La partita non è facile e sia il presidente eletto Donald Trump, sempre più vicino al giorno dell’insediamento alla Casa Bianca il 20 gennaio, sia la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, ne sono consapevoli. Ma l’obbiettivo, concordano, è lo stesso per l’America come per l’Europa. Ed è «arrivare alla pace» tra russi e ucraini nel 2025. Lo ha detto pure il leader ucraino, Zelensky, il 18 dicembre a Bruxelles, nella cena che ha visto allo stesso tavolo la premier Meloni, altri capi di governo tra cui il cancelliere tedesco Scholz, i presidenti polacco e olandese e i ministri degli Esteri di Francia e Gran Bretagna, nella residenza brussellese di Mark Rutte, neo-segretario generale della Nato. E Giorgia Meloni è la prima commensale di quell’incontro, forse decisivo, a poterlo riferire in prima persona a Trump, nel salone delle feste a Mar-a-Lago.
UNDERDOG
Il clima è quello giusto. Il prossimo inquilino della Casa Bianca si fida della premier italiana, che considera una «donna fantastica», in grado di portare in Europa una ventata di novità e realismo. In qualche modo, si riconosce nel suo percorso da underdog, da outsider. Trump e Meloni concordano che è arrivato il momento di fare un salto in avanti sull’Ucraina, e il Presidente eletto degli Usa confida nella capacità del capo del governo italiano di «mediare» tra Washington e l’Ue, se non addirittura tra la Casa Bianca e la Nato. I dossier sono numerosi e c’è attesa in tutta Europa per le prime mosse che farà il Tycoon una volta insediato. Se ribadirà la pressione sui membri del gruppo europeo della Nato perché aumentino le spese militari, e se il suo disimpegno geopolitico costringerà l’Unione a «fare da sola» nell’assistenza militare ed economica a Kiev. Trump e Meloni condividono a Mar-a-Lago la necessità di andare incontro alle aspettative delle reciproche opinioni pubbliche sulla pace. Per Trump si tratta di una promessa elettorale, al punto che già il primo giorno di insediamento vorrebbe poter annunciare un possibile cessate il fuoco. E per la Meloni di un’esigenza di coesione politica interna e di consenso in Italia, dopo essere riuscita per quasi tre anni a confermare con coerenza il sostegno italiano alla giusta guerra difensiva dell’Ucraina, in sintonia con gli Stati Uniti del Presidente Biden.
IL NODO STANCHEZZA
È così che Meloni espone a Trump la sua posizione sul prosieguo della crisi, per lo più ascolta ma poi insieme ragionano sulla «stanchezza» dell’Europa e degli stessi ucraini riguardo a una guerra che potrebbe non avere fine. E introduce il tema del gas, dopo la decisione di Zelensky di impedire il passaggio delle forniture per il suo territorio. Trump illustra il piano messo a punto dall’inviato speciale che ha designato per il conflitto russo-ucraino, il generale Keith Kellogg, che presto volerà in Europa per confrontarsi con i leader Ue e col premier britannico Starmer. Il piano è stato respinto da Putin su due punti cruciali: il dispiegamento di forze europee in Ucraina per garantire Zelensky, e la prospettiva dell’adesione dell’Ucraina alla Nato. Che Trump vorrebbe sospendere per almeno vent’anni, ma non all’infinito. Né Trump vuole la capitolazione dell’Ucraina, né Meloni vuol portare avanti questa guerra difensiva all’infinito. Il «bagno di realtà» evocato dalla premier italiana a Bruxelles lo ribadisce lei stessa a casa Trump in Florida. Ucraina, Nato e gas sono temi collegati fra loro. Qualche riflessione sul Medio Oriente inevitabilmente ricade in uno degli obiettivi della traversata atlantica della Meloni: l’approccio al conflitto tra Israele e l’Iran e i suoi proxy, sullo sfondo del negoziato per la liberazione della giornalista Cecilia Sala. I quotidiani americani, specie quelli vicini a Capitol Hill, sottolineano la presenza a Mar-a-Lago, nella cena con Meloni, di altri membri del futuro gabinetto di Trump, a cominciare dal segretario di Stato Marco Rubio, da quello al Tesoro Scott Bessent, e dal consigliere per la sicurezza nazionale, Mike Waltz. Una presa di contatto importante per imbastire un rapporto di collaborazione e fiducia, un filo diretto tra gli staff, oltre che tra i leader. Che accresce le quotazioni e i margini di manovra politica di Meloni. Sia nella Ue che nella Nato.
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