Dalla legge di bilancio spariscono le risorse per contrastare la povertà educativa

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Un fenomeno in crescita nel nostro Paese, che impedisce ai minori di costruirsi un futuro dignitoso. Eppure il governo taglia il Fondo istituito nel 2016: «L’idea è sostituire le politiche incentrate sull’inclusione con quelle basate sulla repressione»

Per il governo garantire sicurezza significa nascondere le situazioni di marginalità sociale, invece di agire sulle ragioni che le determinano. Così, nelle stesse ore in cui, in vista del Capodanno (e per i successivi tre mesi), il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha invitato i prefetti a istituire le zone rosse, aree nelle città da cui allontanare i soggetti pericolosi o con precedenti penali, per permettere ai cittadini (gli altri) di fruire gli spazi pubblici, con la legge di Bilancio 2025 il parlamento ha approvato il taglio del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. A dimostrazione che per la maggioranza di governo non conta lavorare per offrire a tutti pari opportunità per una vita dignitosa, ma emarginare chi è svantaggiato e, quindi, ha più probabilità di essere problematico.

Il Fondo per contrastare la povertà educativa minorile era stato istituito nel 2016 – e negli anni sempre rifinanziato con le successive manovre economiche, per un valore complessivo di oltre 800 milioni di euro – grazie a un’alleanza tra governo, Acri-Associazione di fondazioni e di casse di risparmio, e il Forum del terzo settore. Con l’obiettivo di sostenere interventi sperimentali per rimuovere gli ostacoli economici, sociali e culturali, che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori. Cioè che non permettono loro di costruirsi un futuro.

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La povertà educativa, come mostrano i dati, non solo Istat, è un fenomeno in crescita in Italia, tra i principali fattori che alimentano le altre forme di disuguaglianza, di marginalità sociale, di disagio, «è un fenomeno multidimensionale. Frutto del contesto in cui vivono i minori. Non solo legato alle cattive condizioni economiche, ma che investe anche la dimensione emotiva, della socialità e della capacità di relazionarsi con il mondo», spiega Marco Rossi-Doria, presidente dell’impresa sociale Con i bambini, ente attuatore del Fondo che, attraverso bandi e iniziative per l’assegnazione delle risorse, gestisce la sua operatività: «Grazie alle risorse a disposizione abbiamo dato vita a una sperimentazione molto larga che ha coinvolto 500mila bambini e ha portato cambiamenti impattanti sui territori. Progetti pensati per durare nel tempo, costruiti attraverso alleanze tra scuola, terzo settore, amministrazioni locali e volontariato. In modo da creare comunità educanti, consorzi di risorse che responsabilmente danno risposte ai bisogni».

Come ribadisce Rossi-Doria, fiducioso che il governo possa porre rimedio al mancato rinnovo del Fondo con le misure attuative della legge di Bilancio, per i progetti già avviati non mancheranno le risorse, previste fino al loro termine, «il problema sta nella prospettiva. La povertà educativa è un problema strutturale del nostro Paese in cui nascono pochi bambini e tanti vivono in condizione di deprivazione. Se fino a oggi, individuato un problema, abbiamo avuto le risorse per avviare sperimentazioni per cercare soluzioni, con l’obiettivo di trasformarle in politiche strutturali, cosa succederà in futuro?».

I progetti che hanno preso forma negli ultimi 8 anni in tutta Italia grazie al Fondo per il contrasto della povertà educativa, infatti, sono stati più di 800, attraverso una rete di oltre 9.500 organizzazioni, volti non solo a garantire il benessere dei minori ma anche delle loro famiglie: dall’iniziativa per avviare azioni di inclusione per i minori afghani scappati dal Paese dopo il ritorno dei talebani ai tanti dedicati a contrastare il disagio sociale e l’abbandono scolastico nelle periferie d’Italia, per fare alcuni esempi.

Fino ai progetti, promossi dal bando “A braccia aperte” pensati per supportare gli orfani di femminicidio e le famiglie a cui vengono affidati, facendo luce su realtà complesse quanto ancora sommerse, che le Istituzioni dovrebbero prendere in carico.

«Non rinnovare il fondo significa non rifinanziare progetti come questi. E non dare continuità al contrasto alle disuguaglianze e alle emergenze sociali come abbiamo fatto grazie alle sinergie costruite, basate sul principio di sussidiarietà sancito dalla Costituzione», spiega Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum del terzo settore che sottolinea la gravità politica di una scelta «che non ci aspettavamo. Nella legge di bilancio mancano interventi strutturali per favorire il benessere delle nuove generazioni, le più colpite dalla povertà, il futuro del Paese».

A pensare che il taglio del Fondo sia un fatto molto grave c’è anche Andrea Morniroli, cofondatore del Forum disuguaglianze e diversità, secondo cui interrompere la sua funzionalità significa porre fine a quei progetti di contrasto alla povertà educativa che fino a oggi hanno prodotto cambiamenti importanti sui territori, non calati dall’alto, specialmente nelle aree più complicate del Paese: «Sperimentazioni che hanno dato indicazioni di politiche pubbliche. Ma non rifinanziare il Fondo è anche un atto coerente con le scelte del governo fino a oggi: smantellare la scuola pubblica e sostituire le politiche incentrate sull’inclusione con quelle basate sulla repressione».

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