Arresto Sala in Iran, il governo lavora “per portarla in Italia il prima possibile”

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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

Sala ha parlato con la famiglia e sta bene, hanno assicurato le autorità italiane. Si chiede discrezione per portare avanti una trattativa, come fatto per un’altra italiana nel 2022. Il sospetto che l’arresto della giornalista si intrecci con quello di un trafficante iraniano nei giorni precedenti

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L’Italia segue con attenzione la vicenda di Cecilia Sala “al fine di riportarla al più presto a casa”, si legge in un comunicato emesso sabato dal governo italiano, e con questo obiettivo “ha avviato tutte le possibili interlocuzioni e con la necessaria cautela”.

L’incarcerazione lo scorso 19 dicembre nella prigione di Evin a Teheran di Sala, 29 anni, viene seguita con molta partecipazione in Italia. Sala è infatti corrispondente del Foglio, una presenza frequente nelle tramissioni televisive e l’autrice di un podcast molto seguito, Stories, per cui aveva pubblicato tre puntate da Teheran prima del suo arresto il 19 dicembre scorso.

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“Il governo dal giorno in cui è stata fermata lavora per cercare di portarla Italia”, ha assicurato sabato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

“Sala ha già parlato due volte con i genitori e ha ricevuto una visita consolare per circa mezz’ora. Viene tenuta in cella singola, è nutrita e in condizioni dignitose. Adesso riceverà beni di prima necessità”, ha proseguito Tajani secondo cui non è possibile al momento stabilire dei tempi per la liberazione della giornalista, pur chiedendo discrezione per una trattativa diplomatica con l’Iran.

I primi contatti di Sala dal carcere e la visita dell’ambasciatrice a Teheran

L’ambasciatrice Paola Amadei ha fatto visita a Sala venerdì nel carcere di Evin. Si sono incontrate in una piccola stanza, sedute una di fronte all’altra separate. È stato chiesto loro di parlare in inglese, mentre le guardie ascoltavano. La giornalista è apparsa in buone condizioni fisiche, anche se mentalmente stressata e consapevole della difficile situazione in cui si trova.

Da quando è in arresto, la giornalista ha potuto chiamare la madre e il compagno a cui ha spiegato di stare bene fisicamente ed esortato le autorità italiane a muoversi rapidamente per cercare di risolvere il caso.

“Stanno arrivando tantissimi messaggi di solidarietà rivolti a Cecilia. Appena sarà possibile, saprà di tutto questo affetto” ha scritto sabato su Instagram il compagno della di Sala, il giornalista Daniele Raineri.

“Cecilia Sala è andata a lavorare in Iran con un visto giornalistico”, ha scritto il collega, “e il penultimo giorno è stata arrestata dalle autorità iraniane e rinchiusa in una cella di isolamento. La prima visita in carcere è stata consentita solo dopo otto giorni”.

La ricostruzione di Chora Media dei giorni di Sala in Iran

“Da giovedì mattina, da quando abbiamo perso le sue tracce, siamo tutti uniti con un unico obiettivo: riportare Cecilia a casa il prima possibile”, ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera, Mario Calabresi, direttore di Chora Media che produce il podcast di Sala.

“Inizialmente la speranza era che la cosa si risolvesse in fretta, per questo siamo stati in silenzio per una settimana. Una cosa buona dell’Italia è che non abbandona mai i suoi cittadini” ha detto Calabresi che era il direttore de La Stampa quando il giornalista Domenico Quirico fu rapito in Siria nel 2013.

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Chora ha allertato l’Unità di Crisi della Farnesina il 19 dicembre, dopo che Sala non aveva rispettato una scadenza per il podcast. Le preoccupazioni sono state confermate il giorno successivo, quando Sala non si è imbarcata sull’aereo per tornare in Italia, anche se la notizia è stata resa pubblica solo una settimana dopo.

Non c’è ancora un’accusa ufficiale per Cecilia Sala, che era arrivata a Teheran il 12 dicembre. È riuscita a pubblicare tre puntate di Stories, con le interviste a Hossein Kanaani, uno dei fondatori delle Guardie Rivoluzionarie, e Zeinab Musawi, una comica iraniana arrestata per avere fatto battute sulla vita dei detenuti.

Sala ha incontrato Musawi il 18 dicembre, un giorno prima del suo arresto.

La vicenda di Sala si incrocia con l’arresto di un trafficante di droni iraniano

Pochi giorni prima dell’arresto di Sala a Teheran, un cittadino svizzero-iraniano è stato arrestato il 16 dicembre all’aeroporto di Milano Malpensa.

Mohammad Abedini-Najafabadi, un tecnico di 38 anni, era ricercato dalle autorità americane dopo essere stato accusato da un tribunale di Boston di “associazione a delinquere finalizzata alla violazione dell’International Emergency Economic Power Act e per aver fornito supporto materiale a un’organizzazione terroristica straniera”.

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Secondo l’accusa, Abedini-Najafabadi ha creato nella Federazione Elvetica una società di comodo (“Illumove Sa”) attraverso la quale, tra l’altro, ha trafficato con droni utilizzati dai Pasdaran della Guardia Rivoluzionaria. Alcuni di essi sono stati utilizzati nell’attacco del 28 gennaio a una postazione militare in Giordania, che ha ucciso tre soldati statunitensi e ne ha feriti altri 40.

Un suo presunto complice, Mohammad Sadeghi, 42 anni, è stato arrestato nelle stesse ore negli Stati Uniti. Il governo di Teheran ha protestato formalmente contro i due arresti, convocando sia l’ambasciatore svizzero in Iran (che cura anche gli interessi statunitensi) sia un diplomatico italiano. Il console iraniano in Italia ha visitato Abedini-Najafabadi in carcere e ha caldeggiato il suo ritorno in un carcere in Lombardia (ora in quello di Opera a Milano), dopo il trasferimento in Calabria.

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Le reazioni nell’Ue all’arresto di Sala

Venerdì una portavoce della Commissione europea per la politica estera, Anouar El Anouni, ha assicurato che l’Ue sta “seguendo da vicino” la situazione di Sala, considerata “sensibile”.

L’europarlamentare di Renew, Sandro Gozi, ha chiesto invece all’Italia e all’Unione europea di agire immediatamente per la liberazione della giornalista. Stessa richiesta del direttore di Reporters Senza Frontiere (Rsf), Thibaut Bruttin, che ha chiesto il “rilascio immediato” di Sala.

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I media italiani hanno pubblicato sabato alcune interviste ad Alessia Piperno, una blogger arrestata nel 2022 durante un viaggio in Iran e che ha trascorso 45 giorni a Evin.

“A Cecilia Sala dico di tenere duro come ho fatto io per 45 giorni” ha dichiarato sabato Piperno al quotidiano La stampa, ”nel carcere di Evin come stranieri non subiamo danni fisici, ma mentalmente ti mettono a dura prova. So qual è il terrore di stare in una cella da soli”.

”Eravamo in sette in una cella di quattro metri per due. Mi davano pomodori marci da mangiare e per scacciare la paura della morte contavo le lucine sul soffitto. Erano 628, accese tutto il giorno sulle nostre teste e sulle nostre vite”, ha raccontato Piperno.

“Quando arrivi nel carcere di Evin ti prendono tutto, ti danno dei documenti in farsi da firmare che io mi sono rifiutata di fare, spero lo faccia anche Cecilia. Poi ti chiedono le password di tutti i tuoi social e delle tue email. Bloccano anche Whatsapp. Ti interrogano con la faccia al muro e ti bendano anche per 12 ore” ha concluso la blogger.

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Piperno è stato liberata dopo una lunga trattativa del ministero degli Esteri e dei servizi segreti italiani con le controparti iraniane.



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