Affrontare la violenza maschile contro le donne e di genere attraverso la denuncia e le aule di tribunale non è l’unica opzione per intraprendere un percorso riparativo per chi ha subito violenza. Partendo dall’assunto che il sistema penale non protegge tutte le persone nello stesso modo, e da una posizione abolizionista nei confronti del carcere, la scrittrice femminista e attivista dei movimenti Black statunitensi e della diaspora, adrienne maree brown (la scelta di soggettivarsi in minuscolo toglie l’enfasi all’io) ha provato, nel testo “Per una giustizia trasformativa, una critica alla Cancel Culture” (Meltemi editori, 2024), a delineare un prontuario di domande per avviare una critica sulle pratiche del call out, il richiamo pubblico davanti a comportamenti problematici e violenza di genere.
La discussione sui temi della giustizia riparativa in una prospettiva anticarceraria, già aperta dai movimenti femministi anche in Italia, è continuata grazie al lavoro di Giusi Palomba: scrittrice, traduttrice e facilitatrice che da anni si occupa di organizzazione comunitaria. All’interno del libro “La trama alternativa” (Minimum Fax, 2023), Palomba affronta il tema della giustizia trasformativa: un approccio collettivo per la gestione, riparazione e trasformazione dei danni prodotti da episodi e dinamiche di violenza di genere, come spiega a Domani.
La necessità di un agire nei confronti della violenza che non si limiti alla tutela delle forze dell’ordine risponde ai molti casi in cui polizia e istituzioni non sono state ritenute in grado di proteggere le donne dalle violenze subite.
Una dimostrazione di questo è quanto accaduto il 19 novembre 2023 in Italia. A pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin, la polizia di stato ha pubblicato un post su Instagram con un estratto della poesia “Se domani non torno” dell’architetta e attivista femminista peruviana Cristina Torres-Cáceres. In risposta, numerose donne hanno deciso di testimoniare e denunciare pubblicamente come non fossero state credute proprio dalla polizia, a seguito delle loro denunce per stalking e violenze.
Questo tipo di denunce, da parte di chi ha vissuto episodi di violenza, non avviene solo sui social. Sono molte le testimonianze, raccontate alle operatrici dei centri antiviolenza e all’interno delle reti femministe, che mostrano come in Italia troppo spesso la violenza in ogni sua forma non venga presa in carico con rapidità dalle istituzioni, lasciando in solitudine chi ha chiesto aiuto. Un cortocircuito che continua a suscitare rabbia e dibattito sulle diverse pratiche di contrasto della violenza di genere.
Come si coniugano le pratiche della giustizia trasformativa e del femminismo anticarcerario?
Per dirla in breve, il femminismo anticarcerario prova a tenere insieme la lotta per la liberazione femminista e l’abolizione della polizia e delle prigioni. L’approccio parte principalmente dagli Stati Uniti, dove la critica all’incarcerazione di massa, alla brutalità o alle origini stesse della polizia hanno conquistato un enorme spazio nel dibattito pubblico degli ultimi anni, principalmente grazie ai movimenti Neri. Nella società odierna, l’unica risposta alla violenza di genere è basata sulla punizione.
L’abolizionismo mette in crisi questa logica e propone percorsi alternativi, ad esempio quelli della giustizia trasformativa. Tutto ciò che cerca di ridurre il contatto con le solite strutture punitive, soprattutto carcere e polizia, si può definire giustizia trasformativa.
Tutte le soluzioni che non prevedono marginalizzazione, reclusione o esclusione di un soggetto che inferto un danno, ma che piuttosto mettono in discussione l’intera cultura che permette la violenza e non soltanto il gesto del singolo. Anche se i percorsi a violenza avvenuta sono quelli che guadagnano più attenzione, la trasformazione parte da tutte le azioni, iniziative, pensieri e interventi sulle pratiche e sulla cultura che puntano alla prevenzione della violenza.
Nel suo libro racconta come si possa attuare, nei movimenti, la giustizia trasformativa. In che contesto è nata questa scelta?
Siamo nella Barcellona degli anni Dieci. Io vivo lì da qualche anno e un giorno il mio migliore amico viene accusato di violenza sessuale da una donna. Invece di procedere con una denuncia, la donna decide di attivare un percorso di responsabilizzazione all’interno della sua comunità di riferimento. Partono dei gruppi di lavoro, uno supporterà la donna e un altro l’uomo, e una serie di ponti e collegamenti con i circoli intimi a cui le due persone erano legate.
Lo scopo del percorso è affermare che la violenza di genere riguarda tutti e non è soltanto chi l’ha inferta o chi l’ha subita. La prima parte del libro è la storia di questo percorso. Dico una storia e non un esempio per un motivo preciso. Sia nell’attivismo che nella facilitazione di gruppi (un lavoro iniziato dopo aver fatto parte di questo percorso collettivo) credo sia più importante parlare di possibilità e spazi di immaginazione, di dialogo e anche di conflitto piuttosto che di prescrizioni, modelli o linee da seguire.
Crede che la pratica della giustizia trasformativa possa essere replicabile anche al di fuori delle realtà di movimento? E se sì, in che modo?
Restituire il senso e lo spazio dell’alternativa penso sia stata la tensione principale che ha mosso la mia scrittura; dunque, più che occuparmi di questa replicabilità, mi interessa aprire una critica su cosa significhi giustizia per la nostra società, dato che l’abbiamo completamente dissolta nella punizione.
Questo è possibile a vari livelli ed è una responsabilità che dovremmo condividere tutt*, non soltanto chi si trova già in prima linea contro le ormai innumerevoli forme di repressione e criminalizzazione che questo governo sta mettendo in essere. Gli spazi del dissenso si stanno restringendo in modo drammatico e penso sia estremamente necessario tornare a sognare mondi nuovi.
Dalle esperienze raccolte, in nessun caso la polizia e le istituzioni hanno davvero fatto qualcosa per proteggere le donne dalle violenze subite. In Italia abbiamo letto le testimonianze di tantissime donne che, sotto al post su Instagram della Polizia che citava le parole di Cristina Torre Cáceres, manifestavano rabbia per non essere state credute proprio da quell’istituzione. Crede che questi episodi abbiano un fil rouge?
“Me cuidan mis amigas, no la policía” (Mi proteggono le mie amiche, non la polizia) è uno slogan efficace per raccontare l’esperienza di molte persone: sappiamo tutte che è più sicuro rimanere in contatto con un’amica al ritorno a casa che affidarsi alle forze dell’ordine. Nonostante questo, le idee anticarcerarie non significano nulla senza il lavoro quotidiano per garantire la sicurezza di chi subisce violenza. Ciò significa anche non sminuire l’esperienza di chi ha ricercato protezione nel sistema penale, a prescindere se la abbia ricevuta o meno.
La giustizia trasformativa prova a porsi un’altra domanda: quanto è precaria la sicurezza garantita da un arresto o da una reclusione? Di cosa è fatta invece la sicurezza di cui avremmo bisogno? Una domanda che rivolgo spesso durante i laboratori, poiché in questa necessità difensiva non abbiamo mai l’occasione di farcela.
Quali possono essere le pratiche altre da mettere in campo per poter affrontare la violenza maschile contro le donne a partire dalla giustizia trasformativa e dal femminismo anticarcerario?
Lavorare sull’educazione, a partire dalla pedagogia del consenso alla gestione dei conflitti, dai gruppi di autocoscienza per uomini cis (una persona la cui identità di genere coincide con il genere assegnato alla nascita) alla educazione sessuo-affettiva, dal lavoro per decostruire stereotipi nell’infanzia alla costruzione di reti di solidarietà e mutuo aiuto nei quartieri.
La prevenzione è sempre il punto da cui partire. L’importante è mettere al centro i bisogni delle comunità e i soggetti più colpiti dalla violenza. Molte pratiche o idee di intervento che mettono in crisi il sistema punitivo spesso già esistono, ma sono o diventano insostenibili per mancanza di risorse materiali, emotive, spirituali, di spazio e di tempo, o perché non vengono riconosciuti i saperi in campo o l’importanza della questione.
© Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link