«Giorgetti ministro dell’anno», il titolare dell’economia premiato da The Banker (rivista del Financial Times)

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Diceva Giulio Andreotti che non basta avere ragione, bisogna pure che qualcuno te la dia. Se poi a dartela è chi di solito ti prende a bastonate, vorrà dire che qualcosa di buono davvero l’hai fatta. Ed è probabile che lo abbia pensato Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia italiano, nell’apprendere che il periodico The Banker che fa parte della famiglia del Financial Times, lo ha insignito del premio di «ministro delle finanze dell’anno». Lo stesso quotidiano che, non appena aveva messo piede al ministero, aveva bollato l’Italia come il «Paese più vulnerabile alla stretta dei tassi della Bce», o che quando aveva dovuto trovare un titolo per descrivere la crisi politica di Londra aveva scelto «Welcome to Britaly». Nella percezione della City sull’Italia, insomma, qualcosa è cambiato. Lo dimostra, del resto, anche l’andamento dello spread, i cui valori si sono dimezzati in due anni. Ma per capire cosa, bisogna leggere le motivazioni che hanno portato ad assegnare il premio a Giorgetti. «Ha vinto», ha scritto il periodico, «il rispetto per il suo impegno nel ridurre il crescente deficit in Italia e nel sostenere gli investimenti pubblici, con un piano a lungo termine volto a ridurre l’imponente rapporto debito-Pil. Essere il ministro delle Finanze in Italia – ha sottolineato The Banker – è un compito ingrato. I problemi economici che affliggono il Paese sono tanti: una crescita lenta, la bassa produttività, l’elevata evasione fiscale e uno dei più onerosi debiti pubblici al mondo». Ma l’aspetto della storia che più ha sorpreso i redattori della bibbia della finanza londinese è il fatto che Giorgetti, dopo anni di inquilini tecnici al ministero presi a prestito dalla Banca d’Italia piuttosto che dall’Ocse, sia un politico di lungo corso.


Ma forse è proprio questo il segreto del successo ottenuto nel convincere i partiti di maggioranza ad accantonare le promesse elettorali più costose per sposare una linea di prudenza sui conti. «Lo sforzo che deve fare un ministro dell’Economia», non si è mai stancato di ripetere Giorgetti, «è ricordare anche alla maggioranza che lo sostiene che non c’è altra via che mantenere un profilo di finanza pubblica sostenibile». La Lega, il suo partito, ha dovuto mettere in soffitta il progetto di Quota 41, la pensione anticipata con 41 anni di contributi. O la flat tax al 15 per cento per tutti i redditi. Fratelli d’Italia, il partito della premier, ai più incisivi incentivi alla natalità, Forza Italia all’idea di aumentare fino a mille euro le pensioni minime. Al contrario, Giorgetti ha metaforicamente imbracciato la motosega del Presidente argentino Javier Milei, ormai uno dei suoi modelli, per tagliare di 4 miliardi la spesa dei ministeri. Ha messo fine al buco nero del Superbonus, dove pure Mario Draghi si era dovuto fermare e ha ridimensionato di molto il reddito di cittadinanza. Ma soprattutto è riuscito a presentare in Europa un Piano strutturale di Bilancio che limita l’aumento della spesa nei prossimi sette anni all’1,5 per cento, ottenendo una promozione dalla Commissione, mentre paesi come la Francia, la Germania o l’Olanda, si sono dovuti arrendere per le difficoltà di far quadrare i propri conti.

 

IL SENTIERO

Giorgetti ha messo i conti pubblici su un sentiero tranquillo. Il bilancio dello Stato tornerà a produrre avanzi primari, le entrate fiscali cioè, saranno costantemente superiori alle uscite. E questa è una garanzia per chi deve sottoscrivere i titoli del debito. C’è una ragione per la quale il premio ottenuto dal ministro ha una sua rilevanza anche per il governo. Come deto è un segnale. Il segnale che la percezione dell’Italia sui mercati sta cambiando in meglio. La differenza di interessi che oggi l’Italia paga sul suo debito pubblico rispetto ad altri Stati europei, sono probabilmente amplificati dal pregiudizio sul Paese. Le agenzie di rating hanno fatto dei piccoli passi avanti. Standard&Poor’s, nel suo ultimo rapporto ha detto di aver «indossato gli occhiali rosa» sul Paese, ma ha confermato il suo giudizio in una tripla B con una previsione stabile. Fitch invece ha alzato l’outlook sull’Italia portandolo a positivo, ma confermando sempre un giudizio di tripla B. Anche Moody’s ha deciso di non cambiare la sua valutazione, lasciando invariato sia l’outlook che il giudizio fissato solo un gradino sopra quello dei titoli “spazzatura”. Paesi come la Francia, con un deficit alto, un debito che cresce e una crisi politica in atto, hanno ancora una A nel giudizio delle agenzie. L’Italia è stata promossa dalla Commissione europea e premiata dal giornale della City. Ora manca l’ultima ma più importante promozione, quella delle agenzie. Il premio, quello più meritato, è una minore spesa per gli interessi sul debito.





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