Ciò che mi ha colpito di più in questi giorni della tragica vicenda di Cecilia Sala è il costante tentativo di mutare la realtà per piegarla a un immaginario forse più confortevole, ma certamente lontano dalla realtà: la feroce carcerazione e l’isolamento a cui è costretta Cecilia Sala, la tortura della luce accesa ventiquattro ore al giorno, l’impossibilità di avere un libro, un quaderno, un cambio di vestiti è magicamente diventato il privilegio della “cella singola” per non essere costretti a condividere il “soggiorno” con altri esseri umani.
L’arresto brutale e arbitrario di una giornalista con regolare visto giornalistico rilasciato dall’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran a Roma per svolgere il suo lavoro è stato definito, nonostante la detenzione durasse già da una settimana, soltanto un “fermo”, quasi che avesse infranto un qualche divieto stradale nelle strade di Teheran.
Si minimizza, si inventa una neolingua tranquillizzante, si sposta l’attenzione sempre altrove per non affrontare la vera questione: il terrorismo di Stato del regime di Teheran. Di questo si tratta, di terrorismo di Stato.
Gettare in una delle peggiori prigioni del pianeta, Evin, con una storia infinita di privazioni, torture e omicidi, una giovane giornalista occidentale accusata di violare non meglio precisate “leggi islamiche”, soltanto per poter aprire una trattativa, al di fuori di ogni legalità internazionale, per evitare l’estradizione negli Stati Uniti di un trafficante di droni delle Guardie Rivoluzionarie, è un atto brutale e violento di terrorismo.
Mohammed Abedini è importante per la Repubblica Islamica, perché è uno dei terminali della filiera tecnologica della produzione di droni killer, una delle poche esportazioni di “eccellenza” del regime teocratico di Teheran: quei droni che ogni notte uccidono i civili nelle città dell’Ucraina, quei droni che venivano lanciati fino a poche settimane fa da Hezbollah contro Haifa e le città della Galilea e da Hamas nel sud del Paese, gli stessi droni che le milizie Houthi utilizzano nello stretto di Bab el-Mandeb per attaccare il commercio globale.
E per ottenere la sua liberazione l’Iran non esita a fare quello che fanno normalmente i regimi: rapire cittadini occidentali, spesso giornalisti, incarcerarli, trasformarli in “ostaggi”, trasformandoli in merce di scambio per poi dare vita a quell’immondo commercio fra civili e terroristi che ha troppo spesso connotato il rapporto fra Paesi democratici e regimi dittatoriali, compresi i loro proxies di turno.
La storia di Cecilia Sala è simile purtroppo a molte altre. E fra le tante è impossibile non pensare al caso del giornalista trentaduenne americano Evan Gershkowich, corrispondente a Mosca del Wall Street Journal, arrestato con un’accusa fabbricata di spionaggio e liberato dopo cinquecento giorni di prigionia in cambio di Vadim Krasikov: un agente segreto e sicario russo che scontava un ergastolo in Germania per l’assassinio di un ex leader separatista ceceno a Berlino nel 2019 e altre sette spie russe detenute in varie carceri europee.
La solida alleanza fra Russia e Iran non si palesa soltanto nelle forniture belliche di Teheran a Mosca o nelle comuni (e fallimentari) avventure belliche in Siria, ma anche nelle tecniche di repressione del dissenso interno e nell’uso spregiudicato dei rapimenti di Stato come merce di trattativa.
L’Iran è un regime a “fine corsa” che, come molti regimi nella loro fase terminale, dà il peggio di sé. Il 2024 è stato un anno record nell’applicazione della pena di morte nel paese: ottocentottantadue esecuzioni capitali, fra cui ventisei donne e cinque minorenni, la maggior parte dei quali oppositori del regime e membri del movimento “Donna, Vita e Libertà”.
E il 2024 è stato anche l’anno che ha visto finire drammaticamente gran parte della proiezione geopolitica del regime stesso, fondata sull’esportazione sistematica di terrorismo e instabilità in tutto il Medio Oriente: la caduta del regime di Bashar al Assad ha cancellato la cosiddetta “Mezzaluna Sciita”, quell’arco fra l’Iran, Iraq, Siria e Libano, costellato di milizie terroriste e Paesi amici, armati e finanziati dalla teocrazia di Teheran; Hamas ed Hezbollah non sono più in grado di esprimere una reale minaccia militare né a Gaza, né in Libano; l’economia del Paese è in una crisi irreversibile, fra sanzioni e depauperamento delle risorse statuali per sostenere vent’anni di avventure belliche fallimentari nella regione.
Questo è il contesto in cui si colloca il sequestro di Cecilia Sala, rendendo la questione purtroppo molto complessa, con un interlocutore, l’Iran, in estrema difficoltà su molti fronti e anche per questo imprevedibile e brutale. Il governo italiano sta impegnandosi seriamente per la liberazione di Cecilia Sala e in questo momento necessita di un sostegno ampio fra le forze politiche e nel Paese.
Trattare ora è certamente la priorità assoluta, nella consapevolezza però che l’Italia, per raggiungere l’obiettivo della liberazione di Cecilia Sala, deve mettere in cantiere tutta la propria capacità politica e diplomatica insieme con i partner europei e americani fra le due sponde dell’Atlantico, per accrescere il peso negoziale nei confronti dell’Iran.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link