Istat, pressione fiscale in aumento: le prospettive della Sicilia

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Il rapporto Istat sui conti pubblici del 2024 offre una fotografia a luci e ombre della situazione economica italiana.

Nei primi nove mesi del 2024 la pressione fiscale in Italia è aumentata: le tasse e i contributi raccolti sono stati pari al 39,6% del Pil, un +0,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A rendere note le statistiche è l’ultimo rapporto Istat sui conti pubblici, che sottolinea anche come sia calato il deficit delle pubbliche amministrazioni e, in parallelo, sia invece aumentato il potere d’acquisto delle famiglie. Ma cosa dicono i dati e come stia mutando l’economia nel Paese e nell’Isola, lo scopriremo in questo approfondimento del Quotidiano di Sicilia.

La pressione fiscale in Italia continua a crescere – spiega l’Istat – segnando un nuovo capitolo nella gestione dei conti pubblici. Nei primi tre trimestri del 2024, il totale delle imposte dirette, indirette e dei contributi raccolti dallo Stato ha raggiunto il 39,6% del Pil. Un dato in aumento rispetto al 38,7% registrato nello stesso periodo del 2023.

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Si tratta di un incremento che non implica necessariamente un maggior esborso economico individuale a carico dei cittadini causato dalle tasse pagate. Una dinamica, questa, che riflette anche una crescita economica limitata, stimata tra lo 0,5% e lo 0,8%.

Un trend in salita dal 2018

L’aumento della pressione fiscale non è una novità: dal 2018 è stato registrato un costante incremento, con un picco durante la pandemia da Covid nel 2020. Negli anni successivi, si è osservato un rallentamento, fino a una stabilizzazione nel 2023. I dati preliminari del 2024 suggeriscono però una ripresa della tendenza al rialzo. Rimane da verificare se anche il quarto trimestre confermerà questo andamento.

Il confronto europeo

Eurostat conferma che la pressione fiscale in Italia ha mostrato andamenti altalenanti negli ultimi anni. Nel 2023, il nostro Paese si collocava all’ottavo posto per pressione fiscale nell’Unione Europea, preceduto da Paesi come Francia, Belgio e Danimarca, che però in confronto all’Italia garantisco un welfare di qualità decisamente superiore alla propria popolazione. La Germania, in confronto, si posizionava ben più in basso, allineata alla media dell’eurozona e a testimonianza della crisi politica e industriale che negli ultimi anni ha investito il paese di Angela Merkel.

Famiglie: segnali positivi, ma cautela nei consumi

Nonostante l’incremento della pressione fiscale, il potere d’acquisto delle famiglie italiane è cresciuto per il settimo trimestre consecutivo, segnando un +0,4% rispetto al trimestre precedente e un +2,5% nei primi nove mesi del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023. Anche il reddito disponibile delle famiglie è aumentato, con un +0,6% su base trimestrale e un +3,7% rispetto all’anno precedente. A diminuire è stata la propensione al risparmio, che di conseguenza ha fatto registrare un incremento dell’1,6% nei consumi.

Il calo della propensione al risparmio suggerisce che le famiglie italiane abbiano preferito spendere più che risparmiare. Si tratta di una scelta che, a una prima lettura, potrebbe riflettere una maggiore fiducia economica, ma che piuttosto è causata dalla necessità di sostenere il tenore di vita in un contesto di inflazione e costi crescenti. Questo dato, sebbene positivo per l’economia in termini di consumi, invita a riflettere sulla sostenibilità del comportamento finanziario delle famiglie nel lungo periodo.

In base agli ultimi dati Eurostat relativi al 2023, il tasso di risparmio delle famiglie ammonta al 13,2% nell’UE e al 14,1 % nella zona euro. Nello stesso arco temporale, le stime relative all’Italia la collocano in posizione intermedia in classifica generale con una soglia di poco al di sopra del 10%. Una cifra esigua in relazione a un passato da risparmiatori che ha da sempre contraddistinto la nazione. A primeggiare sono Repubblica Ceca e Germania, con percentuali che si attestano di poco al di sotto del 20%.

Il miglioramento del deficit pubblico

Sul fronte dei conti dello Stato, il rapporto Istat registra invece un miglioramento significativo: l’indebitamento netto della pubblica amministrazione è sceso al -2,3% del Pil nel terzo trimestre del 2024, un calo di addirittura il -6,3% dello stesso periodo del 2023. Questo risultato rappresenta una svolta importante per il debito pubblico, in linea con le nuove regole di stabilità economica europea e le richieste di Bruxelles per una gestione più rigorosa delle finanze pubbliche.

“Nel terzo trimestre 2024 l’indebitamento netto delle AP (Amministrazioni Pubbliche, ndr) in rapporto al Pil è stato pari al -2,3% (-6,3% nello stesso trimestre del 2023). Il saldo primario delle AP (indebitamento al netto degli interessi passivi) è risultato positivo, con un’incidenza sul Pil dell’1,7% (-2,8% nel terzo trimestre del 2023). Il saldo corrente delle AP è stato anch’esso positivo, con un’incidenza sul Pil dell’1,9% (1,6% nel terzo trimestre del 2023)”, scrive l’Istituto.

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La pressione fiscale è stata pari al 40,5%, in aumento di 0,8 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è cresciuto dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e i consumi sono cresciuti dell’1,6%. La propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è stata pari al 9,2%, in diminuzione di 0,8 punti percentuali rispetto al trimestre precedente.

“A fronte di un aumento dello 0,2% del deflatore implicito dei consumi, il potere d’acquisto delle famiglie è cresciuto rispetto al trimestre precedente dello 0,4%. La quota di profitto delle società non finanziarie, pari al 42,4%, è diminuita di 0,3 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. Il tasso di investimento delle società non finanziarie, pari al 21,7%, è diminuito di 0,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente”.

La sfida della crescita economica

Nonostante i segnali positivi, la crescita economica del 2024 rimane modesta, con stime comprese tra lo 0,5% e lo 0,8%. Una crescita così contenuta rende più difficile ridurre il rapporto debito/Pil e garantire risorse per investimenti strategici. La pressione fiscale in aumento, se non accompagnata da una crescita più robusta, rischia di gravare ulteriormente sulle imprese e sulle famiglie, facendo piombare ancor di più l’economia in una fase stagnante. Ma in tutto questo, come si colloca la Sicilia?

La situazione della Sicilia

Secondo le stime proposte dalla Regione lo scorso giugno, da una crescita dello 0,7% del pil siciliano per il 2024, si dovrebbe passare all’1,1% nel 2025, allo 0,9% nel 2026 e allo 0,8% nel 2027. “Si prospetta un miglioramento di tutti i principali indicatori economici, grazie ai cospicui investimenti programmati con fondi regionali, nazionali ed europei e alle politiche del governo siciliano per il sostegno alle imprese e l’accelerazione della spesa”, spiegano da palazzo d’Orleans.

Un piano di crescita contenuto nel Defr 2025/27, approvato appunto la scorsa estate. Tra gli obiettivi contenuti nel documento, c’è anche il riassetto organizzativo dell’amministrazione regionale attraverso piani assunzionali per la copertura delle carenze di organico e di competenze specifiche.

Un processo già in corso grazie alla revisione delle regole sul turn over contenuta nell’accordo con lo Stato firmato dal governo Schifani del 16 ottobre 2023. Il risultato atteso è il rafforzamento della capacità amministrativa, coniugando il ricambio generazionale con la valorizzazione delle risorse interne, unitamente all’attuazione di processi di semplificazione delle procedure. 

Nel 2023, la Sicilia ha registrato una crescita del PIL pari al 2,2%, come certificato dal Rapporto Svimez. Il tasso di crescita più alto tra le regioni italiane, ma viziato da una generale arretratezza che, classifiche e rapporti Istat e Best alla mano, evidenziano come l’Isola abbia ancora parecchia strada da percorrere per tentare di accorciare il divario con le regioni del Nord.

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Tra le proiezioni del governo regionale, ampio spazio lo riveste il potenziamento generale delle infrastrutture e l’ottimizzazione dell’uso delle risorse disponibili per stimolare lo sviluppo economico dell’Isola. Il tutto non a caso nell’anno in cui dovrebbero essere avviati in riva allo Stretto i cantieri per il collegamento stabile tra Sicilia e Calabria.

Quali prospettive per il futuro?

Il governo italiano si trova di fronte a una sfida complessa: da un lato, deve continuare a ridurre il deficit pubblico per rispettare i parametri europei; dall’altro, deve stimolare una crescita economica sostenibile per alleviare il peso fiscale e migliorare il benessere dei cittadini. Politiche fiscali più mirate, investimenti in infrastrutture e incentivi all’innovazione potrebbero rappresentare la chiave per affrontare queste sfide.

Il rapporto Istat sui conti pubblici del 2024 offre una fotografia a luci e ombre della situazione economica italiana. Se da un lato emerge un miglioramento nella gestione del deficit pubblico e una crescita del potere d’acquisto delle famiglie, dall’altro l’aumento della pressione fiscale e la modesta crescita del Pil restano preoccupazioni centrali. Per il futuro, sarà cruciale adottare strategie equilibrate che consentano di coniugare rigore finanziario e sviluppo economico, evitando che il peso delle tasse diventi insostenibile per cittadini e imprese.





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