Di Marina Poci per il numero 384 de Il7 Magazine
L’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari denominata “Codice Interno”, che avrebbe accertato il delitto di scambio elettorale politico-mafioso nel corso delle elezioni amministrative del 2019 nel capoluogo pugliese, avrebbe una costola, sfociata in un procedimento per rivelazione di segreto di ufficio, in cui sarebbe coinvolto un finanziere di origini mesagnesi, Antonio Cretì, cinquant’anni, in servizio presso il Comando Provinciale di Bari: il militare, infatti, sarebbe stato la “talpa” che avrebbe rivelato all’avvocato Giacomo Olivieri, ex consigliere regionale, uno dei principali indagati nell’inchiesta sugli intrecci tra mafia e politica, una imminente perquisizione, effettivamente avvenuta il 20 giugno 2019, nell’ambito di una indagine della DDA sulla gara di calcio di serie D Picerno-Bitonto, che sarebbe stata truccata.
Dell’ulteriore fascicolo scaturito dall’inchiesta principale ha dato notizia nei giorni scorsi La Gazzetta del Mezzogiorno, svelando i retroscena di uno dei corollari di “Codice Interno”, l’inchiesta che, portando il 26 febbraio scorso all’arresto di 135 persone (tra amministratori, politici ed esponenti dei clan baresi), avrebbe documentato l’ingerenza elettorale di consorterie criminali di tipo mafioso nelle penultime consultazioni baresi, con una penetrante intrusione dei boss e dei loro sodali nel tessuto sociale ed economico della città: sulla posizione del maresciallo Cretì vi è profonda diversità di vedute tra i magistrati della Procura antimafia barese e il Giudice per le indagini preliminari Giuseppe Montemurro, che ha respinto la richiesta di archiviazione formulata per il finanziere dai sostituti della DDA, fissando, per il 16 gennaio prossimo, udienza per la discussione in camera di consiglio.
Stando alla prospettazione dei magistrati guidati dal Procuratore Rossi, che per la stessa vicenda hanno notificato a Giacomo Olivieri l’avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell’articolo 415 bis del codice di procedura penale, l’apporto causale della condotta del mesagnese al delitto di concorso in rivelazione di segreto di ufficio sarebbe stato minimo, tanto da configurare un’ipotesi di richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto. Di tutt’altro avviso sarebbe invece il Gip, per il quale i fatti per cui Cretì è indagato sarebbero meritevoli di ulteriore approfondimento.
Secondo la DDA, gli elementi costituivi del reato per cui si procede sarebbero ravvisabili nei comportamenti posti in essere dal maresciallo, ma il buon esito dell’inchiesta a cui si riferisce la “soffiata” non sarebbe stato pregiudicato, né in alcun modo compromesso, dalla rivelazione di Cretì, avvenuta “poche ore prima del compimento delle attività delegate ed in favore di persona del tutto estranea alle indagini poiché unicamente finalizzata a favorire la pronta diffusione mediatica dei fatti”. Il riferimento è al giornalista Antonio Loconte (non indagato), all’epoca dei fatti direttore della testata online Quotidiano Italiano (riconducibile all’avvocato Olivieri), a cui Cretì, per il tramite di Olivieri stesso, era solito girare in anteprima notizie di operazioni significative.
È quanto accadde anche il 18 giugno del 2019, quando il maresciallo scrisse all’ex consigliere regionale chiedendogli se fosse ancora in contatto con Loconte (che in quel periodo era sottoposto a provvedimento disciplinare di sospensione dall’esercizio della professione, ma continuava comunque a mantenere il controllo della testata): Cretì disse a Olivieri di essere in possesso di una notizia in esclusiva da girare al giornalista, raccomandandogli di non fare il suo nome a Loconte (“Quell’amico giornalista ce l’abbiamo ancora? Mandami il numero che ho una cosa esclusiva per lui se gli interessa… digli solo che ti chiama un amico… non dire che sono io”). La notizia riguardava, per l’appunto, le perquisizioni che si sarebbero svolte a breve nell’inchiesta sulla partita truccata. Il finanziere era in possesso dell’informazione in quanto spesso collaborava con gli investigatori della DDA in indagini di loro competenza. La circostanza, rivelata da Olivieri nel corso dell’interrogatorio del 6 maggio davanti ai magistrati antimafia, è stata poi confermata dagli accertamenti tecnici eseguiti sul telefono dell’avvocato, che non soltanto avrebbero rivelato lo scambio di messaggi con Cretì, ma avrebbero anche consentito di intercettare un dialogo con la moglie Maria Carmen Lorusso, anch’ella coinvolta nell’inchiesta “Codice Interno” e attualmente a processo: in quella conversazione Olivieri annunciava alla coniuge che “quello della Guardia di Finanza” gli aveva anticipato l’esecuzione delle perquisizioni in merito ad un’operazione di polizia giudiziaria.
I rapporti tra il maresciallo della Finanza e l’avvocato, che nell’inchiesta “Codice Interno” è accusato di avere procurato voti alla moglie (eletta nel centrodestra a sostegno del candidato sindaco Di Rella e poi transitata nella maggioranza di centrosinistra a guida Decaro) con l’appoggio di esponenti di spicco dei clan baresi (in particolare i Parisi-Palermiti di Japigia), rapporti iniziati quando il finanziere si rivolse al legale per affidargli la propria pratica di divorzio, potrebbero però non essersi esauriti con la rivelazione del 2019: l’obiettivo della Procura antimafia sarebbe infatti quello di stabilire se Olivieri, che secondo gli investigatori avrebbe avuto la “capacità di condizionare e strumentalizzare per i propri fini importanti settori delle forze dell’ordine” abbia ricevuto da Cretì “anticipazioni” circa le misure cautelari (in carcere e ai domiciliari) relative a “Codice Interno”. Appena cinque giorni prima che i 135 indagati fossero attinti dai provvedimenti emessi dal Giudice per le indagini preliminari Alfredo Ferraro, infatti, Olivieri e Cretì si sono incontrati presso l’Apple Store di Corso Vittorio Emanuele II di Bari. Era il 21 febbraio dello scorso anno e, proprio il giorno precedente, l’avvocato aveva avuto notizia, da terzi mai identificati, di una indagine svolta nei suoi confronti. Indagine che sarebbe culminata, alle tre e mezza del mattino del 26, con il suo arresto da parte della Squadra Mobile della Questura di Bari. Da allora Olivieri, dopo un breve passaggio di tre settimane presso la casa circondariale di Brindisi, è rinchiuso nel carcere di Lanciano, nel quale divide una cella di alta sicurezza della terza sezione (quella destinata a detenuti per reati di mafia e legati a traffico di stupefacenti) con un calabrese condannato in via definitiva per associazione di tipo mafioso. Malgrado i suoi avvocati abbiano richiesto l’attenuazione della misura, con la concessione degli arresti domiciliari, i magistrati del Tribunale del Riesame hanno condiviso l’impostazione dei colleghi della DDA, che hanno ritenuti ancora attuali le esigenze cautelari, sulla scorta della considerazione che sino a pochi giorni prima dell’arresto Olivieri era occupato a tessere rapporti tesi a favorire l’elezione della moglie nelle elezioni amministrative baresi che si sarebbero tenute qualche mese dopo, nelle quali Mary Lorusso avrebbe docuto candidarsi nella lista “Sud al centro”, riconducibile a Sandrino Cataldo, marito della ex assessora regionale ai Trasporti Anita Maurodinoia (entrambi, Cataldo e Maurodinoia, sottoposti a procedimento penale per voto di scambio, ma senza l’aggravante mafiosa).
Mentre sembra scontato che per l’avvocato la DDA si orienterà per la richiesta di rinvio a giudizio, più fluida appare la posizione del maresciallo Cretì: sottoposto anch’egli a perquisizione all’esito della quale non sarebbero emersi indizi di particolare gravità, la sua condotta è adesso sotto la lente del Gip Giuseppe Montemurro che, qualora non sposasse l’impostazione della Procura, potrebbe disporre un supplemento di indagini o persino l’imputazione coatta. In questo ultimo caso, i magistrati guidati dal Procuratore Rossi dovrebbero formulare il capo d’accusa e prepararsi all’udienza preliminare.
Intanto, sul versante “Codice Interno”, è attesa a giorni la decisione della commissione nominata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per verificare se da parte dei clan mafiosi vi siano stati, nei confronti della macchina amministrativa, condizionamenti tali da integrare gli estremi dello scioglimento del Consiglio comunale. Ambienti vicini ai membri della commissione danno in realtà per accantonata l’ipotesi, giacché gli elementi raccolti non parrebbero in grado di sostenere la decisione. Più complicata appare invece la situazione delle società partecipate dal Comune (Amtab, Amiu, Amgas, Retegas e Multiservizi), per le quali, accertata la presenza di pregiudicati e di procedure di reclutamento influenzate dai clan, appare sempre più vicino il commissariamento.
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