L’impatto delle guerre su ambiente ed economia

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Guerre e conflitti globali: impatto ambientale, economico e sociale

Oggi nel mondo si contano più conflitti armati dall’epoca della Seconda Guerra mondiale e quasi 120 milioni di persone emigrano a causa di persecuzioni, conflitti, violenza, violazioni dei diritti umani. Che siano scatenate da motivi religiosi, di razza o etnici, da conquiste territoriali o da un atto narcisistico di vanità del potere, che siano guerre per accaparrarsi l’acqua, risorse preziose come le fonti energetiche o le materie prime critiche, le guerre accelerano i cambiamenti climatici, generando enormi quantità di gas effetto serra o climalteranti e inquinando profondamente l’ambiente. È perciò importante conoscerne l’impatto ambientale, economico e sociale.

La guerra è morte, violenza, dolore, ma anche devastazione, soprusi, sangue e lacrime. L’impatto delle guerre va valutato, è vero, anzitutto in termini di vite perse, morti, feriti e sfollati. Ma anche l’impatto ambientale e le ripercussioni future sul territorio in termini di qualità della vita, salute e ambiente meritano di non essere trascurate. Mentre il costo umano della guerra è innegabile e profondo, anche l’ambiente subisce conseguenze immense e spesso trascurate. Oltre alla distruzione immediata, i conflitti sconvolgono gli ecosistemi, impoveriscono le risorse naturali, inquinano l’ambiente e danneggiano la salute del nostro pianeta per molti anni a venire.

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Il mondo si prepara alla guerra. Mentre la gran parte dei paesi europei ha già raggiunto l’obiettivo per le spese militari al 2% del Pil al 2024, già si discute di portarlo al 3%. L’Europa continuerà anche nel 2025 a sostenere economicamente l’Ucraina e a rinnovare le sanzioni a Mosca trainata dal motto “più a lungo dura la guerra e maggiore sarà il prezzo che l’economia russa dovrà pagare”, come sostiene von der Leyen. Ma la guerra non fa bene a nessuno. Da due anni a questa parte infatti l’inflazione del Vecchio continente, trainata dall’impennata dei prezzi dell’energia, ha toccato livelli record e oggi siamo tutti più poveri. O almeno il ceto medio, in controtendenza rispetto ai più ricchi che, viceversa, aumentano. È anche e soprattutto un problema di redistribuzione della ricchezza, ma questa è una storia a parte. E intanto, mentre i popoli s’impoveriscono, le grandi aziende delle armi fanno profitti incredibili. Per destinare più soldi alle armi, i Governi nazionali devono infatti penalizzare la sanità, l’istruzione e l’ambiente. È questo il prezzo da pagare.

Nonostante la recente direttiva Case Green per efficientare il patrimonio edilizio, il green deal non è più la priorità europea, ma ora il nuovo obiettivo dell’Europa è la corsa alle armi, vestita dalla retorica della sicurezza, tanto cara alle destre. Lo ha ammesso con decisione la stessa presidente dell’UE già tre mesi fa in conferenza stampa: “L’ultima volta l’argomento del riscaldamento globale era in cima alle priorità e per questo motivo ho lanciato il Green Deal europeo”, ma adesso per Von der Leyen “il tema della sicurezza, spinto dalla guerra della Russia in Ucraina, e quello della competitività hanno avuto un impatto più incisivo sulla progettazione egli orientamenti politici, sulla costituzione della Commissione, sull’organizzazione del collegio”.

Sono passati appena trent’anni dalla fine della Guerra Fredda e l’Europa si trova di nuovo al centro di uno scontro globale. Era il 9 novembre 1989 quando cadde il muro di Berlino e il vecchio continente poté finalmente liberarsi dalla cortina di ferro dell’asse USA-URSS e ambire a un’epoca di pace. Il Novecento, che ha seminato morte e distruzione con i conflitti globali più sanguinosi di sempre, sembrava definitivamente alle spalle. Ma al principio del XXI secolo, l’attentato alle Torri Gemelle di New York ha risvegliato i fervori bellicosi dell’Occidente, trainato dagli Stati Uniti. E le recenti guerre in Ucraina e Palestina hanno portato la guerra alle porte dell’Europa. E incombe la minaccia nucleare. Sembra che l’uomo sia già dimentico delle atrocità vissute delle guerre mondiali, indifferente al passato e pronto alla battaglia.

Il mondo in guerra: tendenze dei conflitti armati globali

Il mondo è in guerra: secondo l’ultimo report del Global Peace Index (Gpi), redatto dall’Institute for Economics and Peace (IEP), l’Istituto che monitora le guerre in tutto il mondo, nel 2024 si è registrato il numero più alto dalla Seconda Guerra Mondiale: ben 56 conflitti armati nel mondo che coinvolgono 92 Paesi oltre i confini nazionali. L’impatto economico globale della violenza è aumentato a 19,1 trilioni di dollari nel 2023, rappresentando il 13,5% del PIL globale.

Conflitti armati per numero stimato di morti legate al conflittoConflitti armati per numero stimato di morti legate al conflitto
Conflitti armati per numero stimato di morti legate al conflitto, anno 2023 (fonte: SIPRI).

Quasi il 5% del territorio globale è attraversato da conflitti e la superficie è più che raddoppiata negli ultimi tre anni. È l’algida fotografia che emerge da un rapporto della società di risk management Verisk Maplecroft. Dal 2021, le aree colpite da conflitti in tutto il mondo, sono cresciute del 65% fino a comprendere il 4,6% dell’intera massa continentale globale, rispetto al 2,8% di tre anni fa. Ciò equivale a 6,15 milioni di kmq, quasi il doppio delle dimensioni dell’India.

Lo stato di pace nel mondoLo stato di pace nel mondo
Lo stato di pace nel mondo (indice di pace globale o Global Peace Index).

Il bilancio umano dei conflitti è allarmante. Le vittime dei conflitti globali potrebbero superare quota 200.000 entro la fine dell’anno, quasi un terzo in più rispetto al 2021, secondo la valutazione dei dati ACLED (Armed Conflict Location and Events Data), organizzazione internazionale senza scopo di lucro, indipendente, che raccoglie, classifica e analizza dati sui conflitti in tutti i paesi e territori del mondo. Il Myanmar è il luogo più violento del mondo. Il conflitto civile, iniziato nel febbraio 2021 quando l’esercito ha rovesciato il governo democraticamente eletto, secondo l’ACLED ha causato la morte di almeno 50.000 persone e ha causato lo sfollamento di circa 2,3 milioni di persone (dati ONU).

Il Medio Oriente e l’Ucraina rimangono i teatri di guerra più intensi, ma l’instabilità riguarda anche altri paesi e regioni di cui si parla meno. In totale, 27 paesi, tra cui Ecuador, Colombia, India, Indonesia e Thailandia, hanno registrato un aumento significativo del rischio dal 2021. Tuttavia, in termini di aree colpite da conflitti, l’Africa subsahariana ha registrato un’espansione maggiore rispetto a qualsiasi altra regione. Cosa possiamo aspettarci nel 2025? All’inizio del 2025, si prevede che i tassi di eventi di conflitto cresceranno del 15%, che si tradurranno in circa 20.000 vittime al mese.

Un cattivo affare per l’economia

La spesa militare globale ha raggiunto un nuovo record nel 2023, raggiungendo i 2,2 trilioni di dollari secondo l’IISS o International Institute of Strategic Studies, un think tank di difesa e sicurezza globale. Dopo un calo nel 2021 e nel 2022, la crescita nel 2023 del 9% anno su anno ha riflesso le crescenti tensioni geopolitiche. Gli stati membri della NATO e principalmente gli Stati Uniti hanno rappresentato oltre il 50% della spesa militare nel 2023.

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Spesa militare a livello globaleSpesa militare a livello globale

Dopo una breve caduta da 1.500 miliardi di dollari nel 1988 a 1.100 miliardi di dollari nel 1998, le spese militari mondiali sono cresciute esponenzialmente fino a raddoppiare, raggiungendo i 2.200 miliardi di dollari nel 2022. Il mondo va incontro a una preoccupante escalation militare su vasta scala. Anche l’Europa vuole aumentare la spesa militare, ovviamente togliendo risorse ad altre fondamentali settori pubblici, come istruzione, sanità, ambiente, lavoro, welfare. Un passo verso la militarizzazione che rischia sia di destabilizzare ulteriormente l’ordine internazionale, sia di rallentare la crescita dell’economia e dell’occupazione in Europa e in Italia.

Greenpeace, con il rapporto “Arming Europe”, ha stimato l’impatto della militarizzazione nelle economie nazionali mettendo a confronto gli effetti su crescita e occupazione della spesa per armi con quelli della spesa sociale e ambientale. Ne emerge che spendere in armi è un cattivo affare per l’economia rispetto ad altri campi. Il rapporto mostra che nell’ultimo decennio (2013-2023) in Europa le spese militari hanno registrato un aumento record (+46% nei Paesi NATO-UE) con la spesa militare in Italia che è aumentata del 30%. Quella per la sanità è aumentata solo dell’11%, la spesa per l’istruzione del 3% e la spesa per la protezione ambientale del 6%.

Greenpeace ha stimato che 1 euro speso per l’acquisto di armi genera un aumento della produzione interna di soli 0,74 euro, mentre la stessa cifra investita in altri settori pubblici avrebbe un effetto quasi doppio, con un aumento della produzione pari a 1,9 euro nella protezione ambientale, 1,5 euro nella sanità e 1,25 euro nell’istruzione. Uno scarto ancora maggiore si registra nell’impatto occupazionale: 1.000 milioni di euro spesi nelle armi creano solo 3.000 nuovi posti di lavoro, mentre nel settore dell’istruzione lo stesso investimento creerebbe quasi 14.000 nuovi posti, più di 12.000 nella sanità e quasi 10.000 nuovi posti nella protezione ambientale.

L’impatto ambientale delle guerre e le emissioni globali

Circa il 60% di tutte le emissioni globali di gas serra provengono da soli dieci paesi: Cina, Stati Uniti, India, Indonesia, Russia, Brasile, Giappone, Iran, Canada e Arabia Saudita. Secondo uno studio di Scientists for Global Responsibility (SGR) e del Conflict and Environment Observatory (CEBS), i militari sono responsabili di circa il 5,5 % delle emissioni globali di gas serra. Il pesante uso di energia derivante dai conflitti esacerba la crisi climatica, sia attraverso le emissioni dirette di gas serra dalle attività militari, sia attraverso gli effetti indiretti a livello globale.

L’impatto ambientale delle guerre e le emissioni globaliL’impatto ambientale delle guerre e le emissioni globali
L’industria militare è il quarto “Paese” al mondo per impronta di carbonio (fonte: Ceobs).

La stima per le emissioni di gas serra operative dell’esercito è di 500 MtCO2e, ovvero l’1,0% dei gas serra globali, e per l’impronta di carbonio globale, è di 2.750 MtCO2e, ovvero il 5,5% del totale globale. Se le forze armate mondiali fossero un Paese, questa cifra significherebbe che hanno la quarta impronta di carbonio nazionale più grande al mondo, maggiore di quella della Russia. Ed è molto probabile che queste emissioni aumentino sulla scia della guerra in Ucraina e Palestina.

L’impatto ambientale delle guerre inizia molto prima di esse. Costruire e sostenere forze militari consuma grandi quantità di risorse. Potrebbero essere materie prime critiche come metalli o terre rare, acqua o idrocarburi. Veicoli militari, aerei, imbarcazioni, edifici e infrastrutture richiedono tutti energia, e il più delle volte quell’energia è il petrolio, e l’efficienza energetica è bassa. L’addestramento militare crea emissioni, sconvolge il paesaggio e gli habitat terrestri e marini e genera inquinamento chimico e acustico dovuto all’uso di armi, aerei e veicoli. Oltretutto, le forze armate hanno anche bisogno di grandi aree di terra e mare, sia per basi e strutture, sia per test e addestramento. Si ritiene che i terreni militari coprano tra l’1 e il 6% della superficie terrestre globale. In molti casi si tratta di aree ecologicamente importanti.

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 Impatto ambientale diretto

L’uso delle armi e i bombardamenti determina l’immissione nell’ambiente di una serie di inquinanti tossici. Le mine terrestri, le munizioni a grappolo e altri residuati bellici esplosivi possono limitare l’accesso ai terreni agricoli e inquinare i terreni e le fonti idriche con metalli e materiali energetici tossici.

Macerie di edifici a Gaza dopo l'attacco israeliano del 5 gennaio 2024Macerie di edifici a Gaza dopo l'attacco israeliano del 5 gennaio 2024
Macerie di edifici a Gaza dopo l’attacco israeliano del 5 gennaio 2024

Inquinanti tossici, come TNT, RDX o ciclonite, o tetyrl, possono essere rilasciati nell’ambiente quando le munizioni detonano. Insieme ai residui esplosivi, esistono prodotti di decomposizione tossici e altri componenti delle munizioni come metalli pesanti, alcuni dei quali sono anche cancerogeni.

Un altro pericoloso inquinamento riconducibile alle attività militari è quello da PFAS, i cosiddetti “inquinanti eterni”, sostanze chimiche persistenti nell’ambiente e la cui azione cancerogena è ormai acclarata (il Nord Italia ne è emerso fortemente contaminato nelle acque e nei suoli). Sono ovunque: dalle armi ai veicoli fino ai vestiti. E il Dipartimento della Difesa USA, li considera fondamentali e insostituibili.

Impatto ambientale indiretto

Le guerre danneggiano l’ambiente in molti modi. Le mine antiuomo e altri residuati bellici esplosivi (ERW) possono rimanere nel terreno per decenni dopo la fine dei conflitti. Non solo rappresentano una minaccia per le persone e gli ecosistemi, ma la loro bonifica può anche avere un impatto negativo sull’ambiente se non gestita correttamente. Ciò può essere dovuto a crateri, erosione del suolo, rimozione della vegetazione o inquinamento localizzato.

Inquinamento indiretto delle armi Inquinamento indiretto delle armi
Inquinamento indiretto delle armi (fonte: Mine Action Review)

Sono una minaccia globale. Anche prima dell’invasione russa dell’Ucraina, si stima che 60 milioni di persone vivessero in aree interessate dalla contaminazione da ERW. Ad esempio, Afghanistan, Cambogia, Iraq e Corea del Sud sono tutti classificati come massicciamente contaminati da mine antiuomo. In alcuni casi, l’intera portata della contaminazione rimane sconosciuta. Nel 2023, l’Ucraina ha stimato che circa 174.000 kmq del suo territorio dovevano essere esaminati per la contaminazione, ed è ora considerata tra i paesi più minati al mondo. Anche l’entità della contaminazione in Azerbaigian, Marocco e Myanmar è sconosciuta, ma è probabile che sia massiccia. Per le munizioni a grappolo, non ci sono stime affidabili per Vietnam e Laos, ma si ritiene che più di 1.000 kmq siano contaminati.

Tuttavia, concentrarsi solo sull’utilizzo delle armi nei conflitti rischia di ignorare l’impatto del loro ciclo di vita sull’ambiente. Mantenere e rinnovare l’equipaggiamento e il materiale militare significa costi di smaltimento continui e implicazioni per l’ambiente. Non sono solo le armi nucleari e chimiche più pericolose a creare problemi ambientali durante il loro ciclo di vita. Lo stesso vale anche per le armi convenzionali, in particolare quando vengono smaltite tramite combustione all’aperto o detonazione. Storicamente, grandi quantità di munizioni in eccesso venivano scaricate in mare.

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Uno degli esempi più estremi di danno ambientale causato dalla produzione di armi è quello del sito di Hanford nello stato di Washington, una delle decine di strutture che hanno contribuito alla produzione delle armi nucleari degli Stati Uniti. Quando i suoi reattori per la produzione di plutonio furono chiusi alla fine della Guerra Fredda, aveva prodotto 200.000 mc di scorie altamente radioattive, immagazzinate in 177 serbatoi di stoccaggio, 710.000 mc di scorie radioattive solide e creato 520 kmq di falde acquifere contaminate sotto il sito. La bonifica richiederà decenni e probabilmente durerà fino al prossimo secolo.

L’impatto della guerra in Palestina

Il Medio Oriente è di nuovo in fiamme. Quella tra Israele e Palestina è una guerra senza fine, un classico a cui siamo tutti purtroppo abituati. Cominciata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, seppur a tratti interrotta, ancora oggi, dopo ottant’anni, è fatalmente più viva che mai. E Israele, sembra più che mai ostinata ad eliminare fino all’ultimo dei suoi nemici anche a costo di sterminare un intero popolo, civili innocenti, donne e bambini, spingendosi fino in Libano e Siria.

Un anno di conflitto israelianoUn anno di conflitto israeliano
Un anno di conflitto israeliano

Una commissione speciale dell’Onu, in un documento pubblicato il 14 novembre, parla per la prima volta di genocidio, accusando lo Stato ebraico di aver “sostenuto politiche che privano i palestinesi delle stesse necessità richieste per sostenere la vita: cibo, acqua e carburante“, provocando “un disastro ambientale che avrà impatti duraturi sulla salute” della popolazione che, “insieme all’interferenza sistematica e illegale degli aiuti umanitari, rendono chiaro l’intento di Israele di strumentalizzare le forniture salvavita per guadagni politici e militari“. Concludendo che “le politiche e le pratiche di Israele nel periodo in esame sono coerenti con le caratteristiche del genocidio”.

Sulla stessa scia, la Corte dell’AIA ha di recente emanato un mandato di cattura internazionale per Netanyahu ed il ministro della difesa Gallant, accusati di torture verso il popolo palestinese avendo “privato la popolazione civile di Gaza di beni indispensabili alla loro sopravvivenza, tra cui cibo, acqua, medicine e forniture mediche, nonché carburante ed elettricità”, nonché di aver ostacolato gli aiuti umanitari. Peccato che, Israele così come gli Stati Uniti ed altri Paesi non riconoscano l’autorità dell’Aia. Sarà perciò necessario che il Primo Ministro viaggi in uno dei 124 Paesi che vi aderiscono, Europa compresa, affinché scatti l’arresto.

Andrea Catalano, “La mezzaluna rossa vive”, linografia 25x25. Opera dell'artista in omaggio al popolo palestineseAndrea Catalano, “La mezzaluna rossa vive”, linografia 25x25. Opera dell'artista in omaggio al popolo palestinese
Andrea Catalano, “La mezzaluna rossa vive”, linografia 25×25. Opera dell’artista in omaggio al popolo palestinese (link)

Un report delle Nazioni Unite ha studiato l’impatto ambientale del conflitto a Gaza. I danni causati dall’uso di armi esplosive in aree popolate sono stati senza precedenti per portata e intensità rispetto ad altri conflitti a Gaza. La valutazione provvisoria dei danni rileva che alla fine di gennaio, oltre il 60 percento di tutte le case e le infrastrutture fisiche era stato danneggiato o distrutto. La distruzione di edifici e strade ha generato un’enorme quantità di detriti: a maggio 2024, la quantità era stimata in oltre 39 milioni di tonnellate. Si stima che la rimozione e lo smaltimento di tutti i rifiuti edili, alcuni dei quali sono contaminati da ordigni inesplosi, amianto e altre sostanze pericolose, potrebbe richiedere fino a 15 anni.

Bombardamento di Israele a Gaza (Anadolu via Getty Images)Bombardamento di Israele a Gaza (Anadolu via Getty Images)
Bombardamento di Israele a Gaza (Anadolu via Getty Images)

I danni e l’interruzione del trattamento delle acque reflue portano al rilascio di liquami non trattati nell’ambiente, contaminando spiagge e acque costiere, terreni e potenzialmente le falde acquifere. Liquami o acque contaminate possono contenere agenti patogeni, plastiche e microplastiche oltre a metalli pesanti e altre sostanze pericolose che minacciano la salute umana e possono assorbiti da piante e animali.

Il conflitto è stato caratterizzato da massicci bombardamenti aerei. Il Mines Advisory Group (MAG), un partner delle Nazioni Unite, ha stimato a febbraio 2024 che più di 25.000 tonnellate di esplosivi – “equivalenti a due bombe nucleari” – sono state utilizzate nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023.

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Anche l’agricoltura è stata profondamente colpita dal conflitto: secondo la FAO, a metà febbraio il 42,6 % di tutti i terreni coltivati ​​è stato danneggiato. La valutazione provvisoria dei danni (distruzione di alberi, aziende agricole, serre, esercizi commerciali e infrastrutture di irrigazione) è stimata in 629 milioni di dollari.

L’impatto della guerra in Ucraina

Anche Putin ha ricevuto un mandato di cattura internazionale dalla Corte dell’AIA a marzo 2023. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022 ha innescato il più grande conflitto armato in Europa dalla seconda guerra mondiale. Da allora, migliaia di civili sono stati uccisi o feriti e milioni di persone sono state sfollate. Il conflitto ha causato danni ingenti agli edifici e alle infrastrutture. Bombe e incidenti hanno causato inquinamento dell’aria e dell’acqua, degrado del suolo e della natura. Un report delle Nazioni Unite, pubblicato il 14 ottobre 2022, ha studiato l’impatto ambientale del conflitto in Ucraina.

Kiev, Ucraina. Lo Shopping center “Retroville” distrutto dai bombardamenti russi.Kiev, Ucraina. Lo Shopping center “Retroville” distrutto dai bombardamenti russi.
Kiev, Ucraina. Lo Shopping center “Retroville” distrutto dai bombardamenti russi.

Dal punto di vista economico, il costo del conflitto è devastante. Le Nazioni Unite stimano che la guerra in Ucraina ha causato 152 miliardi di dollari di danni diretti e che il costo della ricostruzione sfiorerà i 500 miliardi di dollari. Il costo della ricostruzione di Gaza è stimato in oltre 80 miliardi di dollari.

Una donna incinta portata via dall'ospedale di Mariupol distrutto dalle bombe russe (Evgeniy Maloletka/AP)Una donna incinta portata via dall'ospedale di Mariupol distrutto dalle bombe russe (Evgeniy Maloletka/AP)
Una donna incinta portata via dall’ospedale di Mariupol distrutto dalle bombe russe (Evgeniy Maloletka/AP)

I bombardamenti hanno provocato danni ingenti agli edifici e alle infrastrutture comunali, alle ferrovie, agli aeroporti, agli acquedotti e alle strutture scolastiche, generando grandi quantità di macerie in città e paesi. Tra l’altro è probabile che, dato l’uso diffuso nei materiali da costruzione e nelle infrastrutture in Ucraina (60 percento usato nei materiali di copertura), nei rifiuti sia presente l’amianto.

Quasi un terzo della popolazione, circa 14 milioni di persone sono emigrate, ha lasciato l’Ucraina dall’inizio dell’invasione e un altro terzo della popolazione soffre di insicurezza alimentare. L’agricoltura è infatti uno dei principali settori del Paesebarbabietole da zucchero, girasoli, cereali e patate – e, la sua distruzione ha creato una crisi alimentare planetaria senza precedenti: prezzi stellari e fame planetaria. Anche in Europa e in Italia l’inflazione dei generi alimentari, trainata dai costi energetici, è salita come non accadeva forse dalla crisi energetica degli anni Settanta.

Uno studio più recente (Hryhorczuk et al., 2024), analizza gli impatti sulla salute ambientale della guerra della Russia in Ucraina, fino a ottobre 2023. Dall’inizio della guerra sono stati uccisi o feriti quasi 500.000 militari e più di 30.000 civili. La guerra ha causato danni ambientali per oltre 56,4 miliardi di dollari. C’è stata una contaminazione chimica diffusa di aria, acqua e suolo e il 30% dell’Ucraina è stato contaminato da mine antiuomo e ordigni inesplosi. Esiste un reale rischio di una catastrofe ambientale a lungo termine.

L’analisi più completa sugli impatti climatici a due anni dall’inizio della guerra, valuta il danno climatico totale causato dalla Federazione Russa, pari a 32 miliardi di dollari. Secondo lo studio, i primi 24 mesi dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia hanno portato all’emissione di 175 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

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La guerra “intelligente”

La guerra non è mai intelligente. Ma intelligente è, o dovrebbe essere, la tecnologia che ormai ha contagiato l’industria bellica. L’intelligenza artificiale posta al servizio dell’industria militare è la “nuova” frontiera del killeraggio. Armi letali autonome – in inglese LAWS (Lethal autonomous weapons systems) – come droni, bombe intelligenti, veicoli teleguidati, che hanno la capacità di selezionare e distruggere bersagli autonomamente attraverso l’elaborazione delle informazioni da parte dell’intelligenza artificiale, senza controllo da parte di un militare in carne ed ossa. Ma l’idea che una macchina possa togliere la vita a un essere umano sulla base di poche e rapide informazioni, alimenta non poche perplessità.

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La guerra “intelligente”: l’intelligenza artificiale al servizio dell’industria bellica.

Tutte le nuove tecnologie militari sono in espansione, si prevede che le sole vendite di droni (che utilizzano batterie agli ioni di litio) aumenteranno di quasi il 50% entro il 2030.

PresaDiretta ha raccontato di come Israele faccia largo uso delle più avanzate tecnologie in campo militare, alcune equipaggiate con intelligenza artificiale (AI), sperimentate direttamente sul campo a Gaza diventata laboratorio. D’altronde quale migliore occasione per testare le nuove tecnologie belliche, se non una vera guerra con morti e feriti reali? E l’occasione diventa vetrina sul mondo: dimostrando le potenzialità dell’industria bellica sul campo, attira molti potenziali acquirenti, clienti e sponsor sia privati che pubblici, governi inclusi. Blood marketing.

La minaccia nucleare

Lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) ha redatto la sua valutazione annuale sullo stato degli armamenti, del disarmo e della sicurezza internazionale. Il SIPRI Yearbook 2024 evidenzia che il numero e i tipi di armi nucleari in fase di sviluppo sono aumentati man mano che gli stati approfondiscono la loro dipendenza dalla deterrenza nucleare.

Inventario globale delle armi nucleari, gennaio 2024 (Sipri Yearbook 2024).Inventario globale delle armi nucleari, gennaio 2024 (Sipri Yearbook 2024).
Inventario globale delle armi nucleari, gennaio 2024 (Sipri Yearbook 2024).

Del totale inventario globale di circa 12.121 testate a gennaio 2024, circa 9585 erano in scorte militari per un potenziale utilizzo: si stima che 3904 di queste testate siano state schierate con missili e aerei, 60 in più rispetto a gennaio 2023, e il resto era in deposito. Circa 2100 delle testate schierate sono state mantenute in stato di allerta operativa elevata sui missili balistici. Russia e Stati Uniti insieme possiedono quasi il 90 percento di tutte le armi nucleari, ma per la prima volta si ritiene che la Cina abbia alcune testate in stato di allerta operativa elevata.

La minaccia nucleareLa minaccia nucleare

Mentre il totale globale delle testate nucleari continua a diminuire man mano che le armi dell’era della guerra fredda vengono gradualmente smantellate, purtroppo continuiamo a vedere aumenti anno dopo anno nel numero di testate nucleari operative“, ha affermato il direttore del SIPRI Dan Smith. “Questa tendenza sembra destinata a continuare e probabilmente ad accelerare nei prossimi anni ed è estremamente preoccupante“.

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L’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi” disse Albert Einstein.

Migranti di guerra e sfollati

Le Nazioni Unite hanno stimato che il numero di persone sfollate a causa di conflitti, violenza o persecuzioni ha superato i 120 milioni ad aprile 2024. Nella sola Ucraina, dall’inizio dell’invasione russa, sono emigrate circa 14 milioni di persone, quasi un terzo della popolazione del Paese.

Migranti di guerra e sfollatiMigranti di guerra e sfollati
Una donna tiene in braccio un bambino in un rifugio antiaereo improvvisato a Mariupol (Mstyslav Chernov).

Questi vanno ad unirsi ai numerosi migranti climatici: in appena vent’anni, oltre mille conflitti hanno avuto l’acqua come fattore scatenante. Secondo il rapporto della Banca Mondiale, si prevede che entro il 2050 circa 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare a causa dei cambiamenti climatici, tra cui lo stress idrico.

La guerra è un buon affare, certo, ma solo per l’industria bellica. Per tutti gli altri è sofferenza, dolore e fame. E gli impatti ambientali possono perdurare per decenni e generazioni. Inquinando la salute del pianeta e la nostra. Ci rimettiamo tutti. In netto contrasto alle attuali politiche di militarizzazione è necessario un drastico e immediato cambio di rotta. Occorre tornare alla diplomazia, l’unica che possa restituirci la pace, una pace così a lungo conservata dai nostri padri che ne conoscevano il valore.

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