“Artificial Intelligence, Scientific Discovery, and Product Innovation” di Aidan Toner-Rodgers, sviluppato al MIT con la collaborazione di Daron Acemoglu e David Autor, esamina come l’adozione di una tecnologia di deep learning in un ampio laboratorio statunitense incida sulla produttività scientifica e sulle decisioni strategiche delle imprese. La ricerca coinvolge 1.018 scienziati di un grande gruppo industriale, interessato ad accelerare la creazione di materiali innovativi grazie all’AI, dimostrando come l’AI possa trasformare non solo i processi di sviluppo ma anche il lavoro dei ricercatori, ridefinendo competenze e ruoli. Per dirigenti e imprenditori è cruciale scoprire che l’AI può aumentare sensibilmente il numero di brevetti e la diversificazione di prototipi, pur generando squilibri fra ricercatori. Gli effetti più consistenti emergono dove l’esperienza umana riesce a valorizzare i suggerimenti del modello.
Innovazione con AI e materiali innovativi: prospettive di crescita nelle imprese
L’indagine condotta presso il laboratorio di una grande azienda statunitense racconta una storia peculiare di come l’intelligenza artificiale possa influenzare la creazione di nuovi materiali, step essenziale in comparti come l’elettronica di consumo, i dispositivi medicali e la produzione industriale. In passato, la scoperta di materiali funzionali avveniva tramite innumerevoli tentativi: i ricercatori immaginavano composizioni sempre più complesse, testavano le proprietà con strumenti costosi e registravano un elevato tasso di fallimenti. Questa dinamica, lunga e onerosa, incoraggiava i team di R&S a ridurre i rischi, puntando spesso a progetti incrementali anziché ad applicazioni più ardite.
La tecnologia illustrata nella ricerca sfrutta un avanzato approccio di deep learning basato sulle reti neurali grafiche (Graph Neural Networks) per produrre nuove “ricette” chimiche. La rete, allenata su grandi set di dati riguardanti materiali noti, genera composizioni possibili che rispondono a determinate proprietà desiderate (ad esempio robustezza, resistenza a temperature estreme o particolari caratteristiche ottiche). L’algoritmo si avvale inoltre di tecniche di “diffusione” e di previsioni probabilistiche capaci di suggerire soluzioni mai realizzate prima ma potenzialmente valide. Non si tratta di automazione meccanica: gli scienziati restano fondamentali per valutare la fattibilità delle combinazioni e selezionare quali candidati sintetizzare in laboratorio.
I ricercatori del MIT hanno avuto l’opportunità di studiare i processi internamente grazie a un’introduzione graduale articolata in tre fasi, coinvolgendo complessivamente 1.018 scienziati distribuiti in vari team. Quando ogni gruppo iniziava a utilizzare lo strumento di intelligenza artificiale, era possibile confrontare le nuove attività di ricerca sui materiali con quelle condotte dai colleghi che non facevano ancora uso della piattaforma basata su AI.
Questo tipo di approccio sperimentale, con un’assegnazione casuale in più fasi, ha consentito di disporre di un quadro chiaro dei mutamenti che si sono verificati.
La produttività complessiva cresce dunque in maniera netta, e ciò comporta anche miglioramenti qualitativi, poiché le formule generate presentano strutture chimiche più originali, con possibili implicazioni interessanti per la brevettabilità e la differenziazione nel mercato. Per le aziende, ciò significa opportunità di portare innovazioni aggiuntive sul mercato, riducendo i costi di ricerca per ogni singolo brevetto depositato.
Un ulteriore tratto significativo riguarda la misurazione della novità stessa. Non c’è stato un semplice aumento del volume di progetti depositati, bensì una maggiore creatività intrinseca, ossia la presenza di brevetti che introducono termini tecnici non comparsi in precedenza. Inoltre, è cresciuta la percentuale di prototipi che danno vita a linee di prodotto radicalmente nuove. Questa evidenza contraddice chi teme che l’AI induca solo “riciclaggi” di informazioni già conosciute, amplificando ricerche sicure ma prive di reale impatto. Al contrario, la tecnologia ha mostrato di saper esplorare regioni meno scontate dello spazio di progettazione.
Il metodo sperimentale adottato sottolinea al contempo l’utilità di un supporto umano altamente qualificato. In assenza di competenze adeguate, la tecnologia può generare molte più “false promesse” rispetto ai progetti che si dimostrano realizzabili. Eppure, quando gli scienziati sfruttano con intelligenza l’AI, testano con priorità i composti che hanno una maggiore probabilità di successo, evitando sprechi di tempo e denaro. Questa sinergia è un punto chiave per qualunque strategia imprenditoriale che intenda introdurre l’intelligenza artificiale nelle fasi di R&S.
Ricerca e sviluppo con AI e materiali innovativi: evidenze sperimentali
Il lavoro di Toner-Rodgers analizza i dati scaturiti da ogni stadio di R&S: dalla generazione dell’idea alla definizione di brevetti, fino alla comparsa di prototipi pre-commerciali. Una sezione corposa è stata dedicata all’indagine quantitativa sugli oltre mille scienziati che popolano il laboratorio dell’azienda, in un periodo compreso fra il 2020 e il 2024. Ogni aspetto della loro attività lavorativa – la tipologia di materiali valutati, i risultati delle simulazioni, le ore trascorse in esperimenti, le competenze pregresse – è stato mappato con precisione.
Il passaggio chiave che rende solida la dimostrazione è la casualità con cui i ricercatori sono stati suddivisi, ciascuno abilitato all’AI in fasi diverse. Così si può verificare se l’aumento di idee brevettabili dipenda effettivamente dalla tecnologia o da una semplice competizione interna. L’analisi dei flussi di lavoro mostra che nei gruppi che non avevano ancora ricevuto l’accesso all’AI non si osserva alcun calo di performance. Di conseguenza, viene meno l’ipotesi di un “effetto corsa” (ossia che i ricercatori senza AI si affrettino per superare i colleghi già dotati dello strumento).
I risultati numerici principali mostrano una trasformazione notevole: la ricerca individua un aumento del 44% di nuovi materiali validati dai ricercatori che usano la tecnologia. Questi composti presentano proprietà fisico-chimiche più avanzate, esprimendo al meglio i target qualitativi iniziali fissati dai team di R&S. Inoltre, la ricerca mostra il dato del 39% di incremento nelle richieste di brevetto, una metrica decisiva per la proprietà intellettuale e la differenziazione competitiva. L’effetto si propaga anche alla successiva fase di prototipazione, con un aumento del 17% di progetti effettivamente realizzati su larga scala.
Nel complesso, i costi di produzione di idee e test non salgono in modo proporzionale ai benefici, poiché l’AI consente un parziale “riuso” di simulazioni: basta introdurre i parametri di riferimento per ottenere una moltitudine di potenziali formule chimiche. Il risvolto che emerge, tuttavia, è la necessità di una valutazione umana più critica: la fase di “giudizio” – così è stata definita nella ricerca – si dilata. I ricercatori trascorrono meno tempo a generare idee e più tempo a filtrare, comprendere e testare i suggerimenti proposti dall’algoritmo. L’indagine ha verificato che il 57% delle mansioni di generazione è automatizzato, creando una nuova sfida legata alla distinzione tra composti promettenti e “falsi positivi”.
Uno spunto di lettura per imprenditori e manager sta nella diversa efficacia che questa tecnologia ha su lavoratori con differenti livelli di competenza. Nella ricerca viene evidenziato che la fascia più capace – definita “top scientists” – sperimenta un quasi raddoppio della produttività, mentre il terzo inferiore della distribuzione ottiene benefici modesti. A livello di performance si crea, quindi, una disuguaglianza molto marcata. In termini organizzativi, le aziende potrebbero decidere di cambiare criteri di selezione e formazione del personale, privilegiando la spiccata capacità di “valutare” e interpretare correttamente le proposte dell’AI.
La ricerca dimostra che l’intervento della macchina non è imparziale, ma incide attivamente sull’orientamento delle innovazioni. Non si parla di materiali “meno innovativi”, bensì di soluzioni più agevoli da produrre: lo studio mette in luce una qualità costante nei risultati e persino la creazione di linee di prodotto che in passato sembravano poco plausibili.
Per un manager attento alle prospettive di business, ciò indica la possibilità di introdurre prodotti non solo migliorativi rispetto ai precedenti, ma radicalmente diversi. Questo impatto multiforme si incrocia anche con le politiche di investimento a lungo termine: la ricerca evidenzia che, a fronte di un maggior numero di brevetti depositati, una parte di essi richiederà comunque anni di sviluppo per arrivare sul mercato, specie se coinvolge tecnologie completamente nuove.
AI e materiali innovativi: come gli esperti possono ridurre le disuguaglianze
Un aspetto sorprendente emerso dall’indagine riguarda la distribuzione degli effetti. Sebbene l’uso dell’intelligenza artificiale incrementi in media l’efficienza e favorisca la generazione di brevetti, evidenzia anche una marcata disparità tra i ricercatori. Secondo l’analisi di Toner-Rodgers, la tecnologia risulta particolarmente vantaggiosa per gli scienziati con competenze già eccellenti nel proprio settore. Valutando la produttività iniziale sulla base dei materiali scoperti e delle pubblicazioni pregresse, si è osservato che i ricercatori appartenenti al “top decile” riescono quasi a raddoppiare la propria produzione, mentre coloro che si collocano nella fascia inferiore rimangono sostanzialmente statici.
I motivi emergono osservando la logica di reindirizzo dei compiti. Prima, lo scienziato dedicava una porzione consistente del tempo a elaborare teorie su possibili strutture chimiche, immaginare variazioni, leggere articoli e consultare banche dati. L’AI copre gran parte di queste funzioni, restituendo ipotesi di materiali nuovi o radicalmente diversi da quelli già testati. A quel punto, spetta all’umano interpretare e selezionare: se un ricercatore possiede un ampio bagaglio di conoscenze di chimica applicata, fisica dei materiali o di specifici processi di sintesi, riuscirà a intuire abbastanza in fretta se una molecola consigliata dal software abbia serie probabilità di funzionare. Al contrario, chi non ha padronanza di tali competenze rischia di fidarsi troppo ciecamente delle proposte e di imboccare un gran numero di vicoli senza sbocco.
La distribuzione diseguale delle ricadute si avverte anche in ambito brevettuale e di sviluppo del prototipo. Se un materiale richiede molteplici test per verificarne la stabilità e la possibilità di integrare la molecola in un prodotto effettivo, ogni errore di valutazione si trasforma in uno spreco di risorse, ritardando progetti potenzialmente promettenti. Così, il divario tra chi ha accumulato anni di competenze nel valutare le strutture chimiche e chi ne è privo si amplia rapidamente. Ai vertici dell’azienda, quindi, si propone uno scenario in cui i più esperti ottengono aumenti di merito, mentre il personale meno preparato si trova esposto a critiche o, in alcuni casi, al rischio di uscire dall’organico, come è accaduto nell’ultima fase della ricerca.
Nel paper vengono citate interviste che confermano la centralità della cosiddetta “domain knowledge”. Alcuni ricercatori spiegano di riconoscere con maggior immediatezza i “falsi positivi” grazie a pubblicazioni specifiche, esperienze dirette o “intuizioni” scaturite da anni di lavoro su composti simili. Questo elemento contraddice parzialmente l’idea che l’AI, grazie all’accesso a dati massivi, possa azzerare l’importanza dell’esperienza umana. In realtà, la grande mole di soluzioni generate dal deep learning ha bisogno di sguardi allenati per separare le opportunità reali dalla confusione.
L’analisi quantitativa sottolinea che, per i ricercatori meno dotati di capacità valutative, la curva di apprendimento in merito alle proposte dell’AI rimane piatta: anche dopo diversi mesi di utilizzo, si continua a incappare nelle stesse difficoltà di selezione. Al contrario, chi fa parte del terzo più qualificato affina costantemente i criteri di screening, non solo riconoscendo meglio i progetti da scartare, ma anche testando con maggiore priorità quelli che presentano caratteristiche chimiche più coerenti con le finalità iniziali.
Da una prospettiva manageriale, ciò apre la porta a possibili ridefinizioni nei piani di sviluppo del personale, nonché a meccanismi di incentivo più focalizzati sulle competenze di screening. L’esperienza del laboratorio analizzato mostra che, a distanza di poco più di un anno dall’adozione su vasta scala, la direzione ha cominciato a rimodulare le assunzioni e a licenziare un ristretto gruppo di ricercatori, concentrando la forza lavoro sulla fascia più efficiente. Questo processo, se esteso ad altri settori, potrebbe cambiare la configurazione dei laboratori industriali e di ricerca, spingendo a una maggiore specializzazione su abilità interpretative.
AI e materiali innovativi: conseguenze sul benessere lavorativo e la motivazione
Non bisogna trascurare le conseguenze personali, perché lo studio rivela che la soddisfazione lavorativa dei ricercatori si riduce dell’82% nei giudizi complessivi, specialmente per via del ridimensionamento della creatività. Nella discussione condotta tramite sondaggi, Toner-Rodgers evidenzia come gran parte del personale abbia motivazioni profonde nel “piacere di scoprire”, nel disegnare materiali ex novo, nel poter dire che una certa formula chimica è frutto della propria intuizione. Se l’AI automatizza larga parte del processo di ideazione, i ricercatori sentono di perdere quella parte creativa.
Secondo i questionari, molti studiosi si ritrovano a fare un lavoro di verifica e controllo, ripetitivo e meno affascinante, avvertendo un senso di minor valorizzazione delle competenze. Anche chi vede crescere i risultati tangibili (più brevetti, più prototipi) non sempre si dice soddisfatto: la sensazione è che le proprie abilità rimangano inespresse e che il compito di “giudizio” non risulti così sfidante come l’attività di concettualizzazione. D’altro canto, la felicità legata al successo professionale di solito aumenta se si prova un senso di pienezza e padronanza, mentre nel nuovo contesto prevale la percezione di “essere un supporto” alle scelte generate da un modello.
Molti ricercatori affermano di ritenere che il vero potenziale dell’intelligenza artificiale risieda nella capacità di accelerare la produttività nei loro ambiti di lavoro. È significativo che la maggior parte dei ricercatori coinvolti abbia modificato la propria visione, mostrando maggiore fiducia nella capacità di questi sistemi di incrementare i ritmi di innovazione, pur mantenendo la convinzione che il lavoro umano rimarrà essenziale. Questo perché, nonostante i progressi tecnologici, la valutazione critica e l’intuizione rimangono aspetti che richiedono il contributo umano. Tuttavia, è aumentata la consapevolezza che l’AI trasformerà profondamente le competenze necessarie per avere successo. Di conseguenza, il 71% dei partecipanti al sondaggio ha dichiarato l’intenzione di “reskillarsi”, ovvero di acquisire nuove competenze, per evitare di essere escluso dai cambiamenti in atto.
Per un imprenditore che voglia integrare l’AI nei processi di R&S, questi dati suggeriscono di valutare con attenzione le dinamiche di team e la gestione del personale, non solo in termini di produttività ma anche di soddisfazione. Perdere la motivazione di parte del personale più creativo potrebbe, sul lungo periodo, incidere sulla cultura aziendale e sulla varietà di idee generate. Occorre, in sintesi, un equilibrio che mantenga lo slancio creativo degli specialisti, rendendo al contempo il lavoro di controllo e di screening meno alienante. Alcune imprese potrebbero puntare su nuove forme di incentivo, altri preferiranno ristrutturare i ruoli e affidare la fase valutativa soltanto a una cerchia ristretta di “super-esperti”.
Inoltre, dai dati appare che i ricercatori non prevedevano l’intensità di certi effetti, segno che la relazione tra AI e competenze umane resta difficile da predire ex ante. L’esperienza concreta con questi sistemi ha dimostrato che la presenza di Big Data e di reti neurali genera soluzioni che possono far progredire la scienza, ma non elimina l’esigenza di un forte contributo delle conoscenze specialistiche.
AI e materiali innovativi: strategie di competitività nei diversi settori
Gli autori sottolineano la generalizzabilità di queste scoperte a settori in cui la ricerca si basa su combinazioni complesse di elementi, come la farmaceutica (dove occorre individuare molecole ottimali tra un’enorme varietà di configurazioni), la robotica avanzata, la climatologia computazionale o perfino alcune branche della matematica. L’elemento comune è l’esistenza di un’ampia “superficie di esplorazione”, in cui l’AI è in grado di individuare strutture promettenti sulla base di pattern statistici, mentre resta alla competenza umana il ruolo di validare la credibilità e l’utilità pratica dei risultati.
Per molte aziende, la prospettiva di accelerare significativamente il processo che porta a scoperte brevettabili è estremamente attraente. La ricerca analizzata non si limita a dimostrare che l’intelligenza artificiale può potenziare la generazione di idee, ma sottolinea anche la necessità di trasformazioni organizzative. Tra queste, emerge un aumento della richiesta di esperti capaci di agire come valutatori qualificati: si apre un nuovo ambito di competenza, dove la conoscenza approfondita del settore scientifico e l’abilità di interpretare i risultati prodotti dagli algoritmi diventano requisiti essenziali. Non sorprende, quindi, che l’azienda oggetto dello studio abbia avviato una riorganizzazione interna, riducendo del 3% il personale meno abile nel giudicare i composti proposti.
Per i top manager, l’uso dell’AI nelle fasi di ricerca pone questioni strategiche sulla struttura delle divisioni R&S. Se la generazione delle idee subisce un’accelerazione massiccia, bisogna rafforzare le filiere di test e di prototipazione per non accumulare ritardi a valle. Inoltre, la tensione tra prodotti completamente nuovi e miglioramenti di linee esistenti diventa più acuta: la ricerca osserva un aumento di prototipi che si discostano dai prodotti già in commercio, frutto di materiali radicalmente diversi. Da un lato questo può portare a vantaggi competitivi enormi se le soluzioni funzionano, dall’altro può rallentare la fase di go-to-market.
Un altro riflesso interessante riguarda il posizionamento nella filiera degli approvvigionamenti di conoscenza. In questo caso, una parte dei modelli di deep learning è stata sviluppata su dataset interni all’azienda, arricchiti da database pubblici, ma si può prevedere che le società più grandi acquistino o sviluppino soluzioni proprietarie, mentre le più piccole ricorreranno a piattaforme esterne, forse in modalità cloud. Gli accordi di licenza e la protezione della proprietà intellettuale diventano dunque temi rilevanti, specie se si considera che la creazione di nuovi composti permette di presidiare mercati emergenti.
Quanto alle prospettive future, la ricerca suggerisce che questi strumenti possano accelerare il ritmo dell’innovazione industriale più di quanto ipotizzato in precedenti studi macroeconomici, che spesso consideravano l’AI rilevante soprattutto nella catena di produzione. In questo caso, invece, viene rafforzata l’innovazione stessa, intesa non solo come sviluppo di nuovi prodotti ma anche come avanzamento nella “scoperta scientifica”, generando un beneficio potenzialmente cumulativo.
Allo stesso tempo, emergono criticità, come l’accentuarsi delle disuguaglianze tra i lavoratori e la necessità di rinnovare i paradigmi formativi, coinvolgendo sia le università che le imprese. Per un’azienda che intenda preservare la competitività della propria struttura, è quindi fondamentale agire con tempestività, considerando non solo il potenziale di questi sistemi, ma anche l’importanza di sviluppare competenze interne in grado di interagirvi efficacemente.
Sotto il profilo dei possibili sviluppi, gli autori evidenziano che la tecnologia, essendo in rapida evoluzione, aprirà forse opportunità ancor più incisive per la creazione di prodotti, riducendo ulteriormente i costi di sperimentazione. Resta comunque aperta la questione di come assicurare che l’eccitazione del momento non vada a scapito della motivazione dei ricercatori, i quali potrebbero allontanarsi dal settore se sentono svuotati i propri ruoli. Questa interazione uomo-macchina è quindi una sfida strategica di prima grandezza per chi pianifica i processi aziendali di medio-lungo termine.
Conclusioni
I dati e le osservazioni di Toner-Rodgers delineano uno scenario in cui l’AI aumenta nettamente la capacità di ideare e brevettare materiali inediti, con importanti ricadute sulle imprese che puntano ad ampliare le proprie linee di prodotto. Però l’autore mostra anche un quadro realistico: il potenziamento complessivo non è accompagnato da una piena soddisfazione della forza lavoro, e la dinamica tra competenze umane e suggerimenti algoritmici si è rivelata più complessa del previsto. L’aspetto di novità risiede nell’evidenza che la presenza di reti neurali digitali non mortifica affatto la parte creativa del pensiero scientifico, bensì la sposta su un livello diverso, richiedendo uno sguardo esperto che sappia sfruttare i suggerimenti. L’interazione tra modello e specialista emerge in modo cruciale quando si tratta di scremare gli esiti inattendibili, un compito di importanza strategica per evitare sprechi di tempo e risorse.
Lo studio analizza anche la competizione con altre soluzioni tecnologiche basate sull’intelligenza artificiale, che in diversi settori hanno già prodotto un impatto significativo. Tuttavia, la peculiarità di questa applicazione, capace di accelerare una fase ideativa raramente automatizzata, suggerisce che le potenzialità potrebbero essere ancora più rilevanti. Per un imprenditore, integrare questa tecnologia potrebbe tradursi in una riduzione dei tempi di sviluppo di almeno un terzo nella ricerca di nuove sostanze e processi innovativi, offrendo un vantaggio competitivo significativo.
È chiaro, però, che una riorganizzazione interna diventa indispensabile: la creazione di nuove figure professionali, l’aggiornamento delle competenze di chi già opera nel sistema e l’investimento su profili altamente qualificati rappresentano passaggi fondamentali. La ricerca invita a un approccio ponderato e strategico: l’adozione di modelli di deep learning dedicati alla ricerca e sviluppo aziendale ha il potenziale per trasformare profondamente i processi consolidati, spingendo i dirigenti a elaborare strategie organizzative in grado di combinare efficacemente l’enorme potenziale dell’automazione con l’unicità dell’intuito umano. La sfida principale non consiste solo nell’aumentare la produttività, ma anche nel preservare e valorizzare le figure in grado di tradurre le intuizioni in innovazioni tangibili e di valore.
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