Quando tocchiamo i vestiti, siamo in grado di riconoscere il materiale di cui sono composti? Ci avvolgono in fasce appena veniamo messi al mondo, eppure se ci chiedessero di capire, semplicemente toccando, che tessuto è quello che ci protegge dall’esterno, difficilmente sapremmo dare una risposta. La poca conoscenza che abbiamo del tessile è un tema di cui sostanzialmente ci interessa poco, e diamo precedenza, invece, all’estetica del prodotto. A dimostrare la scarsa attenzione da parte dei consumatori è, per esempio, il “cubo tattile” di ro.up (un progetto rigenerativo, nato dalla creatività di tre sorelle, a cavallo tra social & fashion design) presentato durante la scorsa Design Week 2024.
Con il “cubo tattile” si può interagire. Anzi, si deve. A guidare l’experience è Veronica Motta, una delle sorelle, che ai presenti chiede: «chiudete gli occhi e immaginatevi davanti al vostro armadio, prendete il capo che vi piace di più. Ora aprite gli occhi e infilando la mano in una di queste fessure, cercate di capire a quale di queste stoffe si avvicina di più il vostro capo, e provate a dirmi di cosa si tratta». Lo scopo è quello di affidarsi soltanto al tatto per indovinare la fibra. Motta ci rivela che appena un terzo delle persone che partecipa a questa performance è in grado di riconoscere i tessuti, e chi ci riesce fa parte del gruppo degli «addetti al settore, studenti di moda e persone appassionate».
Questa performance a cui abbiamo assistito noi de Linkiesta Etc, vuole indirizzare i partecipanti a prendere coscienza di quanto siamo abituati a comprare compulsivamente senza soffermarci sulle conseguenze delle nostre scelte. In questo modo si arriva a sostenere la sovrapproduzione di vestiti e la mancata circolarità delle risorse. Secondo il Global Footprint Network (un think tank che sviluppa strumenti per promuovere la sostenibilità, misurando la quantità di risorse che utilizziamo e quante ne abbiamo) l’Earth Overshoot Day nel 2024 è avvenuto il primo agosto. Questo giorno indica che l’umanità ha già utilizzato le risorse che la Terra impiega a generare in dodici mesi. Secondo il WWF «a livello globale stiamo consumando l’equivalente di 1,7 Pianeti all’anno, cifra drammatica che potrebbe arrivare nel 2030 a due pianeti sulla base delle tendenze attuali».
Esistono, però, delle realtà che tengono in considerazione questo quadro storicamente drammatico. Si tratta di brand a cui non interessa bollarsi di verde per mettere in scena il fantoccio della “sostenibilità”, ma anzi, sono già nati con l’intento di essere etici, immettendo sul mercato prodotti recuperati o che compensano gli sprechi e gli inquinamenti ambientali. Uno di questi è Festa Foresta, brand italiano di costumi da bagno e intimo fondato nel 2020, con cui ci siamo confrontati. Proprio Laura Zura – Puntaroni, la fondatrice, ci ha detto «il mio business e tutto quello che faccio non è nato come un’azione commerciale fine a sé stessa, per poi adeguarsi al recente trend della sostenibilità. Per Festa Foresta la sostenibilità è il punto di partenza, arrivando a restringere il mio campo d’azione nella produzione». L’impegno del brand, però, non si è fermato, ma prosegue anno dopo anno nella ricerca di nuovi prodotti, fornitori e tecniche innovative di realizzazione che compensino gli sprechi e riducano al minimo il proprio impatto. Il confronto con la fondatrice di Festa Foresta è proseguito fino a scardinare aspetti interessanti che riguardano l’industria dei vestiti.
Parto dal company profile di Festa Foresta, e in particolare dalla chiosa che recita «ora l’azienda si impegnerà a perseguire e migliorare ulteriormente la sua produzione e distribuzione in un’ottica green». Quali sono gli obiettivi per il 2025 che il brand si è prefissato per implementare le pratiche volte a ridurre l’impatto ambientale?
Allora ti faccio una premessa, cioè che da febbraio di quest’anno la società è diventata società benefit. Cosa significa? Significa proprio cambiare lo statuto della società, quindi dichiarare che oltre a un fine di profitto c’è proprio la volontà di apportare un beneficio al pianeta, all’ambiente e alle persone. Questo mi permette di darmi degli obiettivi annui, perché quando ti dichiari come tale, devi mettere giù un report della tua azienda; per quello dell’anno prossimo l’obiettivo è quello di riuscire a misurare l’impatto nella produzione dei collant con lo scopo di riuscire a immettere nel mercato un prodotto che sia a impatto zero. Per esempio, tutta l’anidride carbonica che viene immessa producendo un paio di collant, viene poi compensata affiliandosi con associazioni che attuano una serie di iniziative (come piantare alberi) per compensare le emissioni nocive. Parlo dei collant perché sono un prodotto che a livello di produzione vengono pilati e realizzati nello stesso stabilimento, quindi riesco ad avere il controllo di quanta anidride carbonica viene emessa.
Il report a cui mi accennavi è consultabile? Dove?
Dal sito, online e sarà pubblico, quindi qualunque persona può scaricarlo.
Viene stilato internamente?
Lo realizziamo noi. C’è un grande lavoro dietro perché non hai delle linee guida per farlo, fondamentalmente sei molto libero, però ovviamente tutto quello che dichiari va dimostrato. Per esempio, sono partita dal giorno zero con i packaging di cotone e di carta, quindi non scriverò mai nel report che abbiamo eliminato l’ottanta per cento della plastica dalla nostra produzione, però dichiareremo che tutti quanti i sacchetti di cotone sono di cotone riciclato perché siamo riusciti ad ottenere la certificazione, quindi l’acquirente sa esattamente dove e come è fatto. Il report poi, viene pubblicato tra dicembre e gennaio.
Festa Foresta dove si riesce a spingere nella conoscenza della sua materia?
Questa è una domanda che mi piace molto perché io sono ossessionata dal conoscere sia le persone con le quali lavoro sia proprio quello che c’è dietro. Di solito quello che faccio è visitare di persona le aziende per capire chi ho davanti, come si espongono e anche come si pongono davanti a un brand piccolo. Poi, il passo successivo è indagare dove e come viene prodotto il tessuto, studiando le certificazioni che contraddistinguono la fibra.
Gli acquirenti come possono risalire all’intera filiera produttiva oltre che a essere informati sulle componenti del prodotto? L’etichetta veicola questo tipo di informazioni? L’etichetta adesso non ha QR code perché i prodotti sono in tanti tessuti diversi e provengono anche da diversi fornitori, quindi non abbiamo questo meccanismo per cui tu puoi seguire tutta la produzione da capo. Al momento tutte le informazioni le trovi dal sito. Poi mi rendo conto che è molto difficile che un cliente vada a cercarsi queste informazioni, quindi l’impegno del brand è quello di comunicare in pillole, con i social. Diciamo che per l’anno prossimo mi piacerebbe riuscire a istruire di più i clienti e le clienti allo shopping. Alla fine dobbiamo ri-educarci un po’ tutti, perché su tante cose c’è effettivamente una mancanza di conoscenza.
Quanti capi per ciascun prodotto realizzate?
Il mio brand ha tanti prodotti continuativi, e io non penso che ogni anno serva qualcosa di nuovo, e non penso neanche che il costume che ci andava bene quattro anni fa adesso non sia più “ok”. Quindi stiamo mettendo appunto proprio in questi giorni un grafico per rendere nota la nostra logica del magazzino. Di solito cerco di capire quale sarà la richiesta della stagione e produrre quello che basta. Poi appunto avendo questi rapporti anche molto vicini con i laboratori di produzione, riesco a gestire facilmente i restock, con più controllo e cognizione. Però, piuttosto preferisco avere dei pezzi in meno e rimanere senza cose da vendere, che avere questi magazzini sempre pieni. Certo questo va a discapito poi di quella che è la richiesta, perché tantissime volte c’è la percezione che i capi siano sold out, ma non vogliamo contribuire alla sovrapproduzione, propinando capi fuori stagione e producendo quantità non necessarie. Realizzarne di più mi permetterebbe di abbattere i costi, ma questo va contro quello che è il core del brand.
Chi sono gli acquirenti di Festa Foresta? Qual è la fascia d’età delle persone che acquistano e cosa li incuriosisce del brand?
La fascia d’età è ampia, che è una cosa che mi stupisce sempre molto. Trovo che sia molto bello perché avere un target grande mi fa capire che alla fine la semplicità nel prodotto ripaga. Le motivazioni per cui si sceglie il mio brand sono diverse. C’è una fascia d’età che va dai diciotto ai ventinove anni che compra per supportare i piccoli brand che adottano iniziative per ridurre il proprio impatto. Invece c’è una fascia d’età più estesa, che va dai quaranta ai quarantacinque anni, che invece sceglie il brand per la vestibilità, la comodità e per la percezione che i prodotti durino tantissimo.
Uno dei figli del consumismo è l’obsolescenza programmata. Festa Foresta in che modo riesce a evitarla? Qual è la durabilità di un suo prodotto?
Penso che tutti noi abbiamo quel costume a cui siamo affezionati da dieci anni, che ci piaceva come stava addosso, come ci faceva sentire, nonostante possa essere passato di moda, ma lo senti sempre come tuo, come il capo che non vorresti mai cambiare. Quel costume che metti in valigia, sapendo che va bene sempre, che ti fa sentire bene. Diciamo che il mio scopo è di darti quel prodotto lì. Che non duri uno o due anni, ma che tu possa sempre averlo con te.
Infine, a chiosa di questa conversazione vorrei parlare di circolarità. Festa Foresta, come si inserisce in questo discorso?
Allora diciamo che è difficile avere un prodotto che sia completamente riciclabile perché non è facile togliere la componente plastica ma, non stiamo immettendo una nuova fibra nell’ecosistema stiamo andando a riprendere qualcosa che è stato già utilizzato. Per quanto riguarda l’intimo ti faccio un esempio, due anni fa avevamo il “nylon con degradabilità accelerata” cioè un tessuto che una volta messo in discarica, in cinque anni spariva, non lasciando alcuna traccia nell’ambiente. Purtroppo è una fibra sperimentale, nata da poco e dai costi elevati, quindi ci siamo detti “non siamo pronti”. La volontà sarà quella di trovare dei tessuti che siano riciclabili e quindi essere la prima parte di questo ciclo, però, per ora la via più percorribile è quella di essere all’ultimo step.
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