Tutti i guai di Vincenzo De Luca

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«Mario Chiesa? Un mariuolo». «Franco Alfieri? Non parlo di scemenze». Tra la prima e la seconda domanda, e tra la prima e la seconda risposta, c’è una straniante relazione, per quanto casuale. Così disse circa trentatré anni fa Bettino Craxi a chi gli chiedeva delle tangenti scaricate nel wc dall’allora assessore socialista milanese per non farsi beccare col corpo del reato dalla Finanza che bussava alla porta; così ha risposto – si parva licet – Vincenzo De Luca a chi ha osato piazzargli un microfono sotto le labbra sibilanti per domandargli cosa ne pensasse delle manette ai polsi del presidente della Provincia di Salerno nonché sindaco di Paestum e, prima, di altri due comuni cilentani (Agropoli e Torchiara), uomo forte del Pd campano, «re delle fritture» secondo una celeberrima battuta del governatore stesso, Franco Alfieri.

Come finì a Milano lo sappiamo tutti e tutti ne sperimentiamo le conseguenze. Come potrebbe finire in Campania, dopo che una delle gambe del tavolo di De Luca è stata divelta dalla procura di Salerno, lo sa soltanto il Padreterno. Anche perché è una storia che si ripete da anni con l’altalena dei famosi stop and go.

Il sindaco di Capaccio (Salerno) Franco Alfieri (foto Ansa)
Il sindaco di Capaccio (Salerno) Franco Alfieri (foto Ansa)

Il sistema di potere di De Luca

Personaggio tosto Alfieri, concreto, svelto di testa, scuola democristiana, infaticabile macchina elettorale, chiacchierato come e più di tanti altri politici del Sud, incarichi importanti per diverso tempo al fianco del presidente a Napoli, dispensatore di posti di lavoro e incarichi secondo un certo rito antico. E pure moderno.

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Oggi c’è un’inchiesta giudiziaria che dal 3 ottobre scorso ha puntato, per interposta persona, il “sistema di potere deluchiano” cosiddetto, chiudendo per quasi un mese in una cella del carcere di Fuorni, poi ai domiciliari, il “boss” del Cilento, Alfieri, accusato della serie di reati classici della pubblica amministrazione, tra cui l’immancabile corruzione e turbativa d’asta, cui si sono subito dopo aggiunti l’associazione a delinquere, il falso e tutto l’ambaradan del caso. Appalti pubblici dei quali avrebbe beneficiato la sorella Elvira, imprenditrice, per cifre con molti zeri e in diversi centri della sconfinata provincia di Salerno: brutalmente, questa è la sintesi della storia, euro più euro meno.

Ma promette altro, molto altro, se reggerà nel tempo – per ora ha retto a gip e Riesame -, perché a febbraio inizierà il processo avendo il pm chiesto e ottenuto il giudizio immediato. La materia, però, è rimasta circoscritta al solito giro di lanci e titoli tutti uguali dei primi giorni, eppure un problema c’è e si vede, non foss’altro perché segna l’inversione di rotta della “politica giudiziaria” del secondo ufficio della Campania, Salerno, cuore della vita politica del presidente della Regione.

Inversione in che senso? Salerno negli anni non è stata certo Trani, né Firenze e, volendo, neppure Milano: nessuna indagine roboante, nessun teorema fantasioso, manco un pm deciso a moralizzare la vita pubblica come un De Magistris qualunque. Semmai è stato il contrario: qualche colpetto qui, qualcun altro là, un paio di sindaci (di centrodestra) scannati sui banchi dell’accusa e nelle redazioni e poi assolti dopo anni, solo un altro presidente di Provincia prima di Alfieri, un vecchio Dc di rito demitiano, Angelo Villani, fu tolto di mezzo anni prima a suon di manette ma per incidenti imprenditoriali e non politici.


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La Procura di Salerno

Per il resto, almeno per ciò che brilla nel firmamento delle inchieste rumorose, da anni a Salerno non accadeva alcunché di significativo (al netto della “mitica” querelle con i colleghi di Catanzaro quando stavano per arrestarsi l’un l’altro nell’ambito della vicenda calabrese scatenata dall’allora pm De Magistris prima di capitalizzare la rendita mediatica garantita dal clan Santoro-Ruotolo-Travaglio diventando sindaco di Napoli), nonostante fossero evidenti storture e perversioni dell’apparato pubblico nel suo complesso almeno pari a quanto succede in molte parti d’Italia.

Ma ci fu prima un procuratore capo, Franco Roberti, la cui simpatia politica è ancora oggi manifesta dal momento che, fresco di pensione togata, fa il parlamentare europeo dem dopo aver fatto l’assessore regionale alla Sicurezza nella giunta De Luca e dopo aver fatto il procuratore nazionale antimafia prima dell’oggi noto – et pour cause – Federico Cafiero De Raho.

Gliene successe un altro di procuratore capo, Corrado Lembo, anch’egli blasonato e di ricca esperienza, il cui primogenito, però, aveva (ed ha) il pallino della politica, ovviamente col Pd per il quale oggi riveste un incarico di sottogoverno in una delle decine di partecipate della Regione.

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Per completezza di informazione, anche sul versante giudicante e non solo su quello inquirente c’è stato (e c’è) qualche problemino nel distretto salernitano tenuto conto che un fratello del presidente del tribunale del Riesame è stato piazzato alla presidenza di una partecipata della Regione grazie a una nomina firmata dallo stesso Alfieri.

L'ex sindaco di Napoli, Luigi De Magistris (foto Ansa)L'ex sindaco di Napoli, Luigi De Magistris (foto Ansa)
L’ex sindaco di Napoli, Luigi De Magistris (foto Ansa)

Il lavoro di Borrelli

Tutti intralci oggettivi, involontari, un “di più” che ha depotenziato anche le migliori intenzioni e i più rigorosi profili. Contesti e relazioni che, in qualche caso a torto, hanno incrinato la fiducia dell’osservatore, aiutato a turbarsi grazie al quadro che sembrava emergere col passare del tempo: solo indagini sul centrodestra nonostante il potere lo avesse, praticamente da sempre, il centrosinistra. Finché a Salerno non è arrivato il napoletano Peppe Borrelli, di verosimili simpatie “progressiste”, tratto personale da buon borghese partenopeo unito ad una passionaccia per il Napoli che ne stravolge i connotati, ma solo allo stadio. Lunga esperienza e capacità d’azione anche nel suo caso, un banale incidente di natura correntizia nella faccenda Palamara (chi è senza peccato eccetera) subito rientrato, ma nessun contatto con il territorio, né convegni con la “società civile”, insomma manco un caffè con chicchessia, figuriamoci cene, pranzi o candidature.

Non è tutto, certo, ma non è neppure poco. Ed ecco che Borrelli mette i suoi al lavoro tracciando nuove direttrici e riesumando qualche lacerto di indagine pesante sulla politica ospitato a lungo nei cassetti dopo che qualche sostituto o qualche “sbirro” indipendente avevano iniziato a scavare. Ne verrà fuori un caso clamoroso che porterà Alfieri in cella, in filigrana ne emergeranno altri, alcuni dei quali probabilmente condivisi con il collega napoletano di Borrelli, quel Nicola Gratteri che non necessita di presentazioni. Nel bene e nel male. Ma che c’entra Gratteri? C’entra o, meglio, c’entrerebbe perché lo dice il codice di procedura penale che se c’è anche il minimo coinvolgimento di magistrati di un distretto bisogna rivolgersi a quello competente che, nel caso di Salerno è, appunto, Napoli.


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«Scemenze»

Il cronista, scavando un po’ nella sterminata mole di carte che giacevano inerti e inermi, trova che ci furono inchieste salernitane sul presidente della Provincia coordinate da un pm che risultava aver fatto il praticantato nello studio legale di Alfieri stesso (che è anche avvocato) e che tutto pensò di fare tranne che astenersi. Però chiese ed ottenne l’archiviazione. Oppure – sempre il cronista – legge che un altro magistrato che stava indagando su un imprenditore socio del fratello di Alfieri, archivierà un’indagine della polizia giudiziaria, salvo poi comprare per pochi spiccioli, dalle mani stesse dell’ex indagato, un lotto agricolo con rudere incorporato trasformandolo in villa con piscina e ottenendo, tra l’altro, un cambio di destinazione d’uso dei terreni nel comune feudo del solito Alfieri.

Insomma, non proprio faccende minori se si considera che per molto meno c’è chi langue chissà dove a leccarsi chissà quali ferite. Ora le cose sembrano addensarsi come nubi marine al largo, anche perché la stessa procura di Salerno ha puntato un altro uomo-chiave di De Luca, il presidente della Commissione regionale trasporti Luca Cascone, indagandolo per associazione a delinquere ed altro in un filone collegato all’inchiesta-madre: anche qui appalti, progetti e spintarelle varie presunte in favore di questo o quell’altro.

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Pure qui, sullo sfondo, pare aleggiare il fantasma di De Luca, intonso fino a questo momento, di certo abituato a sopportare questo genere di tensioni, ora che la partita politico-elettorale della Campania è ancora aperta e annuncia colpi di scena mentre la Corte costituzionale prepara il giudizio sul limite di mandato per i governatori. Ha risposto a chi gli domandava che idea si fosse fatto di questa storia di Alfieri, dicendo «non parlo di scemenze». Potrebbe aver ragione, potrebbe aver torto. Si vedrà.



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