I medici dell’ospedale di Aosta hanno evitato a una giovane alpinista italiana l’amputazione delle prime tre dita di entrambi i piedi, operazione che altre strutture del Nord Italia davano ormai quasi per inevitabile. La donna, alpinista esperta, si era congelata le dita il 9 novembre scorso, durante la salita della parete Nord del Cervino. Quel giorno la temperatura era precipitata a -20°.
L’incidente
Dopo le prime cure ricevute fuori Valle, la donna ha deciso di rivolgersi all’ospedale valdostano, che ha reso pubblica la vicenda. «Le prime cure ricevute in altri ospedali del Nord, più vicino a dove vivo, non erano riuscite a fermare il peggioramento, e i medici mi avevano comunicato che la prospettiva di un’amputazione sembrava inevitabile – racconta la paziente –. Il dolore e la paura erano davvero enormi. Il 28 novembre il mio compagno ha contattato il reparto di Chirurgia vascolare dopo aver appreso di precedenti trattamenti simili effettuati ad Aosta»
Le cure e la fine dell’incubo
Il caso è stato seguito dal reparto di Chirurgia vascolare guidato da Flavio Peinetti e dall’Ambulatorio di medicina di montagna, diretto da Guido Giardini. «Dal congelamento – dice Davide Piccolo, specialista in chirurgia vascolare – erano ormai trascorsi 19 giorni, un tempo molto lungo per attuare le terapie necessarie (la trombolisi va attuata entro 24-48 ore). Ci siamo resi subito disponibili per valutare di persona la paziente, dal momento che dalle immagini sembrava esserci qualche margine per evitare l’amputazione. Il giorno seguente la signora è arrivata ad Aosta. È stata ricoverata e immediatamente sottoposta a terapie con prostanoidi endovena che, viste le buone condizioni generali e la giovane età, ha tollerato anche ad alto dosaggio. È stata associata una terapia con ibuprofene e medicazioni specifiche. L’evoluzione è stata verso un progressivo e costante miglioramento. Il 6 dicembre, dopo 7 giorni di ricovero, è stata dimessa. Al controllo ambulatoriale, dopo altri 15 giorni, è stata eseguita la pulizia dei tessuti necrotici. La paziente è perfettamente guarita, nessun dito, neanche parzialmente, ha avuto necessità di amputazione».
Il fattore tempo
Il fattore tempo è fondamentale nei casi di congelamento. «Spesso – spiega Piccolo – il paziente perde molto tempo alla ricerca di Centri dove poter essere curato in modo adeguato. Trattandosi di una patologia non così frequente, non è raro che le terapie proposte non siano quella adeguate al caso. Dal momento che le prime 24-48 ore sono quelle più utili per poter evitare conseguenze invalidanti, come le amputazioni delle dita di piedi o mani, ci auguriamo sempre di poter essere contattati tempestivamente (anche in telemedicina) così come è accaduto per vari casi che ci sono arrivati, oltre che dalle Alpi, da Canada, Himalaya, Patagonia, Groenlandia. Da parte nostra l’attività di docenza e di informazione rivolta ai medici, agli infermieri, ai professionisti e ai frequentatori della montagna è continua».
Il sospiro di sollievo
«Grazie alla competenza e al coraggio di questa équipe multidisciplinare, e in particolare al dottor Piccolo, – aggiunge l’alpinista – ho ricevuto trattamenti avanzati che non solo mi hanno evitato l’amputazione, ma mi hanno restituito la possibilità di tornare alla mia vita e alla mia passione per la montagna. Voglio ringraziare i medici, gli infermieri e tutti gli operatori che mi hanno assistito. La Valle d’Aosta può essere fiera di avere una struttura così all’avanguardia, capace di fornire cure specifiche a pazienti non solo dalla regione, ma anche da tutta Europa».
Il fiore all’occhiello
Per l’assessore regionale alla Sanità, Carlo Marzi, «questo successo testimonia ancora una volta la specificità del sistema sanitario valdostano che deve dare risposte a un territorio unico nel suo genere. Tutto ciò è perfettamente rappresentato dal Centro di Medicina di Montagna, un fiore all’occhiello non solo per la Valle d ‘Aosta, ma per tutte le Alpi. La collaborazione tra le diverse professionalità e la continua formazione dei nostri operatori rendono possibile garantire cure di altissimo livello, anche in casi complessi come questo».
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