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La povertà estrema è aumentata e questo è sotto gli occhi di tutti. Lo si vede in molte città italiane e Latina non ne è risparmiata. Non è servito il pugno duro adottato dall’amministrazione comunale nei mesi scorsi, in via Don Morosini e poi nel quartiere Trieste, con la rimozione dei giacigli, la bonifica delle aree e perfino l’eliminazione delle panchine su cui dormivano le persone senza dimora. Il “problema” è stato solo allontanato per un po’, al limite spostato da un’altra parte, magari in angoli meno visibili, da quartieri centrali a zone più nascoste. Ma è rimasto lo stesso. Anzi, nel tempo ha assunto proporzioni sempre più allarmanti.
Povertà estrema, la mappa dei luoghi a Latina e nell’intero distretto
Chi non ha una casa è tornato a dormire in via Don Morosini, su giacigli allestiti sui basamenti delle panchine che non ci sono più, sotto i palazzi del Villaggio Trieste, sotto i portici di Corso della Repubblica. Chi non ha una casa dorme in piazza del Quadrato, in zona Nicolosi e alle autolinee, in via Virgilio, vicino all’ex Svar, nel quartiere Santa Maria Goretti e nel quartiere Europa, solo per restare alle zone cittadine a ridosso del centro. Ma il fenomeno è tanto più ampio e diffuso quanto più sono complesse e variegate le sue radici ed eterogenea la sua composizione sociale. Lo sanno bene i Servizi sociali del Comune di Latina che lo affrontano con progetti di Housing First, con il dormitorio permanente e con quello legato all’emergenza freddo nei mesi invernali, con un centro servizi aperto di giorno, un servizio di Pronto intervento sociale sempre attivo e con le unità di strada che ogni giorno pattugliano la città per prestare assistenza ai più fragili. Il monitoraggio si allarga anche all’intero distretto socio sanitario e così dal capoluogo si arriva anche ai borghi, alle Ferriere, a Sabaudia e alla frazione di Bella Farnia.
Il censimento dei senza dimora: il 33% è di nazionalità italiana
Periodicamente poi ci si occupa di un censimento preciso delle presenze di chi è senza dimora. Dall’ultimo rilevamento sono state censite complessivamente 117 persone, presenti in tutte le zone monitorate nell’ambito del distretto. Con una composizione estremamente variegata, per età, provenienza e nazionalità e anche per il bagaglio pesante di storie e di disagi che ognuno porta sulle spalle. Quello che emerge è che il 33% dei clachard è di nazionalità italiana, il 22% indiana, il 20% tunisina, mentre l’11% proviene dalla Romania, il 4% dal Marocco, il 5% dall’Algeria e il 2% dalla Nigeria. Ma a fronte dei dati ufficiali, i Servizi considerano che almeno un 50% della popolazione senza dimora che si trova sul territorio sfugga ai controlli, perché alcune aree restano praticamente inaccessibili per le unità di strada del Pronto intervento sociale.
Clochard sempre più numerosi: chi sono le persone che vivono in strada
Un fenomeno variegato e complesso si diceva, per il quale non è sempre possibile individuare una causa precisa. Chi vive per strada spesso ci si ritrova per le ragioni più diverse, in qualche caso si tratta di persone che fanno uso di sostanze, in altri c’è alla base un disagio psichico, ma sempre si vive una condizione di solitudine e un’emarginazione rispetto a qualunque dinamica sociale. All’incremento delle condizioni di povertà estrema hanno però contribuito molteplici fattori che si sono delineati in maniera diversa negli ultimi tempi sia sul piano nazionale che sul territorio. La stretta sul reddito di cittadinanza ad esempio ha creato un’ondata di nuovi poveri, italiani, soli e disoccupati, che non possono più sostenere il costo di un affitto. Accanto a questo c’è una stretta anche sull’immigrazione che ha reso “invisibile” una grande parte di stranieri uscita dai Centri di accoglienza e finita per strada. Infine, c’è un fenomeno tutto legato alla specificità del territorio pontino. La morte di Satnam Singh, il bracciante rimasto ucciso in un terribile incidente sul lavoro, ha portato a intensificare i controlli in tutte le aziende agricole del territorio portando spesso alla luce situazioni di illegalità e lavoro nero. La conseguenza però è paradossale: chi era irregolare e veniva impiegato in nero oggi è rimasto comunque sul territorio ma non lavora più e va ingrossare le fila di chi vive in condizioni di miseria e povertà estrema. Senza un alloggio, senza paga, senza una rete di supporto. Una condizione che avevamo già raccontato, provando ad analizzare con i sindacati cosa fosse cambiato dopo la morte di Satnam. Non è un caso dunque che, dopo gli italiani, la comunità più numerosa fra la popolazione senza dimora sia proprio quella indiana, arrivata sul territorio per lavorare nelle campagne e finita a “sopravvivere” da invisibile.
Latina territorio di passaggio tra Roma e Napoli
A tutto questo si aggiunge la collocazione geografica di Latina, provincia a metà strada tra Roma e Napoli e seconda città del Lazio dopo la Capitale. Un territorio appunto di collegamento e di passaggio, l’unico, tra la Capitale e la Campania, su cui tra l’altro si trova un dormitorio permanente. E infatti il 45% delle persone che vivono in strada non è nata a Latina né in provincia, mentre il 26% ha una residenza nel capoluogo in realtà solo fittizia. E il Comune? E’ solo ad affrontare un problema fatto di elementi complessi e multiformi ma strettamente connessi fra loro, su cui certamente incide anche la migrazione e lo spostamento di migliaia di persone che approdano in Sicilia ma si muovono sul territorio.
Cosa manca a Latina
Cosa manca allora? Da quanto emerge da un’analisi di chi affronta in maniera diretta e in prima linea queste emergenze, c’è sempre maggiore necessità di una “filiera organizzata”, che possa consentire di prendere in carico una persona e seguirla in un percorso di reinserimento sociale e lavorativo. Mancano dunque servizi a bassa soglia per non “perdere” chi è ospitato nei dormitori e accogliere chi è senza dimora anche di giorno. E’ una filiera che va potenziata. Servono spazi, luoghi, edifici. Nel patrimonio comunale non ce ne sono ed è sempre più difficile reperire strutture private per queste finalità. E poi servono risorse, che non bastano mai. e la consapevolezza che questo è un problema che non si risolve spostandolo altrove.
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