Assegni più bassi per chi va in pensione nel 2025: con l’aumento dell’aspettativa di vita i contributi versati “valgono” meno. Le cifre

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Chi va in pensione nel 2025 riceverà un assegno più basso rispetto a quanti sono usciti dal lavoro negli anni precedenti. È l’effetto dei nuovi coefficienti di trasformazione approvati lo scorso novembre dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Mef, sulla base dell’andamento del pil e della speranza di vita. I coefficienti sono i parametri utilizzati per “tradurre” il montante contributivo versato nell’importo della pensione spettante e ovviamente variano in base all’età del soggetto che lascia il lavoro: più è alta più sono elevati – e dunque più alta sarà la pensione – perché l’aspettativa di vita residua è inferiore. Nel 2023 e 2024, in via eccezionale, i coefficienti erano saliti a causa dell’impatto del Covid. Quest’anno tornano a scendere. La riduzione decisa lo scorso novembre è compresa tra l’1,5% e il 2,18% a parità di età anagrafica.

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Gli effetti? Stando ai calcoli della Cgil un lavoratore che guadagna circa 30mila euro l’anno e andrà in pensione di vecchiaia nel 2025 a 67 anni prenderà, a parità di montante contributivo, un assegno del 2% inferiore a quello di chi è andato in pensione nel 2024. Con il coefficiente precedente, pari al 5,723%, il suo montante contributivo pari a 283.971,65 euro gli avrebbe garantito una pensione annua per la quota contributiva di 16.251,70 euro, pari a circa 1.250 euro al mese. Nel biennio 2025-2026, con il nuovo coefficiente del 5,608%, l’assegno pensionistico annuo scenderà a 15.925,13 euro, ovvero circa 1.225 euro al mese. Con una perdita annua di oltre 300 euro. L’impatto è ancora più significativo per chi esce dopo i 67 anni (perché magari non ha raggiuto i 20 anni di contributi necessari). Uscendo a 70 anni con lo stesso montante contributivo chi è andato in pensione nel 2024 ha maturato una pensione di quasi 1.397 euro al mese, chi ci va nel 2025 prende 1.367 euro al mese, 30 in meno. Per una perdita annua, su 13 mensilità, di 389 euro.

“Questo meccanismo perverso rischierà di impoverire sempre di più coloro – i giovani – che hanno tutta la posizione contributiva dopo il 1995”, commenta Enzo Cigna, responsabile politiche previdenziali della Cgil, che parla di “iniquità” perché in caso di allungamento dell’aspettativa di vista “le ricadute sono doppie: si allunga il traguardo pensionistico e si abbassano i coefficienti di trasformazione”.

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