Nuovo Giornale Nazionale – UN SISTEMA POLITICO AL SERVIZIO DEI CITTADINI, NON DEI SUDDITI

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di Antonio Foccillo

Dopo oltre un trentennio si evidenzia che, almeno quando si tratta di soldi, la Seconda Repubblica sta nelle stesse condizioni in cui morì la Prima Repubblica. La naturale reazione a queste vicende rischia innanzitutto, per estrema semplificazione, di assimilare il malcostume politico all’essenza stessa della democrazia, ed una indifferenza preoccupante verso i partiti.

I partiti, seppure in crisi di legittimità, sono strumenti indispensabili per la partecipazione dei cittadini allo svolgimento della vita politica. L’articolo 49 della Costituzione Repubblicana dispone che: Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Certo è che i Partiti nel corso dei decenni hanno cessato di essere strumenti nelle mani dei cittadini organizzati per divenire sempre più centri di interesse e luoghi di gestione del potere reale totalmente avulsi dalle dinamiche e dalle logiche democratiche. In tal modo i partiti politici non hanno più rappresentato i luoghi di partecipazione diretta e di esercizio della democrazia perché sono stati percepiti come forze di occupazione dei luoghi del decidere..

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Oggi la nostra classe politica in considerazione del fatto che il suo ideale politico non è conseguibile si è portata oltre, ignorando il suo supremo scopo di un razionale ordine sociale, organizzato secondo principi morali, per cedere alla coscienza fredda e senza illusioni di una inutile ricerca del bene comune che perciò è stato sostituito con quello personale. Ciò, non delegittima la funzione politica, ma questa classe politica travolta nell’intrico dell’esistenza umana, stretta da contrasti di interessi razionalmente insolubili e da quell’insufficienza morale con cui ogni essere umano sconta le conseguenze della sua misteriosa doppiezza di natura[1].

Solo l’introduzione di nuove e specifiche garanzie dei diritti politici e della democrazia rappresentativa può contribuire al rafforzamento della democrazia costituzionale, attualmente minata alle radici dall’idea elementare che il consenso popolare sia la sola fonte di legittimazione del potere politico, che produce innanzitutto insofferenza per il pluralismo politico e istituzionale; la svalutazione delle regole; attacchi alla separazione dei poteri, alle istituzioni di garanzia, all’opposizione parlamentare, al sindacato e alla libera stampa[2].

La cura può e deve essere solo il metodo elettorale proporzionale (che – a mio avviso – rappresenta la puntuale e fedele rappresentazione del corpo elettorale), l’esclusione dei conflitti di interesse, la democrazia interna ai partiti, nuove forme di democrazia partecipativa, la riforma del sistema dell’informazione a garanzia della sua indipendenza.

Nelle società odierne è evidente come il liberalismo non sia affatto sinonimo di democrazia, anche se le origini dei sistemi rappresentativi nascono da concezioni liberali che esprimevano lo sviluppo e la maturazione delle società mercantili e delle condizioni oggettive per il sorgere del capitalismo.

Già nella concezione liberale “egalitaria” di Jean Rosseau (1712-1778) secondo il quale, il contratto sociale presuppone l’idea del diritto naturale alla libertà, ma anche dell’eguaglianza come condizione umana. Il liberismo egualitario di Rousseau, si basava sul presupposto che “gli uomini nascono liberi e uguali“. Ne discendeva l’appassionata difesa della sovranità del popolo, che in quanto formato da individui “liberi e uguali” non poteva essere trasferita per necessità o per scelta ad un monarca come volevano gli assolutisti, ne poteva essere delegata, in un contratto, allo Stato Parlamentare.

Diceva Rousseau che all’atto nel quale si realizza il contratto della società politica, dove il popolo costituisce un governo, esiste un momento anteriore che è quello in cui il popolo è popolo e questa condizione è la condizione fondamentale, che stabilisce una sovranità non trasferibile, delegabile o divisibile. Per cui, al fine di mantenere le condizioni di libertà e di uguaglianza, dove nessun cittadino perde la sua sovranità nel processo di formazione della volontà generale, questa non può essere delegata o trasferita, per investire qualcuno ad esercitarla, senza che i mandati siano revocabili in qualsiasi momento.

Per quasi questi due secoli sono nati sistemi politici rappresentativi con caratteristiche proprie, ma basati in maniera predominante sulla visione del liberismo proprietario. Sono nate repubbliche o monarchie costituzionali, dove la sovranità popolare veniva delegata al parlamento, che unificava le funzioni esecutiva e legislativa, vi sono anche esperienze di repubbliche presidenziali dove la divisione dei poteri e delle competenze è più nitida e dove l’Esecutivo e il Legislativo sono eletti con criteri distinti.

Comunque questo processo storico evidenzia che il liberismo, lungo questi due secoli, non è stato e non è sinonimo di democrazia. Infatti, in qualsiasi paese, nel secolo passato e in questo, il diritto all’organizzazione politico-partitica e al suffragio universale è stato una conquista lunga e duramente raggiunta. Durante il liberismo, per tutto il secolo XIX, l’esercizio del voto fu elitario, esclusivo e limitante, era infatti concesso il voto sul censo, basato sulla proprietà e/o sulle imposte.

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Le nuove contraddizioni e i nuovi conflitti produssero nuovi concetti politico-ideologici e sulla spinta delle rivendicazioni e conquiste sociali si sviluppò una nuova idea nel mondo: il pensiero socialista, che non è stato univoco.

Oggi purtroppo, nella maggioranza dei paesi della democrazia liberale, il sistema di rappresentanza sta attraversando una crisi di legittimità, che si esprime nell’astensione elettorale, nell’apatia e nella non partecipazione politico-sociale e nei bassi indici di adesione ai partiti.

Le cause variano tra i diversi paesi, ma la causa principale sta nella progressiva privatizzazione della politica, messa in atto dai poteri finanziari internazionali.

Nella realtà sociale che, non completamente succube degli addomesticamenti dei mass media, ancora si interessa di politica emerge la necessità di una profonda riscrittura dei patti sociali e dunque dell’Alleanza Costituzionale. Ciò deve avvenire con la più ampia partecipazione dei cittadini, perché la rivoluzione tecno-scientifica, la rivoluzione degli strumenti di comunicazione e la loro velocità hanno radicalmente annullato le distanze, rendendo definitivamente obsolete le prassi democratiche, fino a svuotare di fatto i Parlamenti della loro funzione centrale, cioè decidere.

Non si può sottovalutare o disconoscere l’esistenza di esigenze reali e diffuse di una nuova strutturazione del potere, che nascono dalla constatazione che oggi si è realizzato il passaggio del potere nelle mani di pochi, oltretutto non legittimati da alcuna procedura democratica e che oggi lo detengono. 

Purtroppo, ci si rende conto, speriamo non troppo tardi, di come si evolvono in negativo la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà, la coesione, la cittadinanza, in sintesi la democrazia. Certamente la democrazia è una parola abusata e dietro di essa spesso si nascondono involuzioni. Da sempre la condizione più largamente diffusa, almeno nel mondo occidentale, è che la democrazia, cioè il governo di molti, sia preferibile rispetto alle altre forme politiche oligarchiche.

Mai, come in questo periodo, la democrazia appare, nelle sue diverse tipologie costituzionali, vulnerabili e incline alle oligarchie, strutturate in poteri anche non politici, economici, sociali, mediatici o verso governi personali.

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Per continuare a farla vivere occorre ancorarla a dei valori che la salvino anche nei grandi scenari della deterritorializzazione del potere, delle unioni sopranazionali, delle egemonie transnazionali, insomma di quelle forme inedite che ha assunto la globalizzazione e la finanziarizzazione dell’economia.

Dunque, l’esito di una riduzione della struttura democratica e partecipativa sono rischi reali nella società contemporanea, per cui è quanto mai opportuno mantenere viva la riflessione sul tema e alta la vigilanza sulla qualità delle nostre democrazie.

Bisogna sconfiggere i tanti acquiescenti, i tanti conformisti, alla logica del potere che inneggiano al “principe” di turno e dare un po’ di fiato alle minoranze, che immaginano una società diversa dove deboli e forti vivano insieme e dove i secondi rinuncino ad un pezzo della loro ricchezza a favore dei primi.

Non è utopia! Si chiama stato sociale, si chiama socialismo, si chiama laicità, si chiama democrazia, dove le persone devono essere “cittadini” e non sudditi, partecipi alla vita politica e sociale, così come prevede la Costituzione.     

[1]      Ritter Gerhard, Il volto demoniaco del potere, tr. it. di E. Melandri, Il Mulino, Bologna 1971

[2]      Ferrajoli Luigi,- Poteri selvaggi. La crisi della democrazia italiana, Laterza 2011

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