Capo Vaticano e le luci che fanno ombre dalla Sicilia mentre Giuseppe Berto scrive

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Pierfranco Bruni*

Capo Vaticano. L’estate è trascorsa da mesi e le ombre occupano lo scenario in una sera in tramonto. Qui Giuseppe Berto ha abitato stagioni di vita. Qui ha scritto pagine indelebili. Sulla via delle stelle si racconta la storia del brigante. Lungo le vie dei bottoni si racconta il destino di Serafino.
Tra le onde della Magna Grecia che toccano Taranto si intravede una balena o uno squalo. Tra l’immaginario e il sentire le luci provengono dalla Sicilia. Il male oscuro si chiude con la Sicilia. Di quella Sicilia che lo ha visto giovane militare. Calabria e Sicilia si intrecciano sulla collina di Capo Vaticano.
L’erba è bagnata. I giornali che ho lasciato sul davanzale nella notte sono diventati un mucchio di carta e terra. Aggomitolati come una matassa di lana con i ferri infilati tra nodi e comete.
Sembra tutto una cosa buffa nel cerchio della luna della notte precedente nel vento striato dal Tirreno.

G. Berto

Non credo che uno scrittore sa di scrivere, scrivendo, un capolavoro. Ogni libro può essere un capolavoro. Ogni vita è una storia. Che storie le nostre vite. Che vite nelle nostre storie. Penso che scrivere è scrivere soltanto. Mi sono spesso chiesto perché di un libro si parla di un capolavoro?
La critica letteraria non è affidabile fino al punto di fare una distinzione definitiva. Di Berto credo che il capolavoro sia “La Gloria”. Ma come si arriva a questo romanzo confessione? Attraverso gli altri romanzi.

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Certo. “Il male oscuro” è un libro centrale. Da ogni punta di vista. Mettersi in discussione. Questo è il punto per ogni scrittore. Il labirinto nel quale si intrecciano i fili che richiamano Arianna è un viaggio indefinito e indefinibile. Non si giungerà mai al finito di un romanzo. Lo scrittore può pensare anche che sia finito ma è l’incompiutezza che genera il dubbio, l’enigma, l’abisso, l’assurdo.

Pierfranco Bruni racconta Giuseppe Berto

Siamo tutti un linguaggio che bisogna decodificare tra l’essere e il tempo. Una continuità tra storia e non storia, tra vissuto e immaginario, tra simboli e metafore che recitano la vita che si vive, la vita che si pensa, la vita che si vorrebbe vivere, la vita in un attraversamento onirico. Se non avessimo questo ricamo la scrittura forse non avrebbe senso. Scrivere è una necessità.
La necessità di scrivere è il bisogno di abituarsi senza dimenticare neppure il silenzio. Scrivere non è silenzio. Il silenzio è la consapevolezza di aver scritto. A volte non importa cosa. Scrivere. È futile parlare di opera mondo come spesso si è detto nel corso degli anni.
Non può esistere una opera mondo. Esistere una opera solitudine. Ogni libro è una solitudine che scava nel tempo del proprio essere e del proprio tempo in una percezione del tempo stesso. L’oscuro male non potrebbe essere il calvario che si porta sul proprio solco il camminamento tragico del Getsemani?
Emisferi e sfilacciamenti di una profonda antropologia della intuizione metafisica. In quel male oscuro c’è appunto il labirinto metafisico che custodisce il mucchio di giornali e terra diventato una matassa con i ferri. Insomma c’è tanta magia, direi magaria, tra la Calabria e Giuseppe Berto.
La magaria delle onde che toccano i tramonti e fanno delle aurore il sogno che mai si dimentica. Capo Vaticano. Ora è notte. La pioggia è uno scroscio di umidità. Il verde del prato è sempre prato. Ci sono donne che danzano e chitarre che hanno ritmo arabo. Altri suoni giungono anche da lontano.
Leggo: “Appena la vidi seppi che quella terra, dalla quale si scorgevano magiche isole, era la mia seconda terra, e qui son venuto a vivere. Sto su un promontorio alto sul mare, è un panorama stupendo. E quando il giorno, dalla punta del mio promontorio, guardo gli scogli e le spiaggette cento metri sotto il mare limpidissimo che si fa subito blu profondo, so di trovarmi in uno dei luoghi più belli della terra”.
Quel promontorio è lì. In attesa di essere ascoltato. E il mare è un lungo orizzonte con il faro acceso tra il verde e l’azzurro. Domani il giorno sarà più lungo. Capo Vaticano ha le luci che fanno ombre dalla Sicilia mentre Giuseppe Berto scrive.

Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Per il Ministero della Cultura è attualmente:

• presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;

• presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;

• segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.
È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse”, presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.

Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.

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