Il 28 dicembre una delegazione del Partito democratico dei popoli (Dem), composta dai parlamentari Sırrı Süreyya Önder e Pervin Buldan, ha incontrato Abdullah Öcalan, leader storico del movimento curdo, nell’isola-prigione di Imrali. Si tratta del primo incontro completo con Öcalan a nove anni dal collasso dei negoziati del 2015 tra stato turco e Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), preceduto da una visita familiare tenuta a ottobre con il nipote Omer Öcalan, anche lui deputato Dem. I due deputati ricoprivano un ruolo fondamentale già negli ultimi negoziati.
Dopo l’incontro la delegazione ha rilasciato una dichiarazione cauta. Sırrı Süreyya Önder e Pervin Buldan hanno confermato che per il momento non sarebbero stati forniti ulteriori dettagli a causa della delicatezza della situazione: «Non saremo in grado di fornire informazioni alla stampa finché il processo non avrà raggiunto una certa maturità», ha affermato Önder. «Questo non significa nascondere nulla; è un requisito di rispetto per gli incontri che terremo».
«Ho sempre sperato nella pace, ma ora credo che siamo più vicini che mai a raggiungerla», ha dichiarato Pervin Buldan al giornale turco Serbestiyet.
Nel breve messaggio in sette punti riportato dalla delegazione, Öcalan si dice pronto a dare il suo contributo per una soluzione politica al conflitto, chiedendo a tutte le parti di «prendere l’iniziativa senza far prevalere i propri interessi» e affermando che la Grande assemblea nazionale turca è uno dei luoghi principali in cui questo processo dovrebbe svolgersi. Come osservato dal giornalista e analista politico curdo Amed Dicle su MedyaNews, Öcalan indica il parlamento come «uno dei luoghi», ritenendo presumibilmente che un eventuale nuovo processo di soluzione non può essere limitato al quadro parlamentare e affermando l’importanza degli attori sociali e politici che non ne fanno parte.
In un passaggio altrettanto interessante, il leader del Pkk indica il presidente turco Erdoğan e il leder del partito nazionalista Mhp Bahçeli come soggetti di riferimento di questo nuovo processo. Sempre secondo Dicle, Öcalan intende in questo modo affermare la necessità di una partecipazione del movimento curdo e dello stato turco come parti uguali.
Il leader curdo ha messo in evidenza anche il contesto regionale, in particolare i conflitti a Gaza e in Siria, come fattori che rendono urgente la necessità di un processo di pace in Turchia. «Rafforzare ancora una volta la fratellanza turco-curda non è solo una responsabilità storica, ma anche una questione di grande urgenza e importanza cruciale per tutti i popoli», afferma Öcalan. «Tutti i nostri sforzi eleveranno il paese a un livello adeguato e serviranno anche da preziosa guida per una trasformazione democratica».
L’incontro ha suscitato reazioni contrastanti nello scenario politico turco. «Uno dei nostri criteri più importanti è prendere in considerazione la sensibilità delle famiglie dei martiri e dei nostri veterani», ha dichiarato il presidente del Chp Özgür Özel. «Stiamo seguendo gli sviluppi, ma le informazioni di cui disponiamo non sono ancora sufficienti per formulare un commento approfondito».
Le ramificazioni di un possibile nuovo processo di pace oltrepassano i confini turchi: come il cessate il fuoco del 2015 permise al movimento curdo, Pkk incluso, di concentrare le sue forze nella lotta contro l’Isis, un nuovo processo di pace rimuoverebbe l’ostacolo più grande dell’Amministrazione autonoma democratica della Siria del Nord-Est (Daanes) nella partecipazione alla costruzione della nuova Siria dopo Assad, ovvero la posizione del governo turco sulla Daanes, considerata un ramo del Pkk.
Abu Mohammad al-Jolani, alla guida di Hts e leader siriano de facto, seppur chiudendo ancora una volta le porte alla possibilità di una Siria federale, che al momento non rientra tra le richieste della Daanes, in un’intervista ad al Arabiya ha affermato che ci sarebbero colloqui in corso per integrare le Forze siriane democratiche (SDF) nelle nuove forze armate siriane. Queste affermazioni contraddicono la posizione già espressa giorni fa dal ministro degli esteri turco Fidan, secondo cui alla Daanes non sarebbe stato permesso di partecipare ad alcun processo politico siriano.
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