Se il pm diventa il principale imputato si mina l’indipendenza della magistratura

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Le assoluzioni dei due Mattei, anche per la risonanza avuta sulla stampa, sortiscono varie riflessioni in relazione ai destini della riforma Nordio, attualmente in discussione nell’Assemblea di Montecitorio (A.C..1917). Le sentenze, così come sono utilizzate, sembrerebbero rafforzare il progetto governativo di revisione costituzionale sulla giustizia, avendo generato una comunanza di vedute fra schieramenti politici della maggioranza, di frange dell’area moderata e di qualche “oppositore”, in un paradigma comune di ragionamento: l’ordine giudiziario va riformato perché così com’è fa solamente danni alla politica. Forse questa convergenza c’era già, ma ora emerge con più chiarezza.

Il primo Matteo (Salvini) sulla separazione delle carriere

Vediamo qualche sequenza. Dopo la sua assoluzione, i commenti di Salvini diventavano più variopinti: “devo dire che ieri in tribunale a Palermo ho visto una corretta, giusta e sana separazione di chi giudica rispetto a chi indaga. Ma non sempre è così. Quindi ora la separazione delle carriere e la responsabilità civile dei magistrati di chi sbaglia con dolo è fondamentale”. Proseguiva sulla sua pagina X: “Ora mi aspetto che Italia Viva voti con la Lega e il resto del centrodestra per cambiare questa Giustizia e prevedere, tra le altre cose, responsabilità civile dei magistrati e separazione delle carriere”.

Vari altri esponenti politici, come Maurizio Lupi, Mariastella Gelmini e Pierferdinando Casini, si univano al coro delle congratulazioni per il proscioglimento sostenendo tutti la prospettiva della riforma del sistema giudiziario. Ma Salvini andava oltre: per via della sua sentenza si è sentito rafforzato al punto da passare all’incasso. Chiedeva quasi subito il rimpasto di Governo, infatti, per tornare al Viminale, anche se non sembra abbia trovato “tifosi” (per ora: il pallone è tondo). Anzi, dovrebbe preoccuparsi un po’: all’interno del suo partito, infatti, c’è chi gli rema contro e non sembra che sia l’ultimo arrivato perché si tratta del neoeletto segretario della Lega lombarda Massimiliano Romeo che, fra l’altro, lo invita a fare un passo di lato.

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Il secondo Matteo (Renzi) offre una sponda sulla giustizia

Quanto all’assoluzione di Renzi, egli si risentiva moltissimo per il silenzio della Meloni e di Conte che si sono astenuti da ogni commento. In realtà, a parte Conte, con la Meloni (e rispettiva sorella) c’è tuttora un forte attrito per via della cosiddetta norma ad personam che vieta ai parlamentari italiani di ottenere compensi da committenti non aventi sedi nell’area UE, salvo preventiva autorizzazione fino a 100 mila euro annui. Una polemica esplosa in modo piuttosto rumoroso al Senato lo scorso 28 dicembre.

Non entro nel merito di questa norma della manovra appena varata, semmai ne parleremo in altra occasione, ma il danno economico che ne deriva per il povero Renzi (lo dice lui stesso) incide per il 10% sui suoi redditi che per il 2023 hanno raggiunto i 2,3 milioni di euro. Mi limito qui a sottolineare che Renzi su questo incassava anche la solidarietà di vari leader, fra cui, guarda un po’, Massimiliano Romeo: alla fine, evidentemente, è una preoccupazione non solo di Renzi. Ma quest’ultimo mostrava molto fastidio invocando l’incostituzionalità della norma e minacciando il Governo di un’opposizione durissima per il 2025.

In questo contesto così teso va letta anche la sua precedente dichiarazione nella conferenza stampa del 20 dicembre u.s.: “voterò a favore della riforma Nordio, se il governo farà una proposta seria”. Frase sibillina: quale sarebbe la proposta “seria” per Renzi non lo sappiamo. È una delle sue furbate: il Senato ha già approvato la riforma Nordio in prima lettura. A quale altra proposta prometteva il suo voto? In realtà Renzi entrava nell’area dei fautori della riforma del Governo passando per la perdita del 10% sul suo reddito. Alzare la voce al mercato spesso può servire.

Al di là delle dichiarazioni dei politici, la cui rilevanza attiene agli schieramenti, anche il contrasto registrato nei giorni scorsi fra Associazione Nazionale Magistrati (ANM) e Unione delle Camere Penali (UCPI) si inseriva in questa diatriba rappresentandone uno degli elementi più significativi, almeno per il fatto che in questo recinto abbiamo a che fare con chi il diritto lo mastica ogni giorno. Le assoluzioni di cui parliamo, infatti, si collocavano al centro di una nota della Giunta dell’UCPI secondo cui esse confermerebbero che “nel nostro Paese l’uso politico dello strumento giudiziario da parte della magistratura, che ha avuto tratti eversivi, non è mai cessato”, ma si ammetteva che solo una minima parte della magistratura continua a manifestare tratti eversivi. A causa di questa componente nettamente minoritaria, il corpo sano rimarrebbe vittima della delegittimazione e della mancanza di fiducia. Si tratterebbe di una “deriva” che la politica non è stata in grado di evitare e sarebbe giunto il momento di mettere fine a questa anomalia “attraverso una organica riforma costituzionale dell’assetto della magistratura”. La nota, molto breve, è datata 21 dicembre 2024.

Senato Relazione del ministro Carlo Nordio sullo stato della giustizia
Il ministro Carlo Nordio (Stefano Carofei / agenzia Fotogramma)

A che cosa servono i processi?

A questa esternazione piuttosto stringata della Giunta UCPI, facevano da contraltare due interviste: la prima al segretario dell’ANM Salvatore Casciaro del 22 dicembre; la seconda al presidente dell’ANM Giuseppe Santalucia del giorno successivo, entrambe al Corriere della Sera. Fra le argomentazioni della prima intervista, emergeva un quadro un po’ diverso: se c’è un’assoluzione con formula ampia non significa necessariamente che ci sia stata una strumentalizzazione politica da parte del PM, né che quel processo non doveva neanche essere avviato. I processi si fanno per l’accertamento delle responsabilità attraverso il metodo del contraddittorio e del confronto e gli esiti non sono scontati. “Se si facessero i processi solo con la certezza di arrivare a una condanna — diceva Casciaro —, gli stessi processi sarebbero inutili”.

Sulla stessa traccia, Santalucia aggiungeva che “I processi si fanno per provare una responsabilità, se non ci si riesce arriva l’assoluzione, che non può essere una patologia. Gli avvocati dovrebbero essere i primi a saperlo e a dirlo”. Nel caso del processo a Salvini, peraltro, questo non era ascrivibile solo alla procura di Palermo: prima del rinvio a giudizio vi erano state, dapprima, la valutazione del Tribunale dei ministri, poi quella in sede di autorizzazione a procedere del Senato. In proposito, Casciaro osservava che se davvero “le condotte che si chiede di sottoporre a giudizio siano state dettate da un preminente interesse pubblico o costituzionalmente rilevante” per legge l’autorizzazione a procedere poteva essere negata.

Da un altro punto di vista, l’ANM sosteneva che le riforme come tali non fanno paura a nessuno, ma si pone solo un problema di merito: non è con la separazione delle carriere che il giudice diventa tertium. Casciaro aggiungeva che “[I] dati statistici, non le opinioni, dicono che circa il 50 per cento dei processi già oggi si chiude con un proscioglimento, dunque la terzietà del giudice rispetto alle parti del processo, accusa e difesa, è già evidente nei fatti”. E il Presidente Santalucia ribadiva che “solo nei regimi illiberali, in cui i pubblici ministeri sono orientati dal potere e i giudici non si permettono di dissentire, i processi si concludono sempre con le condanne”. Non v’è chi non veda, ormai, che dietro la separazione delle carriere si nasconde l’obiettivo inconfessato di questo Governo (come per la riforma “epocale” Berlusconi/Alfano) di isolare il PM e subordinarlo all’esecutivo. Anche nella sfera degli errori giudiziari, Santalucia argomentava in modo coerente. Certo che ci sono gli errori e che debba esserci la responsabilità civile e penale dei magistrati, ma ci sono: si trovano in mano al Ministro che è titolare dell’avvio dell’azione disciplinare. Con questa riforma, in realtà, si vorrebbe andare oltre: “controllare e condizionare il Pm, che, rischiando una richiesta di danni a fronte a un’eventuale assoluzione, finirà per chiedersi chi glielo fa fare”, con evidenti ricadute sulla sua libertà di giudizio.

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Dopo le interviste sopra brevemente illustrate, usciva una seconda nota della Giunta UCPI breve e stringata quasi come la precedente, contenente, più che argomentazioni, varie altre affermazioni. Si ribadiva la natura strumentale di entrambi i processi incentrati su simili “teoremi volti a sindacare il piano delle scelte politiche piuttosto che i fatti”. A tale proposito si ripeteva che tanti sono “gli episodi connotati da una evidente carica politica posti in essere dalla magistratura […]. Basti ricordare in proposito le parole di Palamara sulla vicenda della nave Diciotti che affermava la necessità di attaccare Salvini”. Come se Palamara, per questo, fosse stato premiato o sia rimasto al suo posto. Seguivano altre affermazioni e rammentava, altresì, la Giunta, che furono le Camere penali nel 2017 a depositare “in Parlamento una proposta di riforma costituzionale di iniziativa popolare, ed è quella riforma che è stata poi in verità sostenuta dalla politica”.

Si aggiungeva poi lo scontro nel CSM fra togati e laici di destra avente per oggetto proprio il tema della separazione delle carriere. L’8 gennaio saranno presentate al Plenum CSM due proposte di pareri; fra le due, l’una è (così sembra) contraria in maniera schiacciante; l’altra, sarebbe nettamente favorevole. Tutto, però, è da verificare, perché al momento in cui scriviamo favorevole sarebbe solo chi propone il relativo parere: Felice Giuffrè, consigliere laico di F d’I. Insomma, l’organo di autogoverno potrebbe orientarsi per un parere negativo, ma si vedrà a breve.

 

De assoluzioni per un obiettivo: assoggettare il pm al governo

Lo scenario di questo spettacolo sembra abbastanza chiaro: al centro c’è l’obiettivo di convogliare le due assoluzioni Salvini-Renzi in favore della riforma Nordio. Questo avviene in un momento particolare per il Governo: fra le tre riforme che compongono l’accordo di ferro, nella prospettiva di allargare ulteriormente il già favorevole schieramento dei questuanti sulla riforma Nordio, su questa il Governo spinge l’acceleratore, ma Nordio non sembrerebbe propriamente ottimista: incontrando il Presidente dell’ANM ad Atreiu, infatti, aveva dichiarato che questa riforma fosse talmente importante che lui stesso avrebbe auspicato per essa il referendum costituzionale “anche per sottrarla al sospetto di baratterie”. Può raccontarlo a qualcun altro. In realtà lui, con tutto il Governo, auspicherebbero l’approvazione con i 2/3 in seconda lettura così niente referendum; in subordine, che i parlamentari (1/5) non lo chiedano. Anche sulla raccolta di 500 mila firme non ha molto da illudersi: c’è in piedi in Italia un movimento di base vigile e attento che ha dato prova di sapersi mobilitare in modo unitario e trasversale.

È proprio su questa forza che vale la pena di puntare. Bisogna intensificare la mobilitazione e la partecipazione di base; spiegare ai cittadini ogni passaggio della riforma; mostrare ai meno informati che la riforma Nordio non è una cosa estranea agli interessi delle persone: l’indipendenza della magistratura è posta sotto assedio anche se gli assalitori dicono di volerla garantire; che porre il PM alle dipendenze del Governo vuol dire garantire il malaffare, le mafie, la corruzione, lo strapotere delle lobbies che sono all’origine dell’impoverimento costante e continuo di larghe e crescenti masse di lavoratori, disoccupati, donne, giovani, anziani. Infine, anche qui la solita ma mai inopportuna raccomandazione alla sinistra (specie a quella che guarda a destra): nel mercimonio che ho cercato di evidenziare, non ci sono spiragli di trattativa se non “a perdere”. Non vale qui il paradigma del “poco è meglio di niente”: i nodi sono tutti venuti al pettine e la battaglia è fra democrazia e autoritarismo. Schierarsi per la prima senza equivoci e con chiarezza non può che avere un effetto positivo su quanti (tanti, troppi) al momento hanno scelto di non esserci.



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