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Il piano per dismettere il 40% delle sedi del Partito Democratico a Bologna: alla Direzione del 20 gennaio ci sarà il tesoriere nazionale Michele Fina. E tra gli iscritti c’è smarrimento:«Scelta inevitabile»,«Errori del passato»
«Che cosa vuole che le dica? Ho il telefono incandescente da stamattina…». Gabriele Tonicchi, segretario dem del Passepartout, allarga le braccia. Quello di via Galliera da anni è un circolo di riferimento per il Pd locale e nazionale: primarie, comitati elettorali, campagne per le elezioni di ogni livello.
Sapere che è in cima al piano di «dismissioni» di circa il 40% delle sedi del partito bolognese, come anticipato dal Corriere di Bologna, ha lasciato di stucco lui e gli iscritti. Ma tant’è: ci sono oltre 4 milioni di debiti accumulati con la Fondazione Duemila, la cassaforte degli immobili ex Ds.
E per Bologna, come molte altre Federazioni italiane, far quadrare i conti è diventato impossibile. Che la situazione sia delicata lo conferma il fatto che il tesoriere nazionale Michele Fina, per conto della segretaria Elly Schlein, vigilerà sulla Direzione che il 20 gennaio discuterà questo difficile passaggio per il Pd bolognese. Su cui, non a caso, si sono già accese le prime scintille.
«Vale per me, come per Andrea De Maria, Virginio Merola e chi c’era nella direzione dei Ds che avallò la decisione nazionale di conferire gli immobili alla fondazione. Una responsabilità ce l’abbiamo, non scarichiamola sui quarantenni di oggi», dice Donata Lenzi, presidente della Direzione del Pd di Bologna, che chiama la vecchia guardia a una sorta di corresponsabilità sullo stato del partito.
La dismissione di una quarantina dei circa novanta circoli di Bologna, a fronte di un debito con la Fondazione Duemila che negli ultimi anni è cresciuto fino a superare i 4 milioni di euro, «è la conseguenza di una decisione sbagliata che quelli della mia generazione, che c’erano nel 2007, dovrebbero riconoscere. Fu un errore gravissimo cedere il patrimonio immobiliare e culturale dei Ds, una cosa di cui i nostri iscritti più anziani, giustamente, ci chiedono ancora conto».
Difficile non leggere tra le righe di questo richiamo un invito a non aprire processi sull’attuale leadership del Pd di Bologna, guidato dalla segretaria Federica Mazzoni.
Non tutti, però, hanno voglia di cospargersi il capo di cenere per una scelta di vent’anni fa. «Dovremo fare tutti la nostra parte per aiutare ad affrontare una situazione molto difficile per il bene del Pd di Bologna», assicura De Maria in risposta alla presidente della Direzione del Pd di Bologna.
«La scelta di conferire gli immobili alle fondazioni fu nazionale negli allora Ds, non locale. Infatti vale in tutto il Paese e quindi la citazione di alcuni dirigenti locali la trovo sinceramente non fondata», ci tiene a dire il deputato ed ex segretario, da anni al vertice di una delle aree più pesanti nel Pd bolognese.
«Condivido invece con Donata che quella scelta può essere certamente oggetto di riflessioni in una fase politica molto diversa e anche di scelte che possano aprire oggi prospettive diverse. Allora eravamo peraltro in un contesto di bilanci a dire il vero molto solidi. Questo però è altra cosa rispetto alle difficoltà finanziarie che si sono evidenziate e che attengono al bilancio del Pd di Bologna. Difficoltà che, per varie ragioni, nell’ultimo periodo si sono accentuate — sottolinea De Maria — e che andranno affrontate. Certamente dovremo condividere in direzione una valutazione di quanto accaduto e sostenere tutti insieme le scelte necessarie».
Ai vertici del Pd, tra Bologna e Roma, c’è poca voglia di parlare delle «dismissioni». Il sindaco Matteo Lepore è laconico: «Non sono preoccupato, non mi occupo di questo tema». Dal Nazareno filtra solo un generico invito alla calma: «Il problema che risale alla nascita del Pd, non può essere colpa di questo o quel dirigente locale… A Bologna si è protratto più a lungo e pesa di più perché il partito era più strutturato sul territorio».
Resta il fatto che alle porte, oltre a chiusure di sedi che colpirebbero soprattutto la città (potrebbero rimanere circa 2-3 circoli per quartiere), c’è un piano di rientro con la Fondazione Duemila che potrebbe costare 300 mila euro subito e 100 mila euro all’anno finché non si estinguerà il debito. «Un debito che è cresciuto, invece che diminuire, negli ultimi anni», sottolineano i malpancisti.
Ci sono due settimane per capire se la Direzione diventerà un redde rationem, oppure se le colombe la trasformeranno in un passaggio «burocratico».
Di certo per la base dem la scure dei tagli è uno choc. «L’animo dei compagni non è dei più sereni, l’abbiamo saputo dal giornale che il Passepartout potrebbe essere chiuso», confessa Gabriele Tonicchi, segretario in via Galliera. «Vedere un circolo storico sbattuto in un’operazione di questo genere… Da anni approviamo bilancio con milioni di debiti, conosco la situazione, ma spero che in Direzione — aggiunge — il piano possa essere discusso e condiviso».
Mario Oliva, che qualche anno fa vide il circolo della Bolognina «restringersi» tra le polemiche, si aspetta una fusione con i compagni del Centopassi. «È chiaro che un piano di rientro ci vuole — dice — ma nessuno deve dimenticarsi che i circoli sul territorio sono fondamentali».
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