I cambiamenti climatici hanno aggravato il problema di disponibilità di acqua potabile a livello globale. Secondo l’Unesco, tra i 2 e i 3 miliardi di persone nel mondo sperimentano carenze idriche, un problema che nei prossimi decenni potrebbe peggiorare, soprattutto nelle aree urbane. La qualità dell’acqua potabile è influenzata negativamente dai cambiamenti climatici. L’aumento delle temperature globali altera il ciclo dell’acqua, provoca eventi meteorologici più intensi come siccità e alluvioni e modifica la distribuzione delle precipitazioni. L’Italia, insieme ad altri Paesi mediterranei come Spagna, Grecia, Cipro e Turchia, è tra le aree più colpite dalla carenza idrica innescata dai cambiamenti climatici. Inoltre, gli esperti prevedono che, in scenari di riscaldamento globale, il numero di persone colpite da scarsità d’acqua in Europa aumenterà significativamente.
Per discutere di questo particolare aspetto della risorsa idrica, abbiamo raggiunto Pierluigi Randi, tecnico meteorologo certificato, presidente dell’Ampro (Associazione meteo professionisti) e socio fondatore di Meteocenter, di cui è responsabile di climatologia, agrometeorologia, didattica, analisi e verifica prodotti di modellistica numerica.
L’aumento delle temperature, gli eventi meteorologici estremi e l’innalzamento del livello del mare stanno minacciando la disponibilità di acqua dolce. Quali sono i costi per il settore idrico?
L’aumento delle temperature, gli eventi meteorologici estremi e l’innalzamento del livello del mare, aspetti inconfutabilmente dimostrati dai dati osservati, hanno un impatto significativo sul settore idrico, comportando una serie di significativi costi economici, ambientali e sociali. Sotto il profilo economico l’aumento delle temperature e la maggiore frequenza di eventi estremi richiedono grandi investimenti per aggiornare e rinforzare le infrastrutture idriche esistenti. Ciò include il miglioramento dei sistemi di trattamento delle acque reflue e la protezione delle risorse idriche contro l’intrusione salina (cuneo salino). Inoltre, le temperature estive più elevate, associate a una contestuale diminuzione delle precipitazioni nella stagione irrigua, comportano un sensibile aumento dell’evapotraspirazione media giornaliera che si traduce in una maggiore richiesta d’acqua per uso irriguo.
Le alte temperature e gli eventi estremi possono aumentare i costi delle aziende di gestione delle risorse idriche. Ad esempio, durante periodi di siccità, potrebbe essere necessario pompare acqua da sorgenti più profonde o distanti, aumentando così il consumo energetico. Gli eventi meteorologici estremi, come inondazioni e tempeste violente, possono danneggiare le infrastrutture idriche, portando a costi elevati per riparazioni e manutenzioni urgenti. L’intrusione salina nelle falde acquifere costiere a causa dell’innalzamento del livello del mare può compromettere la qualità delle risorse idriche dolci. Gli ecosistemi acquatici e terrestri che dipendono da specifici regimi idrici possono essere gravemente colpiti, portando a una perdita di biodiversità. Gli eventi di pioggia estrema aumentano il rischio di contaminazione delle acque superficiali e sotterranee a causa del dilavamento di sostanze inquinanti di origine industriale e urbana, come ad esempio successo in occasione dell’alluvione del maggio 2023 in Romagna.
Quali potrebbero essere le misure più efficaci per adattare la gestione dell’acqua agli effetti del cambiamento climatico?
Sono necessarie misure che comprendano strategie a breve e lungo termine. Esse devono essere integrate e non possono prescindere da una collaborazione tra istituzioni, comunità locali e il settore privato. Servirà investire in infrastrutture resilienti come dighe, invasi, serbatoi e canali per gestire meglio le risorse idriche durante eventi estremi. Dovremo inoltre “ridare spazio” ai nostri corsi d’acqua onde renderli più resistenti agli eventi di piena ordinaria e straordinaria; infatti, negli ultimi decenni gli alvei sono diventati troppo ristretti con le inevitabili conseguenze. Sarà necessario promuovere tecnologie e pratiche che aumentino l’efficienza nell’uso dell’acqua in agricoltura, industria e uso domestico/civile, con l’adozione di sistemi a basso consumo. La tecnologia potrà darci una mano, consentendo l’utilizzo di modelli climatici avanzati per prevedere l’andamento delle risorse idriche e pianificare adeguatamente le strategie, ma saranno indispensabili soprattutto per sviluppare piani di emergenza onde far fronte a periodi di siccità o inondazioni, garantendo una risposta rapida ed efficace. Si dovrà poi agire sulla sensibilizzazione e sulla divulgazione, ovvero promuovere la consapevolezza sull’importanza della conservazione dell’acqua e sui modi per ridurre il consumo idrico.
L’Italia, insieme ad altri Paesi mediterranei come Spagna, Grecia, Cipro e Turchia, è tra le aree più colpite dalla carenza idrica a causa dei cambiamenti climatici. Per il riscaldamento globale, si prevede che il numero di persone affette da scarsità d’acqua in Europa possa aumentare significativamente. Nello specifico, in Italia si potrebbero avere riduzioni fino al 25% in alcune regioni. Perché il nostro Paese è così a rischio e cosa si può fare per combattere questa minaccia?
L’Italia è particolarmente vulnerabile alla carenza idrica a causa di una combinazione di fattori climatici, geografici, demografici e gestionali. Il clima mediterraneo è caratterizzato da estati calde e secche e inverni miti e piovosi, in particolare, per quanto concerne l’Italia, sulle regioni centro-meridionali e sulle Isole Maggiori. Tuttavia, i cambiamenti climatici stanno rendendo le estati sempre più calde e secche con precipitazioni sempre più irregolari e concentrate in brevi periodi di tempo, spesso sotto forma di eventi estremi. Stanno aumentando i cosiddetti colpi di frusta delle precipitazioni, ovvero lunghi periodi con piogge inferiori alla norma, alternati a brevi periodi con piogge eccessive. Entro la fine del Ventunesimo secolo, in uno scenario con elevate emissioni di gas climalteranti (RCP8,5) la frequenza dei colpi di frusta potrebbe aumentare, entro il 2050, di 2,56 ± 0,16 volte rispetto al periodo 1979-2019, con transizioni sempre più rapide e intense tra i due estremi. In futuro avremo un minor numero di eventi perturbati sulla regione mediterranea, meno pioggia in generale, ma con una maggior intensità degli eventi piovosi associati ai sistemi perturbati in transito nel Mediterraneo centro-occidentale, inclusa l’Italia (scenario con buon livello di confidenza). Ma c’è dell’altro: l’Italia ha un’orografia molto complessa, quindi la disponibilità di acqua varia notevolmente da una regione all’altra. Le regioni del Sud e delle isole sono particolarmente vulnerabili alla siccità, poiché più spesso e per un tempo maggiore sono invase da vasti promontori anticiclonici sub-tropicali di tipo continentale (nord africani), i quali si espandono sempre più verso Nord. Inoltre, la salute di molti fiumi italiani dipende dalle nevicate invernali sui rispettivi rilievi in merito alla disponibilità di acqua in estate. Con il riscaldamento, la diminuzione delle nevicate e la rapida fusione dei ghiacciai riducono questa importante riserva d’acqua. Per combattere la minaccia della carenza idrica serve un miglioramento delle infrastrutture idriche che si traduce in una modernizzazione della rete la quale può sensibilmente ridurre le perdite. In agricoltura sarà utile coltivare specie che richiedano meno acqua rispetto a molte di quelle tradizionali, mentre un occhio di riguardo dovrebbe essere riservato alla conservazione delle risorse naturali, ripristinando le zone umide per migliorare la ricarica delle falde acquifere e la regolazione del ciclo idrologico.
Lo scorso marzo l’Unione europea ha chiesto ai governi nazionali di intensificare le politiche per contrastare il cambiamento climatico, avvertendo che la scarsità d’acqua potrebbe causare anche dei conflitti sociali. Si faceva l’esempio della Catalogna, colpita dalla siccità, che ha cercato di convincere il governo spagnolo a deviare l’acqua del fiume dalla vicina Aragona, e della Francia, che lo scorso anno ha visto violenti scontri sui progetti per nuovi serbatoi d’acqua per l’irrigazione in Nuova Acquitania. Oggi la situazione idrica nei Paesi Ue è tale da poter innescare degli scenari del genere?
Certamente. La situazione idrica nei Paesi dell’Unione europea è attualmente tale da poter innescare conflitti sociali e politici simili a quelli citati. La scarsità d’acqua, esacerbata dal cambiamento climatico e dalla crescita demografica, sta creando tensioni significative in diverse regioni per svariati motivi. In primo luogo l’aumento della frequenza e della gravità delle siccità. I periodi siccitosi stanno diventando più frequenti, duraturi ed estesi in molte aree d’Europa, riducendo la disponibilità di acqua per uso agricolo, industriale e civile. Pertanto, la competizione tra diverse regioni, settori economici e comunità per l’accesso alle risorse idriche è in aumento. Inoltre, la dipendenza da fonti d’acqua condivise può rappresentare un elemento di attrito: molti fiumi e bacini idrografici in Europa sono condivisi tra più Paesi e regioni, il che può creare conflitti sull’allocazione e la gestione delle risorse idriche. L’esempio della Catalogna e dell’Aragona in Spagna è lampante. Anche la stessa costruzione di nuovi invasi o progetti di deviazione dei fiumi può alimentare preoccupazioni tra le comunità locali riguardo all’impatto ambientale e alla distribuzione equa delle risorse idriche, come dimostrato dagli scontri in Francia.
Per quanto riguarda l’Italia, lo scorso maggio è stato pubblicato il decreto direttoriale per l’assegnazione di 1 miliardo di euro aggiuntivi (fondi provenienti dal Pnrr) da destinare alla riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua. Lei ritiene che sia una misura sufficiente per contrastare il problema delle perdite?
Il decreto rappresenta certamente un passo significativo verso la risoluzione del problema. Tuttavia, se questa misura sia sufficiente o meno dipende da diversi fattori. Abbiamo sicuramente degli impatti positivi: 1 miliardo di euro è una somma considerevole che può portare a miglioramenti tangibili nelle infrastrutture idriche. Può finanziare la riparazione e l’ammodernamento delle reti, riducendo le perdite d’acqua e migliorando l’efficienza complessiva del sistema. Gli interventi finanziati con questi fondi possono avere un impatto immediato, riducendo le perdite d’acqua nel breve termine e migliorando la disponibilità di risorse idriche per uso domestico, agricolo e industriale. L’allocazione di fondi può incentivare l’adozione di nuove tecnologie e metodologie per la gestione delle reti, come l’uso di sensori per il monitoraggio delle perdite e sistemi di gestione avanzata. Non mancano però delle limitazioni. Le perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua in Italia sono un problema di lunga data e di vasta portata. Quindi, sebbene 1 miliardo di euro sia un investimento importante, potrebbe non essere sufficiente a risolvere il problema. Inoltre, l’efficacia dell’investimento dipende dalla capacità di gestire e implementare i progetti in modo efficiente. Problemi burocratici, ritardi nei lavori e una gestione inefficiente potrebbero ridurre l’impatto dei fondi assegnati. E questo è purtroppo un brutto vizio del nostro Paese.
Vi sono delle nuove tecnologie che possono aiutare?
Sì, ci sono diverse nuove tecnologie che possono aiutare significativamente nella gestione e riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, migliorando l’efficienza complessiva e la sostenibilità. Qualche esempio: abbiamo tecnologie di monitoraggio avanzato come sensori IoT e monitoraggio in tempo reale. I sensori IoT (Internet of Things) possono essere installati lungo le condutture per monitorare in tempo reale il flusso e la pressione dell’acqua. Essi rilevano immediatamente o in tempo reale le anomalie che potrebbero indicare perdite; permettono la rilevazione precoce delle stesse, riducendo il tempo necessario per localizzarle e ripararle. Poi non mancano tecnologie di riparazione e manutenzione come le riparazioni trenchless, ovvero il rivestimento interno delle condutture e la sostituzione senza scavo, le quali consentono di riparare o sostituire strutture danneggiate senza dover scavare grandi trincee. Anche i droni possono essere di grande aiuto ispezionando le condutture e le infrastrutture sotterranee, raccogliendo dati visivi e sensoriali per identificare problemi senza la necessità di scavi estesi. Infine, i water management systems (Wms), che sono sistemi avanzati che utilizzano software di modellazione e simulazione per ottimizzare la distribuzione e l’uso delle risorse idriche. Anche l’intelligenza artificiale (AI) sarà di sicuro ausilio consentendo di analizzare grandi quantità di dati provenienti da sensori e altri strumenti.
Cosa si sta facendo attualmente e cosa si potrebbe fare in futuro?
Diverse città italiane stanno implementando sistemi di monitoraggio avanzato, utilizzando sensori IoT per rilevare perdite in tempo reale e ottimizzare la gestione delle reti idriche. Molte regioni stanno sviluppando piani di gestione integrata delle risorse idriche che includono la conservazione delle risorse, l’ottimizzazione dell’uso dell’acqua e la protezione degli ecosistemi idrici. Alcune regioni stanno anche implementando progetti per il trattamento e il riutilizzo delle acque reflue, soprattutto in agricoltura, onde ridurre la domanda di acqua dolce.
Cosa si potrebbe fare: sicuramente investire di più nella modernizzazione delle infrastrutture idriche, con particolare attenzione alla riduzione delle perdite e all’adozione di tecnologie avanzate per la gestione delle reti. Sviluppare piani a lungo termine per la gestione delle risorse idriche che considerino gli impatti del cambiamento climatico e la crescita demografica. Naturalmente, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Abbiamo validissimi strumenti e moderne tecnologie per cercare di far fronte ai problemi che ci sottopongono, e ci sottoporranno in futuro, gli impatti derivati dal cambiamento climatico, ma il passo più importante riguarda la volontà di agire, una vera presa di coscienza del problema, e non lesinare sugli investimenti, altrimenti rimarremo fermi ai buoni propositi.
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