Franco Guarino. Sempre pronto a battersi per il diritto-dovere di informare

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 





0





0

Franco lo ricorderò così con una telecamera palmare a riprendere persone e paesaggi, questa volta non per un reportage ma per mantenere il ricordo di una breve vacanza. Una pausa prima di ripartire per uno dei suoi innumerevoli viaggi ai confini del mondo e dell’umanità. Franco Guarino non era solo un giornalista e un inviato, anche se lui aveva declinato la professione nel più nobile dei modi. Era un guerriero del servizio pubblico. Sempre pronto a battersi per il diritto-dovere di informare. A qualunque costo. I social sono pieni (mai abbastanza per una volta) delle sue foto scattate nei posti più impensabili quando viaggiare non era facile come ai nostri giorni. In auto, in moto, a piedi, in nave, a cavallo. Sempre pronto, sempre disponibile. Una sacca sulle spalle, qualche abito di ricambio, il passaporto, qualche attrezzo da ripresa e una missione: capire gli altri uomini, le storie, i costumi di chi era diverso da noi. E tanto più gli scenari erano complessi tanto più lo attiravano. Con il sostegno di uno dei più grandi giornalisti italiani e maestro di tante generazioni, Roberto Morrione, nostro amico e fratello, metteva a punto un reportage, un progetto di inchiesta e via alla ricerca di un pezzo di verità senza guardare a difficoltà e rischi. Pioniere coraggioso come i grandi inviati che hanno solcato le vie del mondo. Nulla lo fermava, né il freddo polare dei ghiacciai, né l’arditezza delle vette da 8000 metri, né le armi dei combattenti afghani o del Sahara occidentale, né i boss della mafia messicana, italo-americana, i trafficanti di eroina e droga, né le difficoltà della lingua fra i popoli più isolati che vivono in Amazzonia, e il cui rifugio avrebbe protetto col silenzio fino alla morte. Franco Guarino, Frank, come lo chiamavamo noi, sulla scia del nomignolo ideato da Morrione, aveva sempre una straordinaria capacità di vedere lontano e prima degli altri. Il suo segreto era il più semplice che si possa immaginare: studiava. Carte, documenti, libri. Dialogava con intellettuali e gente comune. Si preparava e poi partiva perché non c’è giornalismo se non seguendo la vecchia regola dei nostri maestri: andare, vedere, raccontare. E nessuno, almeno fra i miei conoscenti di una quarantennale carriera giornalistica, ha visto quello che hanno visto i suoi occhi. Sempre modesto. La sua storia era quella di un ragazzo del sud che aveva inseguito una passione divorante per i viaggi e la conoscenza, che si era trasformata poi in una professione da reporter e freelance. Ha avuto sempre contratti di collaborazione. Mai un’assunzione che si sarebbe meritato come nessun altro. Ma non se ne adontava. Anzi ci rideva sopra. Diceva che questo gli aveva consentito di essere ancora più libero. Abbiamo collaborato per alcune inchieste dure sulla mafia, sui suoi legami internazionali (che approfondiva e aggiornava con una sapienza rara) e le sue complicità politiche, per altri speciali sui problemi e le tensioni nel Mediterraneo. Negli ultimi decenni aveva colto ancor prima che diventasse opinione comune e condivisa la gravità della crisi climatica e aveva cominciato a collaborare con le trasmissioni scientifiche e soprattutto si era dato il compito di informare le nuove generazioni sui rischi che correva il pianeta. Andava nelle scuole per raccontare la complessità e spingere i giovani a non arrendersi di fronte alle difficoltà.

In un tempo senza google maps e navigatori aveva attraversato le strade di tutti i continenti. Solcato i mari più tempestosi e placidi. Parlato con genti di tutte le razze e le religioni con il suo vocabolario originale fatto di tante lingue e tanti dialetti e della gestualità che il sud ci consegna alla nascita nel Dna. Ovunque veniva accolto, quasi sempre bene. Si sedeva alle tavole più umili. Fumava sigarette e narghilè se questo serviva a cementare relazioni e poter cogliere l’essenza dei popoli da riproporre poi ai telespettatori. Si definiva un esploratore – reporter. Avrebbe meritato una cattedra di antropologia e poteva stare ore a parlare di geopolitica. Sono testimone della sua padronanza di strade e paesi. Anche a distanza di anni era in grado di disegnare la geografia dei luoghi come se fosse appena tornato da un viaggio. Intratteneva senza vantarsi. Sminuiva i rischi corsi. Pensavamo sempre a nuovi progetti di reportage anche dopo la malattia che lo ha colpito mentre era lontano da casa. Nel Saharawi, dove era andato nonostante l’età e le sofferenze a documentare la resistenza dei popoli berberi. Quel colpo non lo aveva vinto e seppure con le difficoltà di movimento e di parola, ha continuato a combattere la giusta battaglia. Bloccato negli ultimi mesi a casa lavorava incessantemente al suo archivio. Riempiva gli hard disk di foto e immagini grezze dei suoi viaggi. Sperava che diventassero patrimonio pubblico. In tanti sono stati disattenti con Franco. Lui non ha reclamato diritti e nessuno ha avuto la coscienza di riconoscergli quanto gli si doveva. Solo negli ultimi mesi, grazie alla mobilitazione di alcuni colleghi ha ottenuto dallo stato italiano il vitalizio della legge Bacchelli per i meriti conquistati sul campo. Pur non sbandierandolo al mondo aveva scoperto le fonti del Po e del Nilo. Aveva risalito con poveri mezzi molti dei grandi corsi d’acqua perché sapeva che lì si trovava la vita e la storia degli uomini. Amava Colombo e la sua avventura. Forse ci si ritrovava. E a suo modo, almeno per il giornalismo italiano un po’ Colombo Frank lo è stato. In questi ultimi giorni la sua malattia si è aggravata ed è stato ricoverato in ospedale. Non gli piaceva. Detestava le costrizioni. Non sopportava la burocrazia che teneva in ostaggio la vita degli uomini senza migliorarne la qualità dell’esistenza. Ma era paziente. Sempre un pensiero gentile per i miei affetti e i miei figli a cui voleva bene. Chiacchierava con loro alla pari. Non c’era un giovane, uno studente che non lo considerasse più un amico che un maestro. Noi, la grande famiglia degli inviati e dei reporter, di quanti hanno sempre solcato le vie alla ricerca dell’umanità e del senso del male, gli dobbiamo moltissimo. Frank uomo buono e giornalista valoroso, esploratore e conoscitore come pochi del mondo e dei popoli, ci mancherà moltissimo. Spero che Art. 21 faccia in modo di non farlo dimenticare come non lo dimenticheranno i suoi amici più cari e lo faccia diventare patrimonio comune del nostro mondo professionale.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21





Source link

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link