La notte di capodanno Nadia non ha in programma di unirsi alle migliaia di belgradesi lungo la sponda del fiume Sava per assistere allo spettacolo pirotecnico che illuminerà i grattacieli della capitale, ma di sfilare in corteo, assieme ai suoi compagni di corso, fino al Parco degli studenti, nel centro della città: «Festeggeremo solo quando otterremo giustizia», dice, mentre si prepara all’ultima di una lunga catena di proteste in Serbia, attraversata dalla mobilitazione studentesca più imponente degli ultimi venti anni.
DA OLTRE UN MESE circa sessanta facoltà sono occupate per denunciare la corruzione endemica che affligge il Paese. Un grande atto d’accusa contro il presidente serbo Aleksandar Vučić, protagonista indiscusso degli ultimi dieci anni assieme al suo Partito progressista serbo (Sns), che di progressista ha solo il nome, ritenuto responsabile di avere piegato la magistratura e l’informazione ai suoi interessi e a quelli della criminalità organizzata.
La maggior parte delle scuole secondarie si è unita alla protesta, al punto che il governo è stato costretto a indire l’inizio delle vacanze natalizie con una settimana di anticipo. «Siamo tutti sotto la stessa tettoia», recitano molti degli striscioni esposti fuori dalle aule: lo scorso primo novembre, una tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad, seconda città del Paese, è crollata sui passanti, uccidendone quindici.
I soccorritori erano ancora impegnati a estrarre i superstiti dalle macerie, quando l’ente pubblico delle ferrovie serbe si è affrettato a sostenere che la tettoia non era interessata dai recenti lavori edili della stazione, snodo della linea ad alta velocità tra Belgrado e Budapest, progettati grazie a un consorzio cinese.
Un tentativo di smarcarsi fallito poco dopo, quando un ingegnere ha confermato che anche la tettoia era coinvolta nei lavori: il ministro dei Trasporti, Goran Vesic, ha rassegnato le dimissioni e la procura di Novi Sad ha accusato tredici persone, tra cui l’ex ministro e l’ex amministratrice delegata delle Infrastrutture serbe, di aver messo in pericolo la pubblica sicurezza.
Il crollo è diventato il simbolo dell’opacità degli appalti pubblici e delle infrastrutture scadenti del Paese, e la protesta per ottenere giustizia e la pubblicazione dei documenti relativi al progetto si è allargata a macchia d’olio.
LA STAZIONE ERA UNO dei fiori all’occhiello di Vučić, al punto che la cerimonia di inaugurazione si era svolta due volte: «Ma se gratti la superficie nuova di zecca, trovi il marcio che sta distruggendo le istituzioni» dice Nadia, che non vuole comparire con il suo cognome.
I movimenti studenteschi, che lo scorso 22 dicembre hanno fatto sfilare nella capitale circa 100mila persone, non hanno portavoce o rappresentanti ufficiali. Una scelta strategica, «per impedire a Vučić di attribuire il dissenso ai soliti partiti di opposizione, o di corrompere i rappresentanti», spiega Nadia, ma anche necessaria a proteggere gli studenti.
«In molti hanno ricevuto minacce telefoniche e vengono seguiti da poliziotti in borghese, in più di un episodio siamo stati presi di mira da macchine che speronavano i cortei per poi dileguarsi».
Le proteste avvengono nello stesso mese in cui Amnesty International ha denunciato che la polizia serba ricorre allo spyware finora sconosciuto “NoviSpy”,per infettare i cellulari requisiti durante gli interrogatori di giornalisti e attivisti.
Di fronte al malcontento, Vučić si è limitato a seguire il solito copione: ha liquidato gli studenti dicendo che non sono disposti al dialogo e non sanno cosa vogliono, e ha promesso un aumento della spesa per l’istruzione.
GIÀ L’ANNO SCORSO, lo sgomento per due sparatorie di massa aveva dato vita al movimento “Serbia contro la violenza”, che aveva inondato le piazze di cittadini stanchi del governo, e alle elezioni parlamentari i partiti di opposizione avevano dato vita a una lista comune, che non ha retto alle divergenze interne.
Secondo Dorde Pavićević, professore presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Belgrado e parlamentare del Fronte verde di sinistra (Zlf), la mobilitazione dell’ultimo mese può contare su una nuova spinta.
«Gli studenti sono i protagonisti, sanno che quello che è successo a Novi Sad poteva capitare a ognuno di loro. C’è un evidente caso di ingiustizia e malagestione, la stessa che costringe ogni anno migliaia di giovani a lasciare il Paese».
MOLTI PROFESSORI delle università sostengono le proteste, ma devono fare i conti con le pressioni dei dirigenti e la minaccia del taglio ai fondi.
«Il nostro compito è stare accanto agli studenti – racconta Jelena Kleut, professoressa presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Novi Sad – ma siamo colpiti dal silenzio dell’Unione europea (a cui la Serbia è candidata). Questa è una lotta per affermare lo Stato di diritto, contro un sistema che pensa di rimanere sempre impunito».
Gli studenti promettono che le occupazioni andranno avanti per la sessione d’esami di gennaio e febbraio. Vučić ha annunciato la più «accanita battaglia contro la corruzione dal 2000», ma secondo Nadia e i suoi compagni di studi, «è solo l’ennesima volta» che sentono dire una cosa del genere. «Non trattiamo con il governo, pretendiamo che le autorità facciano il loro lavoro».
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