Difficile sceglierne una, forse quella in cui domina Parigi, intrepida in posa danzereccia sulla Torre Eiffel, vestita Lucien Lelong e catturata da Erwin Blumenfeld per Vogue nel 1939? O forse quella in abito Arlecchino griffato Jerry Parnis, cristallizzata dall’obiettivo di Irving Penn, poi inconsapevole suggeritrice di una delle villains più celebri della Disney? Algida ma intensa, raffinata, dinamica e bellissima; il viso disteso da due zigomi alti e un bacino stretto fasciato da abiti principeschi paradigmatici di un’eleganza che non esiste più. Per Lisa Fonssagrives-Penn si potrebbero sprecare tutti i superlativi della grammatica e non basterebbero, poiché lei, oltre ai prodighi geni che la resero “un levriero biondo svedese” come ben la tratteggiò il fotografo David Seidner nel 1985, fu soprattutto una donna coraggiosa, una personalità poliedrica che assecondò con determinazione i suoi tanti talenti divenendo avanzi tempo l’archetipo della donna moderna.
Lisa Fonssagrives-Penn, biografia della prima supermodella della storia
Nacque nel 1911 come Lisa Birgitta Bernstone a Göteborg, in Svezia, e la moda era ben lontana dall’essere uno dei suoi interessi. Cresciuta in una famiglia con la passione per le arti, studiò a Berlino da Mary Wigman, prima di tornare a Stoccolma e decidere di aprire la propria scuola di danza. Fu Astrid Malmborg, allora celebre coreografa svedese, tra le pioniere del balletto contemporaneo, a suggerirle di partecipare ad una gara internazionale a Parigi, città di cui Lisa si innamorò e dove incontrò il suo primo marito Fernand Fonssagrives – anche lui danzatore – con cui impartì lezioni di danza private. È qui che, al culmine di una lunga giornata di lavoro, un galeotto ascensore le aprì la strada alla carriera di mannequin. S’imbatté in un fotografo, Willy Maywald, tra i privilegiati di Christian Dior e Jacques Fath che, probabilmente notando le doti fisiche così come la naturale grazia di portamento di Lisa, le chiese di posare per lui come modella di cappelli. Grazie al marito, in seguito anche lui fotografo dopo un incidente che lo costrinse ad abbandonare la danza, quegli scatti finirono da Vogue, nonché all’attenzione di Horst P. Horst che la testò con alcuni shooting.
Le prime copertine e l’inizio della carriera
“Odio la parola shooting – avrebbe poi detto la super top a Bomb Magazine nel 1985 –. Implica qualcosa di così impersonale. Non è mai stata una semplice ripresa, ma una seduta o una sessione. Ero terribilmente seria nell’essere responsabile e ho persino studiato fotografia per capire quali potessero essere i problemi. Mi mettevo davanti alla macchina fotografica su un set e concentravo la mia energia finché non riuscivo a percepirla irradiata nell’obiettivo e sentivo che il fotografo aveva l’immagine. Era un lavoro molto duro!”. E in effetti le immagini che la ritraggono, superbi scatti in bianco e nero datati tra anni Trenta e Cinquanta, sono ancora oggi un film disseminato di eleganza da copertina – 200 in tutto, per Vogue, Harpers’s Bazaar, Life, Time e Vanity Fair – che interpretano la moda dei grandi couturier con quel piglio e quel carattere che pionieristicamente smarcarono la modella dal semplice ruolo di appendiabiti che le era stato affibbiato fino a quel momento.
Lo sguardo intenso sottolineato da un make-up self-made – “nessun truccatore ha mai toccato il mio viso” –, i gesti aggraziati da ballerina, le pose tutt’altro che sterili a raccontare storie pur nella quasi totale assenza di oggetti e arredi di scena. Tant’è che Lisa Fonssagrives-Penn la fotografarono tutti: il marito Fernand Fonssagrives e il già citato Horst P. Horst, ma anche Louise Dahl-Wolfe, Frances McLaughlin Gill, George Platt Lynes, Richard Avedon, George Hoyningen-Huene e Irving Penn, il secondo marito di sei anni più giovane, sposato dopo la separazione da Fernand, una volta trasferitasi a New York al termine del secondo conflitto mondiale.
Un duo di talenti appassionati che produsse scatti divenuti leggendari: in coat drappeggiati di Balenciaga, in sinuosi abiti a sirena di Marcel Rochas, in nuvole di organza griffate Christian Dior. E del resto Lisa fu la Billion-Dollar Baby – come scrisse il Time nel 1949 all’epoca della copertina della Fonssagrives-Penn che segnò la prima volta di una modella sulla cover del magazine – la “modella di alta moda più pagata e più apprezzata del settore, considerata da molti colleghi come la più grande modella di tutti i tempi”. Una pioniera, una donna moderna che in barba ai pregiudizi (tenaci) si innamorò e sposò un uomo più giovane, una mamma lavoratrice che allestì a nursery la camera oscura in cui lei stessa sperimentava, una top model che non ebbe paura, nella sua seconda parte di vita, di reinventarsi designer, pittrice e scultrice di inusuali mélange di bronzo, marmo e fibra di vetro che le valsero l’esposizione in alcune delle gallerie più famose dell’epoca.
Lisa Fonssagrives-Penn, Fashion Icon: un volume omaggia la prima super top della storia della moda
Una donna indipendente e coraggiosa, da poco omaggiata da un nuovo libro che, pubblicato a fine ottobre da Skira, ne documenta la poliedrica vicenda. Lisa Fonssagrives-Penn, Fashion Icon è un distillato di memorabili scatti – 150 in tutto – alcuni dei quali inediti che, con una prefazione scritta da Simone Baker, direttore della Maison Européenne de la Photographie, contiene testi della giornalista di moda Laurence Benaïm e dello scrittore e curatore Vince Aletti, nonché un’intervista del 1985 al defunto fotografo David Seidner, tutti volti a tratteggiare la vita del “soggetto delle più grandi fotografie di Vogue”, come la descrisse l’allora direttore artistico della rivista Alexander Liberman. Mitologiche immagini che raccontano di una donna da scoprire; un’icona della moda che sarebbe un peccato definire banalmente “musa”.
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