Anno nuovo vecchi dilemmi: «I social e la ferita narcisistica»

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Vivere senza social per molti, oggi, sarebbe peggio di una condanna.
Da quando il telefono è diventato un telecomando (telecomando che ci consente di entrare nelle vite degli altri, senza metterci in gioco) i social, Fb e Instagram su tutti, sono diventati il modo più semplice per avere tante vite a disposizione, senza modificare l’andamento dell’unica vita reale che ci è toccata in sorte.
Se nella realtà nessuno ci vede (la cifra del nostro tempo è l’invisibilità, l’assoluta estraneità dal mondo e dagli altri) su Fb e su Instagram basta una foto di tre quarti, con il filtro e la luce giusti, per risolvere qualsiasi trauma legato all’accettazione di noi stessi.
Più la foto è distante dalla nostra immagine reale, e più i “mi piace” fioccano, al punto da convincere noi stessi che quella figurina abbandonata al suo destino, nel grande mondo della spazzatura online, ce la farà a sopravvivere anche alla nostra difficoltà di vivere, e ci regalerà una forza tale da renderci invincibili.
Quante volte vi sarà capitato di incontrare, per strada, uomini e donne che sui social sembrano la quintessenza della bellezza e della femminilità, ma che dal vivo rimandano ad altro. Come a tutti sarà capitato l’amico/a sensibile ed affettuoso/a sui social, amico/a che nella realtà poi è fatto di tutt’altra pasta.
È un dato acclarato che esista per ognuno una vita virtuale, totalmente scollegata da quella reale, da essere usata per darsi un tono e pure una concretezza, ma che deve rimanere distante e lontana dalla realtà.
Un modo questo per mettersi al riparo dalla vita stessa, e per poter ricevere attenzioni da chiunque.
Una sorta di accattonaggio affettivo perenne in cui: pupazzi, citazioni casuali, catene di Sant’Antonio, ricette di cucina e foto di viaggi, si sovrappongono senza soluzione di continuità, rivelando ogni nefandezza e ogni limite, in maniera impietosa, al punto da segnare vite che diversamente scorrerebbero su binari collaudati di noia, e umana sopportazione e anche di ordinario disagio e solitudine.
Praticamente “la famosa stanza tutta per sé” di Virginia Woolf è diventata un’esigenza mondiale, al punto da far lucrare le società di comunicazione.
È giusto?
È sbagliato?
Se partiamo dal presupposto che chiunque può entrare in contatto con chiunque, grazie agli algoritmi e alle “agende” di amici di ognuno, direi proprio che è sbagliato. Anche in un sistema globalizzato e democratico, difficilmente, è possibile scambiare informazioni con tutti allo stesso modo. Semplicemente perché ci sono livelli diversi di prossimità umana, livelli che i social rendono ancora più invalicabili, anche se si tende a credere il contrario.
Utilizzare un sistema di comunicazione rapido e globale è un lavoro, non solo un modo per evadere.
Vi invito a fare questo piccolo test.
Se provate ad inviare dieci messaggi uguali e neutri, ad esempio un messaggio di auguri, come vi sarà capitato di fare, a dieci persone differenti, otterrete risposte più o meno uguali ma in tempi differenti, a secondo della prossimità che avete con il destinatario del messaggio. Perché non è tanto il contenuto del messaggio a variare ma il tempo che l’altro/a si prenderà per rispondere.
Questo dimostra, che come accade nella realtà, più si è in sintonia e più rapidamente si abbattono le barriere. E quindi non è possibile abbattere le barriere solo perché si è amici casualmente su Fb.
Infatti se farete il test scoprirete che il 60% delle persone a cui avrete inviato il messaggio, quelle a voi più prossime, vi risponderà immediatamente;
il 30% si prenderà del tempo, non essendo a voi prossimo, e inizierà a chiedersi il perché del vostro messaggio;
qualcuno si sentirà minacciato perché state entrando nella sua zona confort;
qualche altro proprio non è abituato ad avere rapporti paritari con chiunque, e quindi si prenderà del tempo per rispondervi, senza essere eccessivamente amichevole;
e poi ci sarà un 10% di persone che per le ragioni più varie, ragioni che vanno dalla mancanza di tempo, alla necessità di riflettere e via di questo passo, che vi risponderà dopo ore.
Questo impone una riflessione: se siamo disposti ad essere amici di chiunque, a costo di essere umanamente ignorati, ci possiamo indignare perché i nostri dati vengono utilizzati per condizionare i nostri comportamenti?
Quali comportamenti?
Quelli nella nostra vita virtuale o quelli nella nostra vita reale?
Se siamo disposti a raccontarci a qualsiasi estraneo, estraneo che talvolta nemmeno ha interesse a comprenderci per davvero, cosa cambia se diventiamo oggetto di studio per la società dei consumi, visto che usufruiamo di uno spazio in cui ci vendiamo per quello che non siamo, ad un numero imprecisato di altri esseri umani, che poi nella vita di tutti i giorni nemmeno guarderemmo?
E non è questo il vero dramma e il più grande problema della ferita narcisistica, ché prendersela con chi ci rivende al miglior offerente non è altro che la stessa cosa che facciamo già da soli, convinti come siamo di potere trovare esseri umani più luccicanti e nuovi di quelli conosciuti, come si fa con i beni di consumo sui cataloghi?
Tutto questo senza sforzo e senza spostarci dalla nostra cucina, dal nostro tinello, dal nostro bagno, luoghi totalmente uguali a quelli di chiunque altro, anche se poi non è così.
Ma chi si accorgerà che non è così?
Nemmeno le società che acquistano i nostri dati.
Come sempre ci vengono in aiuto i libri e nello specifico Ottiero Ottieri e il suo “Pensiero perverso”, edito da “Bompiani” e ripubblicato da “Interno Poesia”, un poema sulle patologie cliniche del nostro tempo, patologie di cui i social sono l’espressione più brillante, poema nato in un momento di profonda difficoltà, era reduce da un ricovero in clinica junghiana di Zurigo, e dove la ferita narcisistica è analizzata in maniera così efficace da portare alla risoluzione del problema, ed è per questa ragione che citarlo alla fine di questa brevissima disamina esistenziale ha il suo nesso, soprattutto perché è un’efficace prece per tutti i nostri loculi social, loculi in cui qualsiasi crisi di nervi è illuminata e visibile, tanto da diventare estranea e distante per gli altri, proprio perché degnamente rappresentata, al punto da essere applaudita, e lasciata lì a vista e quindi nascosta, come accade con tutto ciò che è messo sotto i riflettori.
Chi volete che apra la porta del profilo social di un altro per essere inghiottito dalle sue crisi di nervi e dalla sua ferita narcisistica?

«la crisi di nervi non deve
essere vista. Né da parenti
né da estranei
Assomiglia troppo al coito e alla svista
La depressione può essere ammirata
come profonda sonda nell’esistente
con incoraggiamenti e svaghi
col sommo collettivo richiamo
alla buona volontà
ma la crisi dei nervi non è ammessa
il pubblico interviene
con manovre subito
perciò chiude la porta.»





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