C’era una volta il canzoniere politico di Lotta Continua

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Canzoni quasi strimpellate, articoli d’epoca, fotografie, disegni, invenzioni grafiche: tutti questi graffiti di un’altra epoca Stephen King, ragazzo di Movimento, le descriverebbe probabilmente come i reperti di un continente che non c’è più: Atlantide. È stato sommerso da un oceano di parole vuote, ricostruzioni tendenziose, chiacchiericcio spacciato per ricostruzione storica. È la lunga fase che va dal 1967 al 1973 e un po’ oltre, quella in cui la liberazione sembrava non solo possibile ma a portata di mano. Già in corso. Imbattibile e irreversibile.
Il Canzoniere del Proletariato, curato da Massimo Roccaforte, edito da Interno4 (pp. 144, euro 35) riunisce, nelle pagine e in due cd, buona parte di quello che fu il canzoniere di Lotta Continua. Parte dall’esperienza immediatamente precedente del Potere Operaio pisano, attivo tra il 1967 e il 1969 con un suo canzoniere che anticipa anche da questo punto di vista Lc. Gli autori del resto sono spesso gli stessi: Alfredo Bandelli, Pino Masi, Piero Nissim. Nel libro però è ricostruita l’intera parabola della canzone politica negli anni ’60 e ’70, con molti testi che non rientrano nelle 41 canzoni raccolte nei cd, a partire dalle celeberrime Per i morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei e Contessa di Paolo Pietrangeli.
Anche gli articoli sono ripresi da libri di allora: la panoramica s

Questi brani di resistenza e le immagini, restituiscono perfettamente le passioni e gli umori del momento. Ne scandiscono la storia, ne ricostruiscono il calendario

otere, la ristampa anastatica del “Canzoniere del Proletariato” curata da Pino Masi e uscita come supplemento a Lotta Continua nel 1971.

I TESTI sono ingenui, spesso truculenti, sempre trionfalisti. Le musiche sono a volte originali ma spesso, come nella tradizione folk, si tratta di riadattamenti di canzoni tradizionali oppure cover di pezzi americani dell’epoca, come la famosa L’ora del fucile, versione capovolta nel significato della Eve of Destruction di Barry McGuire o il pezzo dedicato a Franco Serantini, anarchico ucciso in carcere nel 1971 Quello che mai potran fermare, che riprende invece fedelmente anche nello spirito Joe Hill. Ma, con tutta la loro ingenuità e il loro estremismo ostentato, queste canzoni di lotta, e le immagini raccolte nel volume, restituiscono perfettamente le passioni e gli umori del momento. Ne scandiscono la storia. Ne ricostruiscono il calendario: c’è una canzone scritta a caldo per ogni passaggio chiave di quegli anni, dall’insurrezione di Corso Traiano nel luglio 1969 alla strage di piazza Fontana e all’assassinio di Pino Pinelli, dalle occupazioni delle case in via Tibaldi a Milano a quelle di Roma a San Basilio. C’è un inno per molti giovani uccisi i cui nomi sono oggi quasi dimenticati: Saverio Saltarelli, Franco Serantini, Tonino Micciché. Il materiale audiovisivo raccolto da Roccaforte andrebbe accompagnato dalla lettura di Prendiamoci la città, libro di Guido Viale uscito qualche mese fa per la stessa casa editrice che raccoglie articoli pubblicati dall’allora dirigente di Lc tra il luglio 1969 e il gennaio 1971: la fase più interessante nella parabola di quell’organizzazione, l’uscita dalla fabbrica e l’estensione del conflitto in tutto il tessuto sociale. Le canzoni illustrano la nascita dei “I dannati della terra”, il settore che seguiva le lotte nelle carceri, e dei “Proletari in divisa”, quello che interveniva tra i soldati di leva. Raccontano l’improvvisa rivolta delle fabbriche del 1969 le spesso violentissime lotte per la casa degli anni seguenti. I due libri insieme spiegano l’indiscutibile centralità che conquistò l’organizzazione guidata da Adriano Sofri.

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LC NON ERA interessata all’analisi teorica come altri gruppi, in particolare Potere operaio, e meno ancora agli ideologismi dottrinari che proliferavano nella sinistra radicale dell’epoca.
Era in compenso il gruppo più attivo e capace nell’organizzare e sostenere i conflitti sociali che esplodevano anche negli angoli più riposti della metropoli e dell’intero Paese. Era il più moderno, attento alla comunicazione e alla ricerca di linguaggi adeguati a una propaganda immediata e non dottrinaria. È stato anche il gruppo che, molto più compiutamente di qualsiasi altro, ha cercato di dar vita a una comunità antagonista disseminata ovunque. Un rete, si sarebbe detto alcuni anni più tardi, alla quale proprio l’assenza di un’ideologia rigida permetteva di tenersi insieme e di connettere esperienze e realtà tra loro diversissime. Atlantide.



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