Ater, tempi lunghi per i lavori alle case

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L’AQUILA. «Mi dispiace, la sua casa è “A” ed è anche fuori della zona rossa. Ha perso il diritto a ogni forma di aiuto». Agli uffici di assistenza alla popolazione, per Mariangela D’Alò la risposta è sempre la stessa. E ogni volta, per Mariangela ricominciano le peripezie fatte di controlli, telefonate, incrocio di dati, verifiche. Mariangela è tra i «fortunati» abitanti degli unici undici appartamenti agibili del complesso di case popolari di via Santa Croce, di fronte al vecchio tribunale. Una sola palazzina in mezzo alla desolazione. Le altre palazzine sono da abbattere. Una, che rischiava di crollare su via Vicentini, è stata buttata giù nel 2009. Le altre lo saranno non appena partirà la ricostruzione del quartiere ferma al palo. «Ogni volta è la stessa storia», racconta tra rabbia e rassegnazione. «Mi dicono che la casa è A, si devono fare i controlli con i gestori di gas e luce, si scopre che il quartiere non è servito, che nella palazzina non sono mai stati fatti i lavori, che solo un palazzo della zona sta per finire la riparazione, che qui c’è un piano di riqualificazione che non si sa quando partirà, che i lavori cominceranno tra 6 mesi. In definitiva, non è possibile abitarci». Mariangela ha un contratto con il fondo immobiliare a scadenze regolari che dev’essere rinnovato e per il quale ha avuto una recente proroga. Ma bisogna andare negli uffici, fare le file, prendere appuntamenti per i successivi controlli, uno stress senza fine. Il nodo che viene al pettine è sempre lo stesso. Il «padrone» di casa, in questo caso l’Ater che gestisce abitazioni costruite più di 50 anni fa, non ha fatto i lavori. L’Ater dice che i soldi non sono arrivati, i componenti del «Mia Casa» sostengono il contrario. «La cosa che più dispiace», spiega Mariangela, «è che nel frattempo le case stanno cadendo a pezzi. I ladri hanno portato via le grondaie, sfondato il portone d’ingresso, abbattuto le porte degli appartamenti, visitato e depredato in ogni angolo. Ho fatto mettere una protezione, ma si sono portati via anche le panchine del giardino». In effetti, entrando nella palazzina, non si capisce come possa essere stata classificata A, visto il numero di crepe che interessano ogni tramezzo. A ogni appartamento, sulle porte sfondate e riparate alla meglio. Un foglio di carta cerca di spiegare ai visitatori non graditi che «la casa è stata già svuotata, non c’è niente da rubare». «Dicono che il cemento è buono, a regola d’arte. Il mio appartamento è perfetto, non si è rotta neanche una mattonella», commenta Mariangela. «Ma è anche vero che sono fortunata, sopra di me c’è solo un tetto, nel resto del palazzo i danni sono maggiori. Quando è venuto il tecnico gli ho detto che, invece di spendere i soldi per l’appartamento che avevo ristrutturato solo un anno prima del terremoto, era meglio utilizzare i soldi per gli altri». «Mio padre ha pagato l’affitto dal 1956», conclude. «Se lo avessero messo a riscatto, avremmo potuto comprarlo e adesso mi sarei occupata della riparazione senza i tempi biblici dell’Ater».

Raniero Pizzi

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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