Il caso della metro C di Roma. Non c’è stato dolo, nessuno ha ricevuto tangenti, eppure i condannati dovranno pagare centinaia di migliaia di euro. Non esiste certezza del diritto né la ricerca di prove certe, ma solo la completa discrezionalità dei magistrati
Prodi affermava con gli amici e sottovoce che l’abolizione della Corte dei Conti avrebbe regalato all’Italia un 2 per cento di Pil. La voce trapelò e naturalmente si gridò al colpo di stato. Da allora si parla poco di questo ramo della giustizia, le cui procedure sono poco note e poco discusse, ma la cui azione può essere ancora più devastante dei tanti malfunzionamenti della giustizia penale. Parlo dei processi intentati dalla Corte dei Conti per i cosiddetti danni patrimoniali dovuti ad azioni “sbagliate” commesse da funzionari pubblici. E in cui gli imputati, se ritenuti colpevoli, devono rispondere con il proprio personale patrimonio.
Alcune volte le richieste dei Procuratori della Corte sono state così assurde da essere assunte agli onori della cronaca. Anni fa fece scalpore la richiesta di un risarcimento di 1 miliardo di euro (!) chiesto alla dottoressa Maria Cannata, stimatissima funzionaria del Ministero del Tesoro, per essere stata, secondo i formidabili magistrati della Corte, “negligente” nella gestione del debito dello stato italiano. Poco importava che la gestione del debito italiano fosse considerata esemplare a livello mondiale e che tutte le operazioni fossero approvate dagli organi del Ministero. Tempo fa mi capitò di parlare della cosa con un ex Presidente della Corte, il quale mi disse che dopo essersi insediato chiese quanti economisti erano in forza alla Corte. La risposta fu: praticamente zero.
Recentemente si è concluso un altro processo nei confronti di decine di imputati accusati di essere “colpevoli” di avere concesso al consorzio delle imprese che stanno realizzando la linea C della metropolitana romana, una transazione economica per riserve accertate. La richiesta del pubblico Ministero, il dott. Crea, nel frattempo promosso a migliore incarico, era di 160 milioni di danni patrimoniali. I magistrati giudicanti hanno concesso il 2 per cento, poco più di 3 milioni. Un completo fallimento dell’accusa per un processo durato 10 anni e costato fra avvocati, tempo, guardia di finanza, sequestri, udienze e memorie ben più della cifra portata a giudizio. Alcune centinaia di migliaia di pagine di documenti processuali. Solo le fotocopie devono essere costate quanto un pezzo di metropolitana.
Ma occorre sottolineare alcune cose, che fanno della giustizia della Corte un unicum mondiale privo di ogni logica. In nessun caso è mai stato contestato agli accusati il “dolo”, cioè l’intenzione di violare la legge. Né, nonostante l’interessamento della Procura ordinaria per i reati penali, alcun episodio di corruzione da cui qualcuno degli imputati potesse avere tratto un beneficio. Li si è invece ritenuti colpevoli di non avere rispettato tutte le procedure di legge, naturalmente interpretata a loro modo. È bene sapere a questo proposito che la transazione in questione ha avuto prima di essere effettivamente liquidata un iter autorizzativo di vari anni, sottoposto al giudizio di diversi funzionari della società responsabile dell’appalto, di tre diversi consigli di amministrazione di Roma Metropolitane, delle avvocature di 3 diverse amministrazioni comunali (Veltroni, Alemanno, Marino), dell’Avvocatura dello Stato e del Cipe.
Inoltre l’ammontare della transazione fu decisa da una commissione paritetica presieduta da una magistrata della Corte dei Conti! L’unica nonostante la sua evidente ed esplicita responsabilità a non essere stata rinviata a giudizio. Cane non mangia cane. Quindi riassumendo. Non c’è stato dolo, nessuno ha ricevuto tangenti per questa transazione, diversi organismi comunali e statali la hanno approvata… ma alla fine una decina di condannati dovranno pagare cifre di centinaia di migliaia di euro e in un caso ben oltre il milione. Per avere fatto più del loro dovere. Chi deve affrontare questi processi si carica di spese legali enormi, mai rimborsate anche quando non giudicato colpevole e rischia la confisca del patrimonio familiare. Sebbene poco note sono molte le vittime di questo modo di procedere, lasciate completamente sole dalle Amministrazioni per cui lavoravano. I processi, compreso l’eventuale appello, si concludono all’interno della Corte, non essendo nemmeno previsto il ricorso in Cassazione. Con evidenti conflitti di interesse.
Non esiste certezza del diritto né la ricerca di prove certe, ma solo la completa discrezionalità dei magistrati. Nel caso illustrato è evidente che dopo 10 anni di indagini e udienze e nonostante la sentenza smonti pressoché tutto l’impianto accusatorio qualche cosa doveva essere concesso al Pubblico Ministero. Nel frattempo promosso e diventato capo della potente Procura contabile romana. Le porte girevoli sono la norma in Corte dei Conti tra Procura e collegi giudicanti. Tra la Corte e i Gabinetti dei Ministeri, con nomine in decine di commissioni e cda, dove vengono accolti sperando di acquisirne la benevolenza. Se si vuole restituire fiducia agli amministratori e ai funzionari che devono mettere la firma sui procedimenti di spesa, sempre soggetti alla discrezionalità della Corte, sarebbe bene che Nordio gettasse un’occhiata anche da quelle parti. Anche qualche cosa di più di un’occhiata.
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