Come si può aprire un Repair Café? Come si può diventare volontari di questo tipo di attività? Cosa può essere riparato? Quali sono gli oggetti che più spesso vengono riparati (e cosa può essere effettivamente riparato)? Queste sono solo alcune delle domande – mosse da curiosità o voglia di partecipazione – che vengono poste ogni qual volta si fa cenno ai Repair Café. La voglia di saperne di più su questo tipo di attività è infatti in continua crescita. Non è un caso che, tra gli articoli più letti del nostro magazine, ci sia quello su uno dei Repair Cafè della Capitale: Aggiustotutto.
A celebrare la voglia di dare una seconda vita ai propri oggetti ci ha pensato l’International Repair Day attraverso il quale, lo scorso 19 ottobre, è stato festeggiato il quindicesimo anniversario dalla nascita del primo Repair Café. Tale avvenimento è stato celebrato nel migliore dei modi, ovverosia con l’apertura straordinaria dei punti aderenti al network internazionale. L’iniziativa globale – che aveva l’obiettivo di mettere in luce l’importanza del riuso e del diritto alla riparazione – ha riscosso un notevole interesse mediatico tanto da richiamare un gran numero di persone ai diversi appuntamenti territoriali.
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Cosa sono i Repair Café e cosa si può riparare qui
Per avere un riscontro diretto e per cercare risposte ai diversi quesiti, siamo tornati ad intervistare Francesco Pelaia, fondatore di Aggiustotutto Repair Cafè – situato nel quartiere Tufello a Roma – che ha visto triplicare le richieste di riparazione nella giornata del 19 ottobre. Innanzitutto, abbiamo chiesto a Pelaia di (ri)spiegarci cosa sono i Repair Café e quali sono gli oggetti che vanno per la maggiore. “Sono luoghi dove i cittadini possono portare oggetti danneggiati per tentare di ripararli con l’aiuto di volontari”, ci ricorda.
“Si portano soprattutto piccoli elettrodomestici come phon, ferri da stiro, macchinette del caffè a cialde e cellulari”, dice Pelaia. Sebbene i volontari provino a dare nuova vita ad ogni tipo di oggetto che arriva, già da questa prima risposta emerge che la quasi totalità dei beni che giungono alle cure dei Repair Café rientra nella categoria dei dispositivi elettrici o elettronici. Sono sempre meno, infatti, gli aggeggi meccanici che vengono portati e ciò – ci spiega Francesco – dipende dal fatto che, per quest’ultima tipologia di oggetti, è più facile che le persone riescano a capire dove mettere le mani e, in qualche modo, intervenire autonomamente. Vi è chi comunque chi, non riuscendo a risolvere da solo i problemi di malfunzionamento, non demorde.
“Durante l’International Repair Day ad esempio – condivide con noi Pelaia – è arrivata una persona che aveva da riparare due cose. La prima era il braccetto che in auto consente di agganciare lo smartphone. È la seconda, però, ad avermi colpito: si era rotto infatti uno spruzzino di plastica dal valore di due euro. La voglia di ripararlo non era legata sicuramente al valore economico ma alla determinazione di non creare un rifiuto, peraltro nemmeno riciclabile. Questo spiega la nostra soddisfazione nel riuscire a riporre a posto la molla del grilletto..”.
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Cosa si riesce a riparare e cosa purtroppo va buttato
Purtroppo gran parte degli apparecchi elettronici non riesce ad avere una sorte benigna come quella dello spruzzino che vi abbiamo appena raccontato. “Molti dei dispositivi sono progettati per essere quasi irreparabili, poichè realizzati con componenti di scarsa qualità, con scarsa disponibilità di ricambi e, in alcuni casi, difficilmente disassemblabili” ci spiega Pelaia, che ci ricorda come la normativa sull’ecodesign – che mira a rendere disassemblabili e riparabili alcuni oggetti – non sia ancora entrata in vigore nei diversi Paesi UE e sia applicabile, in ogni caso, solo a un limitato novero di oggetti e rimanga in piedi l’annoso problema dei pezzi di ricambio, i quali risultano spesso o introvabili o a costi tali da costare più del nuovo.
“Se quello alla riparazione è un diritto, allora deve esserci accessibilità ai ricambi a un costo compatibile. Purtroppo la normativa europea attuale copre solo una piccola categoria di oggetti e non stabilisce un tetto di prezzo tra il costo della riparazione e il valore dell’oggetto” specifica Francesco a riguardo. Aprire le porte dei Repair Café anche nel corso di giornate straordinarie non serve solo a cercare di allungare la vita degli oggetti. “Questi appuntamenti sono occasioni per scambiarsi esperienze e confrontarsi, per accrescere la cultura legata al valore degli oggetti e a quanto sia fondamentale far caso alla reale riparabilità quando scegliamo cosa acquistare” prosegue.
Avviare un Repair Café o come diventare un volontario
Ciò che serve – sottolinea Pelaia – è una vera e propria rivoluzione culturale ed è fondamentale che il movimento coinvolga un numero crescente di persone. Vogliamo soffermarci su questo aspetto perché è quello che viene più frequentemente richiamato dai diversi attori dell’economia circolare come è accaduto, qualche giorno fa, con Antonio Beraldi di Leila. Tornando ai Repair Café, perché una rivoluzione vera possa portare dei risultati duraturi, serve partecipazione. Da un lato, quindi, è necessario un numero sempre maggiore di persone che decidono di portare a riparare un bene e che acquistino oggetti con piena consapevolezza della loro riparabilità.
È altresì importante che aumenti il numero delle persone che offrono il proprio tempo ai Repair Café. “Diventare volontari è piuttosto semplice”, ci spiega Francesco. “Chiunque sia interessato a diventare volontario può semplicemente partecipare a un evento di Repair Café per ricevere una formazione di base”, dopodiché si presidiano le aperture a turni e, se arriva qualche oggetto che non si sa come riparare (o addirittura come aprire), è possibile rivolgersi, attraverso la chat interna, agli altri volontari che, in diretta, offrono il loro supporto. Per chi invece volesse spingersi addirittura ad aprire un Repair Café od organizzare Restarter Party? “Serve un po’ di capacità, attrezzi e uno spazio dove accogliere le persone che si può trovare in parrocchie o associazioni locali”, ci consiglia Pelaia.
Inoltre, per facilitare il processo, esiste il sito Repair Cafè International, che offre risorse e guida passo-passo per iniziare. Inoltre il sito italiano The Restart Project mappa tutti i RepairCafé e fornisce ulteriori informazioni utili per chi è interessato.
Riparazione e volontariato: un modello sostenibile?
A questo punto una domanda sorge spontanea. Se ci sono così tante persone disposte a portare i loro oggetti a riparare, cosa li spinge a farlo presso un Repair Café? Inoltre, aprire dei punti di riparazione basati sul volontariato, non toglie lavoro a potenziali artigiani? “Non è equo che la riparazione si basi principalmente sul volontariato”, risponde Pelaia.
“Un approccio più professionale potrebbe effettivamente aiutare molto, soprattutto per l’elettronica e la meccanica ma ci sono ostacoli a oggi spesso insuperabili. Vi sono i problemi legati alla disassemblabilità degli apparecchi, all’assenza dei pezzi di ricambio (e a volte, quandodisponibili, con costi insostenibili) e poi vi sono tutti i costi d’impresa. A conti fatti per alcune tipologie di dispositivi, l’attività sarebbe antieconomica ed è per questo che oggi la riparazione di alcuni beni può avvenire solo grazie al volontariato di pochi”.
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