La ripresa in Abruzzo | Il Centro

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La situazione economica dell’Abruzzo del 2010 è stata già opportunamente descritta e interpretata da due prestigiosi istituti, quali la Banca d’Italia e il Cresa. L’unico elemento di incertezza nei rispettivi documenti riguardava l’andamento del prodotto interno lordo. In questi giorni la Svimez ha fornito alcune anticipazioni riguardo al Rapporto sull’economia del Mezzogiorno di prossima pubblicazione, fissando per l’Abruzzo un tasso di crescita del pil rispetto al 2009 pari al 2,3%. La performance del pil si associa ad altri due indicatori macroeconomici: le esportazioni, aumentate di circa il 19%, quattro punti al di sopra della media dell’Italia, recuperano il 40% circa dell’ammontare perso durante la fase recessiva, mentre l’occupazione vede interrompersi il processo di espulsione dal mercato del lavoro. Questi dati trovano ulteriore conferma nel corso del primo trimestre 2011, in quanto i due indicatori manifestano rispettivamente una crescita del 21,2% e dell’1,4%. Anche se il pil dovesse subire qualche variazione nell’elaborazione dell’Istat, il valore della Svimez resta comunque significativo.
(Segue a pagina 5)

Perché superiore alla media italiana (1,3%) e ancor più a quella del Mezzogiorno (0,2%). L’Abruzzo, dunque, sembra aver reagito con tempestività alla devastante crisi recessiva del 2009. Si ritiene che l’aumento dell’export e i primi segnali di ripresa dell’attività produttiva nell’area del sisma possano considerarsi tra i principali fattori che hanno trainato la crescita del pil.

Vengono così ribadite alcune caratteristiche peculiari dell’economia abruzzese, più volte rappresentate. Per effetto delle sue specializzazioni produttive, la regione risente fortemente dell’andamento del ciclo economico internazionale e usualmente ad una profonda recessione segue una non trascurabile ripresa produttiva. Tuttavia, il problema che ha di fronte l’Abruzzo non è di natura congiunturale. Indubbiamente le azioni di risanamento del debito intraprese dal governo regionale e talune interessanti misure di politica economica sotto il profilo occupazionale hanno contribuito a rendere meno incerto lo scenario economico complessivo.

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Il problema però è di natura strutturale. La stessa Svimez calcola che nella fase pre-crisi (2001-2007), l’Abruzzo ha avuto una variazione media annua del prodotto interno lordo dello 0,6%, più bassa sia dell’area meridionale (0,9%) che dell’Italia (1,1%). Nello stesso periodo il divario del pil pro capite abruzzese nei confronti della media italiana, posta uguale a 100, si è ulteriormente ampliato, passando da 86 a 83, e nel 2010, pur in presenza di un leggero incremento, la convergenza continua a essere lontana.

Di qui l’esigenza di affrontare la questione della crescita dell’economia reale, senza la quale riesce difficile dare prospettive di occupazione alle nuove generazioni e disporre di risorse aggiuntive per lo sviluppo. In questo scenario due aspetti meritano di essere segnalati.

Il primo è che la crescita dell’Abruzzo, in quanto regione aperta, dipende in larga misura da quanto avviene nel resto del paese. Sotto questo profilo non si può non guardare con apprensione all’attacco speculativo dei mercati internazionali sui titoli italiani. Alla base di tale attacco esiste indubbiamente il problema dell’elevatezza del debito pubblico, ma soprattutto la debolezza, anche in prospettiva, del limitato trend espansivo dell’economia italiana.

Il secondo aspetto è che la sola presenza delle grandi imprese multinazionali, che differenziano l’Abruzzo dal resto del Mezzogiorno e che generano un consistente volume di esportazioni, non è sufficiente a garantire stabili processi di sviluppo. I dieci anni di mancata crescita testimoniano quanto affermato. Il Patto per lo sviluppo, in tal modo, assume un importanza non trascurabile, purché siano chiare le priorità e le risorse disponibili. Il Patto non deve rappresentare un fenomeno di routine ma un importante strumento al servizio della regione per un suo effettivo cambio di marcia.

C’è infine quell’elemento di “discontinuità”, importante ai fini della crescita, ben evidenziato dal Direttore Baraldi nell’editoriale di domenica riguardante il ruolo della politica. L’azione politica non va sottovalutata vista la relazione che intercorre tra risorse finanziarie, istituzioni e processi economici. Solo una politica virtuosa, sensibile alla questione delle regole, può esercitare un ruolo di guida della società abruzzese e diventare un punto di riferimento nella gestione dei processi di cambiamento. Ciò perché ad un’alta reputazione corrisponde di solito una maggiore attrattività del territorio.

Se il quadro istituzionale viene percepito in maniera coesa e trasparente, allora si può determinare un percorso in grado di attenuare l’insicurezza e l’instabilità da parte di famiglie e imprese e quindi consentire l’accettabilità di tutti quei sacrifici che oggi vengono imposti alla società abruzzese.

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