Giornalismo sotto attacco in Palestina: l’Anp censura Al-Jazeera

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Apprendere questa notizia è stato come trovarsi d’improvviso davanti a un dipinto che ribalta ogni logica prospettiva, hai bisogno di tempo per capire se è uno scherzo della mente o una crudele verità. Non perché fosse incredibile – ormai nulla dovrebbe sorprendermi quando si parla dell’Autorità Nazionale Palestinese – ma per l’inquietante conferma di quanto il potere possa distorcere il proprio mandato. Il 1° gennaio, l’ANP ha annunciato la sospensione delle operazioni di Al-Jazeera nella Cisgiordania occupata, citando presunte violazioni delle leggi palestinesi. Ho dovuto verificare più volte che fosse tutto vero. Non perché dubitassi delle fonti, ma per la difficoltà a credere che chi dovrebbe rappresentare un popolo oppresso potesse agire in modo così sfacciato contro uno dei pochi strumenti rimasti per raccontarne la realtà. 

L’accusa ufficiale, diffusa dall’agenzia di stampa palestinese WAFA, è che Al-Jazeera abbia diffuso resoconti “fuorvianti e incendiari”. Ma la verità è che la rete televisiva ha avuto il coraggio di raccontare ciò che accade a Jenin, dove l’ANP ha lanciato uno degli assedi più duri della sua storia recente. Era il 14 dicembre quando le forze dell’ANP hanno dichiarato guerra alla Brigata Jenin, accusandola di essere un gruppo di “fuorilegge”. 

La retorica bellica, una macchia d’olio in espansione, si è trasformata rapidamente in realtà, contagiando  anche le anime più pure. Nove vittime, tra cui bambini che avevano appena iniziato a sognare. Tra loro, poi, Shatha Sabbagh, una giovane giornalista, uccisa da un cecchino dell’ANP. Stava uscendo di casa, quando il proiettile l’ha raggiunta alla testa. Nel suo ultimo post su Instagram, Sabbagh raccontava del clima oppressivo nel campo: striscioni strappati, volti che rappresentano la resistenza palestinese rimossi come polvere dai muri, e agenti dell’ANP che intimavano ai giornalisti di smettere di filmare. Con lei, l’occupazione israeliana, il vento gelido, e la complicità palestinese, la siccità, hanno fatto seccare le radici della libertà. L’ANP, con la sua sete di potere, ha trasformato la speranza in disperazione, dimostrando che la guerra è l’unica soluzione che conosce per rivendicare subdolamente il tutto come una missione per ristabilire l’ordine.

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Al-Jazeera ha descritto la chiusura dei suoi uffici da parte dell’ANP come un gesto che rispecchia le politiche dell’occupazione israeliana. Difficile non cogliere la crudele simmetria: l’ANP, stringendo la mano all’occupante, si rivela per quello che è, un’ombra vicina e manipolata da mani che stringono catene.  Lo scorso maggio, il governo israeliano ha ratificato la chiusura di Al-Jazeera nei propri territori, accusando l’emittente di “danneggiare la sicurezza” del Paese e di essere un “portavoce di Hamas“. Ora, l’ANP segue lo stesso copione, sostenendo che la rete fomenti conflitti e manipoli l’opinione pubblica. 

Tra i mille volti dell’omertà, ce n’è anche uno che indossa una kefiah e, con questo gesto, l’ANP ha dimostrato di aver interiorizzato la logica dell’oppressore. La censura, strumento tipico dei regimi autoritari, è ora utilizzata anche da chi dovrebbe rappresentare gli interessi del popolo palestinese. La Palestina è un palcoscenico su cui si consumano le peggiori atrocità, e Al-Jazeera ne è il testimone più scomodo.  La verità parla di campi profughi trasformati in prigioni a cielo aperto, di giornalisti uccisi mentre cercano di documentare l’orrore, di una resistenza che non si ferma, nonostante tutto. L’ANP, invece di proteggere i suoi cittadini, ha scelto di proteggere l’immagine di un’occupazione che non tollera sguardi indiscreti. Questa è la vera faccia della repressione, non solo la violenza fisica, ma la violenza psicologica esercitata attraverso la censura, il controllo dell’informazione, la manipolazione della realtà. 

La parte più inquietante in questa storia è quindi la constatazione che l’ANP non si limiti a tradire il proprio popolo, ma si allinei con chi quel popolo lo vuole annientare. La chiusura di Al-Jazeera in Cisgiordania è un messaggio inequivocabile che chi osa parlare deve essere ridotto al silenzio. E chi tace, in una realtà come questa, è complice. È un gioco al massacro, dove la verità diventa l’unica vittima certa. Eppure, anche se le voci vengono messe a tacere, la realtà resta lì, incisa nella carne e nei cuori di chi la vive ogni giorno.

Chi ha paura della verità? Forse chi sa di essere complice. Forse chi, davanti a un microfono o una telecamera, teme che la narrazione possa svelare l’inconfessabile. Il punto cruciale è che Al-Jazeera non è solo una voce, ma uno specchio. E in quello specchio, l’ANP ha paura di guardarsi.

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