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Patrizia Forneris è da dieci anni presidente del Gruppi di Volontariato Vincenziano per i Senza fissa dimora a Torino. Una struttura laica di ispirazione religiosa, dove i volontari sono cattolici ma anche non credenti, impegnati ad offrire vari tipi di servizi ai senza dimora. Si aiutano i poveri, o meglio i miseri, cioè le vittime della società malata in cui viviamo, con pacchi alimentari, ma non solo. La struttura si avvale anche di un volontario medico, già primario di ospedale e ora in pensione, che visita i bisognosi. Con un modello di solidarietà che è parallelo alla solidarietà che i miseri vivono fra di loro. In questa intervista, Patrizia Forneris racconta come ci si occupa di questa umanità confinata ai margini, ma anche di chi sono i cittadini che vengono assistiti. Con un aumento delle donne italiane, abbandonate dai mariti
◆ L’intervista di FABIO BALOCCO con PATRIZIA FORNERIS, presidente Gruppi di volontariato Vincenziano
► Stiamo attraversando un periodo di festa, anche se, ad onor del vero, sembra ci sia davvero poco da festeggiare, almeno per chi ha una visione laica del periodo. Men che meno hanno da festeggiare coloro che sono miseri. E qui permettetemi di ricordare Padre Cesare Falletti. Egli afferma che i poveri sono coloro che scelgono questo regime di vita, mentre i miseri lo subiscono, come boccone avvelenato di una società malata (e forse anche avviata alla fine). Quindi, ecco la decisione presa di intervistare chi ha a che fare con i miseri, chi ha scelto di aiutarli. Per fare questo ho scelto la presidente di un gruppo vincenziano di Torino. Torino è una delle città più accoglienti d’Italia per chi non ha, e questo grazie soprattutto all’iniziativa di gruppi privati, fra i quali spiccano le strutture legate a San Vincenzo, formate da religiosi e laici, che offrono vari tipi di servizi ai senza dimora. Nell’intervista, ma solo per comodità, viene usato il termine “povertà” e non “miseria”.
Di fronte a me, Patrizia Forneris, presidente da ben dieci anni dei Gruppi di Volontariato Vincenziano Senza Fissa Dimora (Odv). Siamo in un edificio di due piani sito in Via Gaspare Saccarelli 21. Voi siete una struttura laica, ma collegata con la struttura religiosa. In che modo? «Perché noi seguiamo l’esempio di San Vincenzo. Quindi siamo laici, ma con una base culturale religiosa. Siamo cattolici, anche se da noi operano anche alcuni volontari non credenti. Siamo in totale trentun volontari».
— A Torino, oltre a voi, ci sono altre strutture laiche vincenziane?
«Ce ne sono circa una trentina e hanno quasi tutte sede presso le parrocchie, a differenza di noi che abbiamo questa sede autonoma».
— Nel 2017, per le Edizioni Neos di Torino, io svolsi un’indagine sulla povertà a Torino. Se sono qui adesso è per capire se e come è cambiata la povertà in città da allora.
«Premesso che io preferisco parlare di indigenti o di senza fissa dimora o amici, anziché di poveri, comunque la situazione sicuramente è cambiata: in peggio. Specialmente a seguito della pandemia e specialmente per gli uomini. Il primo passo per loro è stato perdere il lavoro, il secondo perdere la casa e la famiglia, quella famiglia che non accetta che appunto l’uomo perda il lavoro. Quindi, abbiamo assistito a una vera e propria disgregazione dei nuclei familiari. Noi siamo partiti dal 2018 con 250 assistiti, ora ne abbiamo 445. Anche se non è che tutte le settimane vengano 445 persone. Queste sono quelle registrate (è sufficiente che ci mostrino un documento, carta d’identità o passaporto), ma un po’ vengono da noi, un po’ vanno presso altre strutture di assistenza».
— Le etnie?
«Soprattutto molti africani, poi siriani, rumeni, e poi anche ucraini, a seguito della guerra. Età dai trent’anni in su. Non sono tanti gli italiani, anche se abbiamo notato un aumento delle donne italiane, solitamente abbandonate dai mariti».
— Quali servizi fornite?
«Noi non abbiamo un dormitorio. Al momento apriamo al martedì mattina e al giovedì tutto il giorno. Il martedì mattina diamo la colazione e distribuiamo l’abbigliamento che ci viene regalato e ogni due settimane distribuiamo anche indumenti intimi nuovi. Poi, una volta al mese diamo anche due gettoni per lavare l’intimo, uno appunto per lavare ed uno per asciugare, nelle lavanderie pubbliche. Il giovedì invece dalle 7.30 in poi distribuiamo colazione e pacchi con cibarie».
— Voi da quello che capisco non avete una mensa.
«No, noi riceviamo il cibo dal Banco Alimentare, diviso in due gruppi. Un pacco piccolino per le persone non iscritte al Comune di Torino, cioè i senza fissa dimora (sfd) che non hanno la residenza in via della casa comunale. Per questi è riservato un pacco più piccolo, da consumare in giornata (tonno, crackers, formaggini succo di frutta, acqua e un dolcino). Invece, dato che coloro che sono iscritti si presume che abbiano un puntodi appoggio, per loro prepariamo un pacco più grande (spaghetti, pomodoro, latte, biscotti, brioche). Tenga conto che noi stessi insistiamo affinché i poveri prendano la residenza presso la casa comunale, e quindi possano usufruire dei dormitori pubblici e dei servizi sociali e anche fare domanda per la casa popolare. Al pomeriggio, sempre del giovedì, ci dedichiamo non alle persone singole ma alle famiglie, quelle che hanno un Isee inferiore agli 8000 euro all’anno, per le quali il Banco Alimentare ci fornisce uno specifico pacco più grande. I primi due giovedì del mese assistiamo le famiglie straniere, gli altri due giovedì le famiglie italiane, questo perché hanno abitudini alimentari diverse. Questa è la nostra attività principale. Poi c’è una volontaria che va in carcere tutti i giovedì e porta cibo e vestiario. E ogni giovedì è presente un medico in pensione (ex primario del Pronto Soccorso Ospedale Molinette) visita chi ha bisogno e prescrive medicine non di banco specifiche per le patologie dei pazienti».
— C’è solidarietà tra i poveri?
«Sì, si aiutano molto tra loro, ad esempio si scambiano tra loro i generi alimentari. Purtroppo però capita anche che vadano a mangiare nelle mense e poi si vendano il pacco alimentare, magari per comprarsi dell’alcool, birra o vino, e questo ovviamente non lo possiamo tollerare».
— Dove dormono?
«Le dirò, molti, purtroppo, pur avendone diritto, nei dormitori non ci vanno. Un po’ perché alcuni dormitori, in periferia, non sono sorvegliati, sono dei semplici container, e chiunque può entrare e uscire, con quello che ne può conseguire. E anche nei dormitori sorvegliati molti non vogliono andare, soprattutto donne, e specialmente quelle straniere».
— Esistono ancora i classici clochard, che scelgono di dormire per strada, per i quali la strada è una scelta di vita?
«Sono figure in via di estinzione: oggi chi dorme per strada è perché vi è costretto, un po’ perché teme i dormitori, un po’ perché non ha punti di riferimento su cui contare».
— Torino è vero che è una città molto accogliente, ad esempio voi partecipate anche a bandi e ottenete sovvenzioni per la vostra attività, ma veniamo a un punto che credo sia dolente: voi volontari credo siate tutti pensionati. C’è un turn over?
«Vero, l’età media dei volontari qui è tra i 70 e gli 85 anni. Non è che i giovani non si offrano di fare volontariato, ma di solito chiedono di servire alle mense. Perché questo? Perché al mattino vanno all’università, e noi invece soprattutto al mattino operiamo. Quindi, sì, i volontari sono pensionati e un po’ di turn over lo registriamo. Qualche giovane lo abbiamo avuto, che non frequentava l’università, ma in compenso cercava lavoro e, una volta trovato, ci ha lasciati».
— Mi permetta, ma si può affermare allora che il futuro dell’accoglienza privata non sia così roseo? I volontari sono anziani, suore e sacerdoti soffrono della carenza di vocazioni. In compenso la povertà sembra destinata ad aumentare.
«In effetti, ha ragione, l’età avanza, la gente muore, e ormai abbiamo sacerdoti che devono coprire due o più parrocchie. Giova ricordare, come nota positiva, che qui a Torino abbiamo un centro laico importante a sostegno del volontariato: Vol.To, in via Giolitti 21. Lì ci sono molti dipendenti e anche volontari, che supportano le varie associazioni che operano sul territorio nel campo del volontariato in generale. Ad esempio, loro mettono a disposizione furgoni, materiale per allestire banchetti. Ma è solo un esempio. Noi facciamo due mercatini all’anno per autofinanziarci, oltre a partecipare a bandi pubblici, soprattutto per poter acquistare determinati indumenti e scarpe: le scarpe meglio offrirle nuove, perché un senza fissa dimora ha un solo paio di scarpe e si consumano in fretta».
— Voi siete proprietari di questa sede?
«No, noi siamo proprietari due alloggi in Torino che ci sono stati donati da benefattori e sono alloggi che mettiamo a disposizione del Comune di Torino, che vi manda famiglie bisognose in attesa magari dell’assegnazione di un alloggio di edilizia economico-popolare. Noi qui siamo in affitto e paghiamo un canone al proprietario, che è il Cottolengo, ma stiamo cercando una nuova sede in zona da acquistare. In zona perché noi qui siamo un punto di riferimento costante e non vogliamo spostarci. Dobbiamo cercare un alloggio a pianterreno ma possibilmente non su più piani come qui, perché (e qui torniamo all’età media) i volontari preferiscono non fare le scale o non ci riescono proprio».
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