Leonardo prospererà anche in tempo di pace. Parola del ceo Roberto Cingolani

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Il primo giorno di borsa del 2025 ha visto il titolo Leonardo esordire oltre quota 26 euro e se ogni avvio di anno è tempo di buoni propositi ma anche di bilanci, quello di piazza Affari riconosce all’azione un incremento del 70% dal 2 gennaio 2024. Per le banche d’affari, Leonardo può crescere ancora: c’è un margine di almeno il 23% stando a Deutsche Bank, e slancio per superare addirittura i 33 euro secondo Jp Morgan.

Che Leonardo non abbia esaurito le cartucce sul listino è certo anche l’amministratore delegato, Roberto Cingolani, che dai 59 fronti di guerra contati nel mondo nel 2024 (60 se si aggiunge la new entry Siria), ha ricavato un convincimento per i tempi di pace: quando i conflitti a più alta intensità si spegneranno, la necessità di maggiore sicurezza continuerà a dominare i mercati, e il gruppo di piazza Monte Grappa potrà ancora beneficiarne, dentro e fuori dalla borsa. Con questa consapevolezza, Cingolani sta aggiornando il piano industriale e strategico 2024-28. In questa intervista con MF-Milano Finanza fa il punto sull’anno appena trascorso e traccia le prossime mosse.

Domanda. Il 2024 si è chiuso con un maxi-ordine di Eurofighter da parte dell’Italia e un accordo internazionale nella cyber security con Arbit Cyber Defence Systems. Il 2025 vedrà il decollo di importanti joint venture, dai caccia ai carri armati. Quale messaggio vuole lanciare al mercato e agli azionisti?

Risposta. Le aspettative sono buone. Sono stato chiaro con gli investitori, ci sono anche fattori esogeni che ci creano qualche problema, risentiamo per esempio della crisi di Boeing che ci ha costretto a ridurre le consegne. Ma ci stiamo lavorando, e se guardiamo all’insieme siamo più che soddisfatti: crediamo che Leonardo meriti di crescere ancora, portando la capitalizzazione ai livelli degli altri colossi europei. Dobbiamo essere molto seri nella capital allocation, sobri nel controllo delle spese e attenti nella selezione delle priorità. I nostri prodotti devono essere i migliori, e questo lo si ottiene solo con il lavoro: non c’è scorciatoia alla fatica. In noi l’investitore deve vedere tutto questo. Che ci sia ancora un valore inespresso nel titolo, lo indicano gli analisti spostandoci l’asticella ancora più in alto. Noi dobbiamo fare bene i compiti e mantenere le promesse.

D. L’anno è stato ricco di intese e alleanze. A dicembre avete firmato l’accordo con Bae e Jaiec per la costituzione della jv Gcap (Global Combat Air Programme, ndr), attesa entro metà 2025, per il caccia europeo di nuova generazione. A quali eventuali ostacoli si riferisce il partner giapponese Kimito Nakae, presidente di Jaiec, quando dice che «il percorso potrebbe non essere sempre lineare e semplice»?

R. Il progetto Gcap è molto complesso di per sé, ha una durata ultradecennale e un valore che può andare dai 50 ai 100 miliardi di euro. Ce ne sono pochi paragonabili nel mondo e appartengono ad altri ambiti come lo spazio e l’ingegneria biomedica: qui stiamo scrivendo un pezzo di futuro, spingendo avanti la frontiera della capacità tecnologica oltre il conosciuto. Si tratta di realizzare un caccia di sesta generazione, invisibile ai radar. Credo però che Nakae si riferisca alla particolarità della loro partecipazione alla jv, in quanto il Giappone non è presente direttamente con Mitsubishi Heavy Industries, ma attraverso una joint venture che incorpora le aziende coinvolte nel settore a diversi livelli. Per intenderci, Mitsubishi ha il 20% di questa unione. Quindi, a differenza di Leonardo e Bae, che rappresentano Italia e Regno Unito e che una volta stabiliti i rapporti tra governi hanno autonomia e rapidità di manovra, per i giapponesi si pone un problema di governance di secondo livello. Nulla comunque che possa pregiudicare il progetto.

D. All’inizio del 2025 è previsto anche il via alla joint venture con il gruppo tedesco Rheinmetall. In questo caso per il nuovo carro armato europeo. A che punto sono i lavori?

R. Ho avuto un incontro con il ceo di Rheinmetall a metà dicembre a Roma. Stiamo andando avanti molto bene, fiduciosi che arrivi presto il via libera dell’ Antitrust. Sulla parte tecnologica stiamo già lavorando, perché il vantaggio di questa alleanza è che sia Leonardo che Rheinmetall sono operative rispetto alla configurazione del carro armato in produzione. Abbiamo consegnato proprio in questi giorni alle Forze Armate italiane il primo veicolo corazzato Lynx KF41per le attività di verifica, i test e le valutazioni tecniche preliminari. È importante che gli operatori inizino a familiarizzare col nuovo veicolo prima possibile, anche per poter indirizzare le innovazioni necessarie. Ricevere i loro feedback è fondamentale. I primi carri armati che consegneremo, infatti, somigliano agli attuali, ma si tratta di una piattaforma che verrà progressivamente aggiornata e adattata alle nuove esigenze.

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D. Sia per Gcap che per Rheinmetall dovete esprimere i manager che le guideranno. Andrete per scelte interne? Può anticipare qualcosa?

R. Nel caso della jv con Rheinmetall il ceo sarà italiano e il presidente tedesco, annunceremo presto la nostra scelta. Posso anticipare che si tratta di un manager interno, giovane ma di grandissima esperienza e molto capace. Per quanto riguarda Gcap abbiamo una rosa ristretta di nomi, stiamo completando le valutazioni che condivideremo col ministero della Difesa, perché dobbiamo muoverci come sistema Paese. Se ci sarà accordo, pensiamo anche in questo caso a una scelta interna di altissimo profilo.

D. Le vostre con Gcap e Rheinmetall sono citate come esempi di alleanze che l’industria europea può attuare per restare competitiva e non soccombere. Questo è un tema sul quale lei insiste molto.

R. Confermo che le alleanze sono un’architrave della strategia espressa nel piano di Leonardo. Tutto parte da una constatazione che la guerra in Ucraina ha messo ancora più in evidenza: la frammentazione dell’industria europea, che si traduce nella difficoltà di fornire una risposta comune. Che si tratti di aerei o di carri armati, ogni Paese dei 27 ha le proprie tecnologie, i suoi mezzi, le sue risorse. A livello industriale e operativo questa parcellizzazione si paga. Senza semplificare troppo, mi sembra chiaro che mettere a fattor comune mezzi e risorse, e indirizzarli verso scelte tecnologiche strategiche possa alzare il livello dell’offerta europea. Quello che ciascun Paese può fare con i propri investimenti nazionali non è paragonabile a ciò che si potrebbe ottenere sommandoli.

D. Servirà anche aumentare le risorse?

R. Anche senza parlare ancora di aumentarle, già a parità di risorse investite il ruolo dell’Europa cambierebbe. Chiaramente deve esserci un accordo politico, e con la nomina di un commissario europeo alla Difesa Unica è arrivato già un primo segnale. Intanto, però, le grandi industrie possono aprire la strada, facilitare il compito ai governi, ed è quello che stiamo facendo. Importanti jv come la nostra con Rheinmetall nei carri armati, o con Thales nello spazio, e anche quella con Bae nel Gcap per vicinanza geografica nonostante il Regno Unito non sia più nell’Unione Europea, anticipano un trend che speriamo la politica possa intercettare e appoggiare. Se le industrie dimostrano che il modello funziona, incoraggiano i passi dei governi. Siamo come degli sherpa. In sintesi, convergere verso poche piattaforme per prodotti di alto livello ci rende più competitivi. È il modello americano.

D. A proposito di modello americano, tra febbraio e marzo con l’aggiornamento del piano industriale vi misurerete anche col possibile cambio di direzione degli Stati Uniti? Cosa vi aspettate dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca?

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R. Nel piano aggiornato daremo indicazioni su cosa ci aspettiamo dalle joint venture in partenza e forniremo anche un update sullo spazio. Per quanto riguarda Trump, e la mia idea mi sembra abbastanza condivisa da quel che sento negli Stati Uniti: è vero che il presidente indirizza le scelte ma lo è altrettanto il fatto che buona parte di ciò che ci si può aspettare nella Difesa da Trump probabilmente sarebbe stato valido anche se avesse vinto Kamala Harris. Si può ragionevolmente prevedere che gli Usa chiedano un maggiore impegno economico dell’Europa nella Nato. Sappiamo come europei che se vogliamo stare nell’alleanza atlantica dobbiamo essere un partner più forte. E qui mi riallaccio alla necessità delle alleanze. Se diciamo che ogni Stato deve metterci il 2% del Pil, ha senso se poi queste risorse si disperdono in mille rivoli?

D. Nel piano 2024-2028 si è posto l’accento sui 59 conflitti in atto, alcuni ad alta intensità. Che scenario geopolitico vede nell’aggiornamento del piano?

R. Rispetto a marzo 2024, quando è stato presentato il piano, la situazione semmai è peggiorata. Il conflitto Israele-Hamas è esploso, si è aggiunta la Siria. Viviamo un periodo in cui la conflittualità planetaria è ai livelli della seconda guerra mondiale. In termini di piano, però, per Leonardo cambia poco. Il messaggio fondamentale al mercato è che non è più una questione di difesa militare ma di sicurezza globale. La vulnerabilità energetica o quella cibernetica fanno danni al pari delle guerre vere e proprie. Bisogna andare oltre l’accezione tradizionale di difesa, questo è un punto fondamentale del piano che non cambia, insieme al concetto delle alleanze perché nessuno ce la fa da solo.

D.Proseguiranno le attività mirate di m&a?

R. Guardiamo ai settori cyber, spazio e droni. Abbiamo fatto moltissime due diligence, ce ne sono almeno una dozzina in corso. Qualche offerta vincolante ci è tornata indietro, altre ne presenteremo. I processi sono in corso, molto lavoro è stato fatto ma ancora non abbiamo finalizzato un acquisto. Paradossalmente siamo andati più veloci nei grandi merger rispetto alle piccole acquisizioni. Penso però che nei primi mesi del 2025 arriverà qualche novità.

D. Nel frattempo state individuando altri settori non più core che potrebbero portare a cessioni?

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R. Il grosso è stato fatto, abbiamo messo ordine in quel poco che Leonardo aveva di attività non core. Non essendoci esigenze contingenti, non abbiamo in programma altre cessioni, o almeno non fino al momento in cui non sarà stato deciso come destinare gli eventuali proventi. Questa è la strategia. Se ci fossero esigenze cash, si venderebbe per acquisire altro. Valuteremo di volta in volta.

D. Vale anche per la cessione di un’altra quota della controllata statunitense Leonardo Drs? Il mercato se la aspetta.

R. Sì, vale anche per Leonardo Drs. Confermo che c’è grande interesse dal mercato, ma al momento un’ulteriore cessione non è in agenda. Venderemmo solo per realizzare entrate che per adesso non servono. Nell’aggiornamento del piano, tra l’altro, evidenzieremo una serie di attività che prevedono maggiori sinergie con Leonardo Drs.

D. Tornando all’Italia, che ruolo avrete nella jv con Enel e Ansaldo Nucleare per studiare la fattibilità dei reattori Smr e Amr?

R. La nostra quota di partecipazione (10%, ndr) prevede una regola d’ingaggio molto chiara. Possiamo contribuire, quale che sia la tecnologia scelta da Enel e Ansaldo Nucleare, alla sicurezza: il nostro ruolo sarebbe quello di garantire la difesa degli impianti da attacchi cibernetici. Più in generale credo che le tecnologie allo studio per i reattori di piccole dimensioni, Smr e Amr, siano in linea con le esigenze della transizione energetica e possano rappresentare un ponte verso l’energia da fusione, come quella che sta mettendo a punto Eni col Mit negli Usa e che promette di fornire energia illimitata e senza scorie. Ci arriveremo? Se smettiamo di credere nel progresso, smettiamo anche di credere di essere homo sapiens. (riproduzione riservata)



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