Licenziamento disciplinare del collaboratore scolastico per presunta falsa dichiarazione
La Corte d’Appello di Venezia conferma la sentenza di primo grado, annullando il licenziamento e disponendo la reintegrazione e il risarcimento.
La vita professionale del collaboratore è pienamente preservata!
A cura degli avvocati Aldo Esposito e Ciro Santonicola
Il Contesto della Controversia
Il Sig. …, collaboratore scolastico, aveva dichiarato nella domanda per le graduatorie ATA di terza fascia (2018-2021) un periodo di servizio svolto presso una scuola paritaria dal gennaio al 31 agosto 2017.
Tale dichiarazione è stata contestata dal Ministero dell’Istruzione come falsa.
A seguito di una segnalazione dell’Agenzia delle Entrate, l’Ufficio Scolastico Regionale ha sollevato dubbi sulla veridicità della dichiarazione, avviando un procedimento disciplinare conclusosi con l’archiviazione. Il lavoratore, infatti, aveva fornito documentazione a supporto del servizio dichiarato, inclusi cedolini paga, certificazione unica, comunicazioni Unilav e Uniemens.
Successivamente, basandosi su un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) – che evidenziava l’esistenza di un’organizzazione dedita alla falsificazione di titoli di servizio presso scuole paritarie – il Ministero ha riaperto il caso, licenziando per giusta causa il dipendente, nel frattempo assunto a tempo indeterminato.
Il collaboratore, assistito dallo Studio Legale Esposito Santonicola, ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Treviso, che ha accolto il ricorso.
La Sentenza di Primo Grado
Nella decisione del Tribunale del Lavoro di Treviso (qui illustrata dettagliatamente https://scuolalex.it/sentenza-esemplare-del-tribunale-di-treviso-il-giudice-rende-nullo-il-licenziamento-disciplinare-di-un-collaboratore-scolastico/), le motivazioni principali sono state sintetizzate come segue:
- Violazione del principio del “ne bis in idem”: Il medesimo fatto non può essere oggetto di due distinti procedimenti disciplinari.
- Mancanza di prove concrete: L’ordinanza del GIP non forniva elementi specifici per dimostrare la falsità della dichiarazione.
- Responsabilità del datore di lavoro: Eventuali irregolarità amministrative o contributive erano attribuibili alla scuola paritaria, non al lavoratore.
- Irrilevanza del punteggio: Il servizio dichiarato non era determinante per l’assunzione a tempo indeterminato.
- Archiviazione del primo procedimento disciplinare: Il precedente procedimento, conclusosi con l’archiviazione, avrebbe dovuto indurre il Ministero a una maggiore cautela.
L’Appello del Ministero dell’Istruzione
Il Ministero ha presentato appello, sostenendo essenzialmente che la segnalazione della Procura della Repubblica costituisse prova sufficiente della falsità della documentazione prodotta e che fossero emersi nuovi elementi idonei a giustificare la riapertura del procedimento disciplinare.
La difesa dei legali Esposito e Santonicola
Gli avvocati, con una strategia articolata e rigorosa, hanno contestato le argomentazioni ministeriali nei seguenti termini:
- Violazione del “ne bis in idem”
- Il primo procedimento disciplinare (2021) era stato archiviato in seguito alla valutazione positiva, da parte del Ministero, delle prove fornite dal lavoratore (cedolini paga, Certificazione Unica, comunicazioni Unilav e Uniemens).
- La seconda contestazione (2023) si basava sui medesimi fatti, arricchiti dall’ordinanza del GIP che però non forniva prove specifiche contro il dipendente.
- Mancanza di prove sufficienti
- L’ordinanza del GIP indicava irregolarità generali nell’istituto scolastico, ma non presentava elementi concreti contro il lavoratore.
- La documentazione fornita dal collaboratore dimostrava la veridicità del servizio svolto.
- Irrilevanza delle irregolarità contributive
- La responsabilità delle omissioni amministrative spettava alla scuola paritaria e non al lavoratore.
- Sproporzione del licenziamento
- Il fatto contestato non aveva inciso sull’assunzione a tempo indeterminato né sui requisiti per l’inserimento in graduatoria.
In sostanza, l’approccio argomentativo – adottato dai legali Aldo Esposito e Ciro Santonicola – mirava a dimostrare non solo l’illegittimità formale del licenziamento disciplinare, ma anche la mancanza di un reale pregiudizio causato dalla presunta irregolarità dichiarativa.
La decisione della Corte d’Appello di Venezia
La Corte d’Appello, Sezione Lavoro (Presidente Dott. Gianluca Alessio, Consigliere Relatore Dott.ssa Silvia Burelli), ha rigettato l’appello del Ministero, confermando la sentenza di primo grado.
Le principali motivazioni sono state:
- Applicazione del principio del “ne bis in idem”: il secondo procedimento disciplinare non era legittimo.
- Mancanza di prove sufficienti a dimostrare la falsità dei documenti presentati.
- Sproporzione del licenziamento rispetto alla gravità del fatto contestato.
Conclusioni del Collegio Giudicante Veneto:
“P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, rigettata e/o assorbita ogni diversa istanza, eccezione e domanda, così provvede:
1) rigetta l’appello…”
La sentenza ha confermato l’annullamento del licenziamento e la condanna dell’Amministrazione a reintegrare il lavoratore, corrispondendo un’indennità risarcitoria pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegrazione (fino a un massimo di 24 mensilità), oltre al versamento dei contributi previdenziali.
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