In Calabria l’unico turismo praticato è quello “sanitario”

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Il turismo di massa è quello sanitario

Una storia drammatica, ma purtroppo comune a molti, quella del turismo sanitario: i calabresi fuggono dalla regione per curarsi e continuare a vivere. Tante, troppo, sono le testimonianze di pazienti che hanno varcato i confini nostrani per potersi permettere di ricevere cure adeguate e in tempi celeri.

 Adelaide, 40 anni, originaria di Corigliano Calabro, nel 2014 scopre di avere un tumore al seno particolarmente aggressivo. Il primo medico a cui si rivolge è diretto: “qui non troverai nessuno, devi andare fuori”. Così Adelaide, come una pendolare, si ritrova a viaggiare continuamente dalla Calabria a Roma per curarsi presso il Campus Biomedico.

Il viaggio dalla Calabria a Roma per le cure

Ogni spostamento è un’odissea. Dapprima in auto da Corigliano a Sibari, poi in treno fino a Roma. Adelaide racconta che la prima fase della sua lotta contro la malattia è stata caratterizzata dalla rabbia: non solo per la diagnosi, ma anche per la necessità di lasciare la sua terra. “Devo fare in due giorni ciò che potrei sbrigare in una sola mattinata se qui ci fossero strutture adeguate”, spiega. 

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Ma il viaggio non si ferma lì. Una volta arrivata a Roma, deve prendere la metropolitana e un autobus per raggiungere Casa Amica, una onlus che offre alloggio ai malati provenienti da altre regioni. Con un sospiro, Adelaide osserva amaramente: “per problemi meno gravi non ci si sposta, ma per patologie importanti il primo pensiero di un calabrese è andarsene”.

Rosaria e il calvario del marito

Una situazione simile, ma vissuta come accompagnatrice, è quella di Rosaria, di Gioia Tauro. Suo marito ha sviluppato una cancrena a causa del diabete e, per sei mesi, i coniugi hanno girato in lungo e in largo la Calabria, alla ricerca di una diagnosi, mentre la situazione peggiorava. “Non hanno capito niente”, racconta Rosaria con dolore. Quando finalmente sono arrivati a Roma, era troppo tardi: il marito ha perso tutte le dita del piede destro.

Le lacrime scendono sul volto di Rosaria mentre ricorda i sacrifici fatti. Viaggiare una volta al mese ha prosciugato le loro risorse economiche: ogni viaggio in treno costa tra i 200 e i 300 euro, una cifra insostenibile per molte famiglie. “Se non hai quei soldi, li devi andare a cercare, e qualcuno te li deve prestare”, spiega. A rendere tutto ancora più amaro, una constatazione: “i medici che curano mio marito a Roma sono calabresi. Eppure, giù da noi non c’è niente”.

Sanitari in ospedale

Da dove partono i turisti sanitari italiani

Ogni meta scelta dai turisti sanitari italiani corrisponde a una regione di partenza, e i dati parlano chiaro: i cittadini che si spostano per curarsi lungo lo Stivale provengono soprattutto dal Sud. Secondo il Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali, le regioni con i saldi negativi più elevati sono Campania, Calabria e Lazio, con perdite rispettivamente di 2,93 miliardi di euro, 2,7 miliardi e 2,1 miliardi.

Anche altre regioni mostrano squilibri rilevanti. La Sicilia e la Puglia seguono con bilanci negativi di 1,9 e 1,8 miliardi, mentre l’Abruzzo e la Sardegna si attestano su cifre prossime agli 800 milioni. Il fenomeno non è limitato solo al Mezzogiorno: Liguria, Marche, Basilicata e Piemonte registrano anch’esse bilanci in perdita, seppure con numeri inferiori. Persino alcune aree tradizionalmente più organizzate, come la Provincia autonoma di Trento e la Valle d’Aosta, riportano dati negativi, seppure di entità minore.

Questi numeri testimoniano un evidente squilibrio nella capacità delle diverse regioni italiane di offrire cure adeguate, spingendo migliaia di cittadini a lasciare la propria terra per cercare trattamenti sanitari migliori altrove.

Ci accontentiamo delle briciole?

Esiste qualcosa, in questo sistema sanitario regionale che funziona a “singhiozzo”, che non si riesce proprio a mandar giù: in un contesto dove la gente è costretta a spostarsi per potersi curare e vivere, investire tempo e denaro, ricevere diagnosi tardive e costretta a mandare avanti la barca tra mille sacrifici, ecco che esplodono gli applausi per il remoto annuncio di un nuovo macchinario in un ospedale fatiscente o per delle poltroncine donate che abbelliscano la sala d’attesa.

Ha senso, per la Calabria, esultare per ogni piccolo passo avanti quando altrove è la norma? Queste sono (davvero) vittorie o solo palliativi? Sembra che il destino dei calabresi sia segnato: una popolazione condannata ad “avere di meno” solo perché è nata dalla parte “sbagliata” dell’Italia giusta.

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