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Dopo i giorni passati cercando di tenere basse l’attenzione e la tensione, le telefonate di Cecilia Sala hanno reso frenetiche le attività sia del governo che dell’opposizione. L’ambasciatore iraniano convocato al ministero degli Esteri, poi il vertice dell’unità di crisi composta dalla premier Meloni, dai ministri Tajani e Nordio, dal sottosegretario Mantovano e dal consigliere Saggio, infine, anzi finalmente, la telefonata della premier al padre di Cecilia Sala e il ricevimento a palazzo Chigi della madre. Quali saranno i frutti di questo iperattivismo, se ci saranno, lo si scoprirà nei prossimi giorni.
Per ora da palazzo Chigi filtra pochissimo: bisogna accelerare i tempi però senza inchinarsi ai diktat iraniani. Insomma senza procedere d’urgenza con la decisione sugli arresti domiciliari e sull’estradizione per lo svizzero-iraniano Mohammed Abedini, contro i quali si sono espressi ieri sia la procura generale di Milano sia gli inquirenti del dipartimento di Giustizia Usa. La nota di palazzo Chigi in materia è quasi esplicita e certo non piacerà a Teheran: «Il governo ribadisce che a tutti i detenuti è garantita parità di trattamento nel rispetto delle leggi italiane e delle convenzioni internazionali».
Dunque deciderà la Corte d’appello di Milano, dopo il 14 gennaio, e i pronostici sulla concessione dei domiciliari a un detenuto che era in Italia solo di passaggio sono a dir poco incerti. È un braccio di ferro, o forse una guerra dei nervi, nella quale lo spettro che più agita Roma è che l’Iran decida di alzare la posta mettendo in campo un’accusa di spionaggio che renderebbe la già delicatissima partita ancora più drammatica.
Non è che nel governo e nella stessa unità di crisi non serpeggino tensioni. Il ministro degli Esteri sarebbe furibondo per non esser stato avvertito preventivamente dell’arresto di Abedini. È probabile che i servizi, e dunque il sottosegretario Mantovano, siano altrettanto imbufaliti per il blitz dell’Fbi, che ha aggirato l’intelligence italiana, e forse lo stesso ministro degli Interni Piantedosi, rivolgendosi direttamente ai funzionari di polizia. Sono nodi che arriveranno al pettine e probabilmente qualche testa finirà sotto la mannaia ma a suo tempo. Per ora la priorità assoluta è risolvere la questione.
La prima urgenza è cercare di migliorare le condizioni di detenzione della giornalista italiana, rivelatesi all’improvviso molto più dure del previsto. È un passaggio, come ha fatto capire chiaramente l’ambasciata iraniana a Roma, direttamente collegato alla detenzione di Abedini in Italia. A palazzo Chigi parlano esplicitamente di «reciprocità». Da quel punto di vista qualche leggerezza probabilmente nei primi giorni c’è stata. Prima o poi si arriverà al vero passaggio strettissimo, la decisione sull’estradizione.
Gli estremi per negarla ci sono, sia perché la richiesta è stata avanzata dalla procura federale, anche se i reati contestati non prevedono la pena di morte, sia perché manca il requisito della doppia incriminazione. Per l’estradizione è necessario che l’illecito di cui l’estradando è accusato sia tale in entrambi i Paesi coinvolti e i Guardiani della Rivoluzione, ai quali Abedini avrebbe fatto pervenire «componenti elettroniche per armi letali», sono considerati organizzazione terrorista negli Usa ma non in Italia. Ma la decisione sarà politica prima che giudiziaria. Al momento. La politica, cioè il governo, vorrebbe chiudere la partita prima dell’insediamento di Trump e da ieri avrebbe modificato l’ordine delle priorità: al primo posto ci sarebbe ora solo la salvezza della giornalista italiana mentre sino a ieri la preoccupazione per i rapporti con gli Usa era considerata almeno altrettanto importante.
Si è svegliata anche l’opposizione, dopo giorni di letargo. Ha provveduto a scuoterla Renzi con un post da allarme rosso: «Le ultime notizie sono molto gravi e preoccupanti. Chiedo alla premier di riunire in sua presenza tutti i leader di maggioranza e opposizione oppure i capigruppo».
A strettissimo giro una nota congiunta della segretaria del Pd Schlein e del responsabile Esteri Provenzano hanno avanzato la stessa richiesta: «Chiediamo al governo la condivisione con tutte le forze politiche delle iniziative intraprese per la liberazione di Cecilia Sala». Sarebbe potuto essere un primo e meritorio caso di convergenza in nome di una vicenda di interesse nazionale. Il governo ha scelto una strada molto meno impegnativa. Oggi Mantovano riferirà al Copasir «e per suo tramite al parlamento». Non è proprio la stessa cosa.
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