le difficoltà linguistiche e culturali possono complicare ulteriormente l’accesso alle cure e la gestione dei pazienti.

La sanità italiana, già alle prese con carenze di personale, liste d’attesa e risorse insufficienti, si trova a gestire un’ulteriore complessità. In alcune regioni, soprattutto al Sud, il sistema sanitario fatica a garantire i servizi essenziali anche ai cittadini italiani, e l’inclusione di nuovi utenti può aggravare situazioni già critiche. Per questo i giovani decidono di fare scelte diverse, meglio verso l’estero. 

La fuga dei giovani italiani non è solo un problema generazionale, ma una questione che coinvolge tutta la società. L’esodo giovanile contribuisce al declino demografico, impoverisce il tessuto innovativo e produttivo del Paese e accentua le disuguaglianze territoriali. La partenza di migliaia di giovani rappresenta un campanello d’allarme che non può più essere ignorato.

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Per affrontare questa situazione è necessario ripensare il concetto stesso di inclusione. Un approccio inclusivo autentico deve mirare a garantire pari opportunità a tutti, senza penalizzare nessuno. Ciò significa integrare le politiche di inclusione con criteri meritocratici, assicurando che il talento e l’impegno siano sempre riconosciuti e valorizzati. È fondamentale anche investire in politiche che migliorino le condizioni lavorative e riducano la precarietà, offrendo ai giovani incentivi concreti per restare in Italia e contribuire al suo sviluppo.

Un’altra soluzione potrebbe essere quella di promuovere esperienze internazionali senza però perdere il legame con il territorio. Facilitare stage, scambi accademici e opportunità di formazione all’estero potrebbe arricchire il bagaglio culturale e professionale dei giovani, ma è altrettanto importante creare le condizioni per farli tornare. Questo richiede un sistema che premi le competenze acquisite e che offra prospettive di crescita reali.

Infine, è necessario ascoltare i giovani, coinvolgendoli attivamente nella definizione delle politiche che li riguardano. Solo attraverso un dialogo aperto e sincero possiamo comprendere le loro esigenze e costruire un sistema che risponda davvero alle loro aspirazioni. L’inclusione non significa imporre regole rigide, ma creare un ambiente in cui ogni individuo possa esprimere il proprio potenziale senza sentirsi escluso.

La vera inclusione è quella che valorizza ogni talento, indipendentemente dalle categorie. Solo costruendo un’Italia più giusta, meritocratica e aperta al futuro potremo arginare la fuga dei giovani e garantire un domani migliore per tutti.

I NUMERI –  Nel 2022 e nel 2023 quasi 100mila giovani italiani hanno lasciato il Paese, mentre solo poco più di 37mila sono rientrati. Nel periodo 2011-23 (tredici anni) il totale delle cancellazioni anagrafiche per l’estero sale a 550mila, contro 172mila iscrizioni (rientri), per un saldo negativo di 377mila persone.



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