Pesce, meglio quello pescato o quello allevato? La storica svolta degli ambientalisti: cambia tutto

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Il futuro nel mondo della produzione ittica procede a vele spiegate in una direzione. Ecco perché l’acquacoltura sta affrontando un’incredibile fase di crescita

L’acquacoltura indica l’allevamento o la coltivazione di organismi acquatici, in acque dolci, salmastre e marine. SI tratta di una pratica che prevede il totale controllo sul ciclo biologico degli animali allevati, che riguarda, tuttavia, unicamente un numero limitato di specie acquatiche.

Al giorno d’oggi, ad esempio, sono circa 200 gli organismi acquatici per i quali si riesce abilmente a procedere con l’allevamento, grazie alle sufficienti conoscenze in materia, che permettono di eseguire il processo con garanzie di successo in costante crescita.

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Nel nostro paese le specie coltivabili sono circa una trentina, ma solo cinque coprono il 97% della produzione totale, ossia trote, spigole, orate, mitili e vongole veraci. Il settore produttivo a livello geografico è particolarmente concentrato, considerando che il 50% della produzione arriva da due aree geografiche in particolare: il Veneto e l’Emilia-Romagna, entrambe attraversate dal delta del Po.

L’acquacoltura, come detto, si concentra su differenti tipologie di organismi acquatici. Oltre ai pesci, anche le alghe rappresentano una risorsa importante in termini produttivi. Negli ultimi 25 anni, la produzione globale è triplicata, raggiungendo le 32,4 milioni di tonnellate annue ed ‘espandendosi’ fino alle latitudini europee, nonostante fosse una pratica maggiormente comune nella zona del sud-est asiatico.

Le sfide per il futuro dell’acquacoltura

L’acquacoltura sta assumendo un ruolo d’importanza crescente nel panorama della produzione mondiale, superando, proprio nel corso dell’ultimo triennio, la tradizionale pesca di cattura. In particolare, l’allevamento di pesci, con 94,4 milioni di tonnellate contrapposte ai 92,3 milioni derivanti dalla pesca, ha raggiunto il 51% della produzione mondiale. Non si tratta di un puro caso; l’inversione di tendenza è stata obbligata dal sovrasfruttamento dei mari. Al contempo, però, la domanda di prodotti ittici è raddoppiata e le percentuali parlano di un trend che negli ultimi sessant’anni non ne ha voluto sapere di fermarsi.

Questa necessità comporta inevitabilmente ulteriori obiettivi; per superare sfide di tale portata, la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) ha introdotto un piano a livello globale, denominato “Trasformazione blu“, al fine di favorire uno sviluppo maggiormente sostenibile nell’acquacoltura, cercando di compromettere il meno possibile l’ecosistema marino pur proseguendo la pratica dell’allevamento ittico. Le stime ci raccontano, infatti, che entro il 2050, se la popolazione mondiale dovesse raggiungere i 10 miliardi di persone, si renderà necessario aumentare la produzione oltre il 20%.

Allevamento di pesci (Depositphotos foto) – www.sardegnaoggi.it

I vantaggi di questa pratica

Questo processo è già stato schierato in campo nel continente europeo, in Italia in particolare. Nello ‘Stivale’ sono circa 800 i siti nei quali si pratica l’acquacoltura, dislocati tra acque dolci, salate e lagune. In termini di numeri, si parla di non meno di 51.000 tonnellate prodotte nell’anno 2023, cifre che restano, tuttavia, insufficienti per soddisfare la costante domanda. La crescita del settore ittico ha riscontrato degli ostacoli che ne hanno frenato la crescita e la distribuzione, come le limitate concessioni off-shore e le numerose problematiche burocratiche.

L’intenzione di puntare maggiormente sull’acquacultura si fonda su indubbi vantaggi e benefici, che hanno portato anche gli esperti del settore a promuoverla, indicandola come l’opzione migliore se comparata alla pesca ‘di caccia’. Tramite l’allevamento è possibile, infatti, ridurre gli sprechi, producendo un’impronta ecologica minima, dati gli esigui consumi idrici ed emissioni di CO2, nettamente inferiori rispetto agli allevamenti suini, avicoli e bovini, solo per rendere degli esempi. La riduzione degli sprechi, come detto, è un elemento fondamentale; questo è possibile grazie alla quantità minore di scarti presenti nei pesci d’allevamento, e il fatto che negli stessi esemplari sia sostanzialmente azzerato il rischio di anisakis, vermi nematodi che potrebbero essere riscontrati nei pesci da caccia.

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