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Presentato nelle scorse settimane il 3° Rapporto sulla salute e il sistema sanitario Eurispes-Enpam. Un quadro non incoraggiante: operatori stanchi, frustrati, in cerca di vie di fuga a fronte di un Ssn che sembra aver smarrito la via, dimenticando le priorità per cui era stato istituito

(Foto Eurispem Enpam)

Non è incoraggiante il quadro delineato dal 3° Rapporto sulla salute e il sistema sanitario, presentato nelle scorse settimane da Eurispes ed Enpam presso il Museo Ninfeo di Roma. Parla di operatori stanchi, frustrati, in cerca di vie di fuga, di un Ssn che sembra aver smarrito la via, dimenticando le priorità per cui era stato istituito, trascurando la sua forza pulsante, cioè il suo personale. Il Servizio sanitario pubblico è al tempo stesso attraversato da un cambiamento al suo interno, in termini generazionali e di genere. Al 31 dicembre 2022 il personale dipendente del nostro Servizio sanitario nazionale ammonta a 625.282 unità, in aumento dell’1,3% rispetto all’anno precedente (+8.083 unità), ma rimane la carenza cronica di personale all’interno delle strutture perché dal 2008 il numero di medici e infermieri del Ssn ha subito una graduale e costante decrescita legata a scelte di natura politica ed economica. Intanto aumenta il precariato: tra il 2019 e il 2022 il ricorso al personale a tempo determinato cresce del 44,6%.

Tra il 2014 e il 2017 – si legge nel report – l’incidenza della spesa per il personale sulla spesa sanitaria totale si riduce dal 31,4% al 30,1%. Una conseguenza dello scarso turnover è l’aumento dell’età media dei dipendenti del Ssn mentre peggiorano delle condizioni di lavoro a parità di retribuzioni. A causa del blocco del turnover che costringe gli operatori a sforzi prolungati, una survey condotta dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri evidenzia che un medico su due è in burnout (52%), e per gli infermieri poco meno di uno su due (45%).

Aumenta l’aggressività degli utenti, sempre più spesso responsabili di episodi di violenza con circa 18mila operatori coinvolti. A segnalare i due terzi delle aggressioni sono professioniste donne; la professione più colpita è quella infermieristica, seguita da medici e operatori sociosanitari. Pronto soccorso e le Aree di degenza i setting più a rischio.

In un confronto con i paesi dell’area Ocse emerge che il reddito annuale dei medici specialisti in Italia risulta di quasi il 22% più basso della media Ocse, con penalizzazioni molto forti rispetto a Svizzera, Olanda, Germania, Irlanda e rilevanti anche con Danimarca e Regno Unito.

Anche per il reddito medio annuale degli infermieri ospedalieri l’Italia si colloca oltre il 22% al di sotto della media Ocse.

Secondo il report, bassi stupendi, turni massacranti e aggressioni hanno concorso a ridurre l’attrattività del Ssn: è difficile reclutare nuovi operatori e trattenere quelli già in servizio. Chi lascia il Ssn va all’estero o nel privato alla ricerca anche di orari più flessibili, maggiore autonomia professionale, minore burocrazia. Nel nostro Paese si contano 1,8 medici ogni mille abitanti, con un’età media di 50,5 anni, dove la classe di età compresa tra 60 e 64 anni è ancora la più numerosa. Per il personale infermieristico, invece, l’età media è pari a 46,9 anni, con rapporto rispetto alla popolazione residente di 4,71 per mille, che sale al 5,04 se si considerano anche gli ospedali equiparati al pubblico. Sempre più donne medico nel Ssn ma non al vertice, dove la parità di genere sembra essere ben lontana dal realizzarsi. Se infatti le dottoresse superano il 51%, non si arriva al 20% tra i primari.

Approccio integrato e sostenibile. “Solo attraverso un approccio integrato e sostenibile sarà possibile sviluppare politiche che non si limitino alla gestione del Sistema sanitario, ma promuovano il benessere complessivo delle persone e delle comunità”, ha affermato il presidente Eurispes, Gian Maria Fara. Questo significa, ha spiegato, “proporre nuovi modelli organizzativi, approcci innovativi alla salute pubblica e paradigmi avanzati che considerino prevenzione, stili di vita e condizioni sociali come centrali per la tutela della salute, elementi fondamentali su cui iniziare a lavorare, insieme, in modo serio e concreto”.

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Rivalutare il ruolo del medico. Per Alberto Oliveti, presidente della Fondazione Enpam, la professione medica deve “riconquistare rilevanza sociale e autorevolezza. In quest’ottica, quindi, vanno rivalutati il ruolo e l’atto medico” perché è qui “il fulcro del problema. Per riappropriarci dell’ars medica dobbiamo ripartire dalla sua definizione e quindi da: scienza, coscienza e sapienza, ben consapevoli che l’intelligenza artificiale, nel suo essere pervasiva, cambierà pratiche, politiche ed etica”. Oltre a prevenire e perseguire penalmente le aggressioni – anche in flagranza differita -, secondo Oliveti occorre lavorare sulla qualità della relazione medico-paziente, attualmente “all’insegna dello stress”. Necessario quindi “insegnare l’importanza della parola e di approcci non verbali diversi per interpretare il bisogno e l’aspettativa relazionale del paziente. Perché – ha concluso – è solo nella relazione che si realizza la potenzialità assistenziale”.



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