Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere, ma a poche settimane dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca è già scoppiata una «guerra civile», così la chiamano i giornali americani, tra i picchiatelli del Maga, Make America Great Again, e gli oligarchi di Elon Musk che si sono comprati il posto in prima fila nell’Amministrazione Trump.
I due fronti del trumpismo stanno litigando su immigrazione e meritocrazia, con i fanatici con lo scolapasta in testa che non accettano deroghe al nativismo razzista great again e i compagnucci della Silicon Valley – essi stessi immigrati (Elon Musk, Vivek Ramaswamy, Peter Thiel e Sriram Krishnan, un indiano appena scelto da Trump come suo consigliere sull’intelligenza artificiale) oppure sposati con immigrati come Trump (due volte) e JD Vance – che da miliardari e arroganti quali sono trattano come poveracci e ignoranti i fuori di testa del Maga.
Difficile dare torto agli oligarchi su questo punto, ma la parte favolosa dello scontro di imbecillità è che Musk non nasconde più il ribrezzo che prova per gli elettori trumpiani, al punto da definirli su Twitter «spregevoli scemi» che dovrebbero essere cacciati dal Partito repubblicano, resuscitando i giudizi di Hillary Clinton sul «basket of deplorables», gruppo di deprovevoli, e di Barack Obama sui «frustrati che si aggrappano alle armi e alla religione».
Vivek Ramaswamy, sodale di Musk nel neo finto ministero dei tagli alla spesa pubblica, cioè ai poveri, invece accusa la base trumpiana di essere una massa di scansafatiche e di preferire la mediocrità all’eccellenza. Trump non prende posizione, ancora. Sa che le sue fortune dipendono da entrambi i fronti, e per il momento si barcamena.
Dopo anni di fregnacce sul riscatto dei forgotten men, i dimenticati dal complotto neoliberista ordito dai liberal privilegiati, la working class trumpiana si è improvvisamente accorta di essersi consegnata ai “broligarchi”, alla congrega di miliardari tecnologici, sedicenti libertari ma in realtà reazionari e autoritari, impegnati a farsi gli affari loro, a deregolamentare la società americana, a consolidare i monopoli e ad accelerare la sostituzione etnica e meritocratica degli incapaci locali con gli immigrati capaci.
Vedremo come andrà a finire, ma è evidente che andrà a finire male, così come è certo che la questione sarà ignorata dalla falange giornalistica e politica dei saltimbanchi trumpiani nostrani, che già dovrà far finta di niente quando Trump imporrà dazi sulle merci italiane e ci costringerà a tagliare sanità, istruzione e pensioni, e ad aumentare le imposte, per pagarci la difesa e la sicurezza dall’aggressione russa alla civiltà occidentale di cui facciamo parte.
Dai volenterosi complici italiani di Trump e Putin non c’è da aspettarsi niente, se non il peggio, perché sono, se va bene, irresponsabili, oppure incapaci di intendere e di volere, o al servizio.
Ancora una volta, però, stupisce la mancanza di consapevolezza dell’altro fronte, quello cosiddetto liberale e democratico. Che continua a definirsi con gli antichi schemi destra-sinistra, o sulla parodia di quegli schemi, non capendo che prima ancora di poter imbastire un discorso pubblico su idee liberali o socialiste, su approcci conservatori o progressisti, come si faceva una volta, oggi è necessario mettere in sicurezza le fondamenta della convivenza comune, come ai tempi dei regimi totalitari del Novecento. L’Italia uscì dal Fascismo grazie all’intervento militare e poi economico angloamericano, e alla scelta degli antifascisti di destra, di centro e di sinistra di resistere tutti insieme, alleandosi in un comitato di liberazione nazionale (Cln) e poi dentro un’assemblea costituente per far nascere la repubblica democratica.
La stessa cosa dovrebbero fare, se fossero responsabili, i partiti democratici e liberali di centro, di destra e di sinistra del 2025, impegnandosi a dimenticare tutte le miserie dell’anno che si conclude.
Gli adulti del Partito democratico e della sinistra, delle liste di centro, di Forza Italia, assieme alle poche personalità credibili rimaste in Parlamento e nel dibattito pubblico, dovrebbero mettersi insieme e lanciare in un Comitato di liberazione nazionale contemporaneo per contrastare il bipopulismo; per smascherare le ingerenze delle potenze autoritarie straniere; per opporsi agli agenti del caos; per rafforzare le istituzioni democratiche europee; per depotenziare le derive autoritarie interne (legge proporzionale subito, non premierati, presidenzialismi e altre scorciatoie per finire fine l’Ungheria); per garantire libertà, diritti civili, sicurezza e welfare sociale a tutti gli italiani di nascita e di scelta; per proteggere i confini; per non abusare della leva fiscale; per sostenere i democratici ucraini, georgiani, moldavi, polacchi e baltici che già combattono in prima linea anche per difendere le nostre libertà dalle forze illiberali; per saper distinguere i regimi autoritari e le ideologie totalitarie che, spesso in alleanza tra di loro, incarcerano, rapiscono, stuprano e uccidono dissidenti, giornalisti e donne e uomini liberi, dai paesi liberi e democratici che, senza negare crimini e ingiustizie commessi, operano seguendo i principi dello stato di diritto e sotto il controllo dell’opinione pubblica.
È un programma politico, culturale e sociale minimo, necessario e urgente, su cui sarebbe facile organizzare il consenso e la resistenza. Al momento, però, non ci sono né partiti, né giornali, né movimenti, né intellettuali consapevoli del pericolo o capaci di farsene carico. Sono tutti rinchiusi nel proprio tinello, mentre la casa, la città e il mondo bruciano.
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