Montagna, gli ambientalisti: «Overtourism? Ha vinto il mercato, trend che non si può invertire»

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Casanova (Mountain wilderness): «Politica e associazioni imprenditoriali stoppino questo sistema. La cultura della montagna è sconfitta»

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«La cultura di montagna di noi ambientalisti, ma anche di chi ama l’ambiente naturale, è sconfitta definitivamente». Luigi Casanova non prova nemmeno a indorare la pillola. Del resto, in questi anni, il presidente di Mountain wilderness ha registrato — e combattuto, insieme alle altre associazioni ambientaliste — molti «attacchi alla montagna»: prima dell’Après ski di Nambino e dei jet sulle Dolomiti c’era stata la battaglia contro l’eliski in Marmolada. Ma anche le critiche ai concerti in quota (da Bob Sinclar sullo Spinale a Moroder sull’alpe Tognola). E poi la lotta contro il raduno dei quad in val del Biois e contro quello delle Ferrari storiche all’interno del Parco Adamello Brenta. Senza contare le riserve sui rifugi trasformati in chalet ad alta quota e sui voli dei vip in elicottero.

I rischi

«Ha vinto il mercato» allarga però le braccia Casanova. La cui visione non lascia spazio all’ottimismo: «Si parte dalle Dolomiti. Ma questo modo di vivere la montagna nel giro di 4-5 anni si diffonderà ovunque in quota». Un visione, quella che sta emergendo, che secondo il presidente di Mountain wilderness ha «come unica direttiva il Pil»: «Tutto — insiste — ruota attorno a un sistema di mercificazione dei beni umani e naturali». In un paesaggio che viene utilizzato come palcoscenico, che sia la piana di Nambino per l’Après ski o la val Senales per l’allargamento delle aree sciabili. Con un impatto che ormai abbraccia tutte le stagioni dell’anno: «In estate — ricorda Casanova — si moltiplicano i parchi tematici. E le biciclette vengono portate ovunque». Un tema, quello dell’aumento del numero delle due ruote in quota, sul quale da tempo sta provando a trovare un equilibrio anche la Società degli alpinisti tridentini, che cura i sentieri di montagna con i propri volontari.




















































Le colpe

«La responsabilità di questa situazione — è l’affondo del presidente — è del mondo politico». E non solo di quello attuale: «Prima — rilancia Casanova — era del centrosinistra, oggi in modo più arrogante e tamarro è del centrodestra». Centrodestra che privilegia il mercato, «azzerando il mondo della scienza» osserva il presidente, puntando lo sguardo sulla questione dell’Après ski della piana di Nambino: «A livello scientifico, è evidente che l’utilizzo delle luci e il rumore a tutte le ore del giorno non rispettano il mondo della fauna selvatica».

Ma c’è un’altra questione, che accomuna il caso di Nambino con altre situazioni finite al centro dell’attenzione, come il rifugio Fredarola in val di Fassa. «I nostri servizi provinciali, quando devono dare una valutazione di impatto, non hanno più la capacità di valutare tutti i fattori». E dunque le autorizzazioni si moltiplicano, «come quella che ha permesso a Max Allegri di arrivare in elicottero al Fredarola».

Le aree protette

Casanova chiama in causa anche chi si deve occupare della gestione delle aree protette. E solleva una «questione di dignità degli amministratori della Fondazione Dolomiti Unesco»: «Possibile — si chiede — che all’interno della fondazione non si sia fatta una riflessione su ciò che sta accadendo sulle Dolomiti, dal Santner al Fredarola?». Con una frecciata anche alla presa di distanza del Parco Adamello Brenta rispetto alla vicenda dell’Après ski a Campiglio: «Non ci si può difendere trincerandosi dietro al silenzio con la giustificazione che quella struttura è fuori dai confini del parco. I disturbi, evidentemente, coinvolgono anche l’area protetta».

I parchi naturali

Ma è possibile invertire la direzione imboccata? «No» risponde secco Casanova. «Purtroppo — aggiunge — i montanari di oggi sono legati al portafoglio. Sono interessati ai soldi prima che all’ambiente». Eppure uno spiraglio, nella riflessione del presidente di Mountain wilderness, si intravede. Con un occhio puntato verso la politica. Ma anche a chi oggi si trova alla guida di parchi o aree naturali. Con un invito preciso: «Deve essere individuata — avverte Casanova — una differenza netta tra i comportamenti da tenere all’esterno e all’interno dei parchi naturali». Senza spaccare il centimetro quando si tratta di tutelare l’ambiente: «Le regole che valgono all’interno dell’area protetta devono valere anche nelle zone in prossimità dei confini». Per evitare, in questo modo, che comportamenti sbagliati possano avere impatti negativi sulla fauna che vive all’interno del parco o comunque sull’ambiente protetto.

L’identità

C’è poi un altro invito, che il presidente rivolge alle associazioni imprenditoriali, «che siano albergatori, rifugisti o altro»: «La montagna — spiega — è diversa dal mare, ha una propria identità. Il compito di queste associazioni è di dire basta a questo sistema: elicotteri e quad vanno spazzati via dalla montagna e deve finire l’istituto della deroga per i rifugi». Che permette di fatto di portare in quota ciò che in quota non dovrebbe esserci. «In caso contrario — conclude il presidente di Mountain wilderness — paghino loro i danni procurati alla montagna da questo modo di comportarsi».

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