Il 15 dicembre 2022, il Brasile ha sfiorato l’abisso. Un piano orchestrato dall’ex presidente Jair Bolsonaro e da 36 complici prevedeva non solo un colpo di stato, ma anche l’assassinio di figure chiave del governo eletto, tra cui Luiz Inácio Lula da Silva, Geraldo Alckmin e il giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes. Il piano, fallito, è stato svelato in un rapporto di 884 pagine che sintetizza due anni d’indagini della Polizia Federale. Tutti, incluso Bolsonaro, sono stati formalmente accusati di aver partecipato attivamente a un complotto per destabilizzare la democrazia brasiliana.
Questo episodio non è un fatto isolato, ma il sintomo di una ferita mai rimarginata: l’impunità che circonda i crimini della dittatura militare brasiliana (1964-1985). È questo clima di negazione che ha permesso a Bolsonaro di legittimare il passato autoritario, creando un contesto in cui immaginare un golpe rimane ancora possibile.
A differenza di altri paesi sudamericani che hanno affrontato il proprio passato autoritario, il Brasile ha scelto la strada del silenzio. La legge sull’amnistia del 1979, concepita inizialmente per garantire una transizione pacifica verso la democrazia, ha finito per proteggere militari e agenti dello Stato responsabili di torture e omicidi, bloccando per decenni qualsiasi tentativo di perseguirli legalmente. Questa legge si è trasformata in un ostacolo alla verità e alla giustizia, contribuendo a creare un clima di negazione, in cui i crimini della dittatura sono stati minimizzati o persino giustificati.
Bolsonaro, con le sue dichiarazioni provocatorie e l’ammiccamento al regime militare, ha rappresentato pienamente questa cultura negazionista. Ammiratore dichiarato della dittatura, ha più volte elogiato figure come il colonnello Carlos Alberto Brilhante Ustra, noto torturatore, e affermato che il regime avrebbe dovuto «uccidere di più», ridimensionando la gravità della repressione contro i dissidenti.
Il passato non passa
«Nel nostro Paese non c’è stata giustizia di transizione, ma di transazione», afferma Jair Krischke, attivista per i diritti umani e fondatore del Movimento de Justiça e Direitos Humanos (MJDH). «Con il debito estero in aumento e l’inflazione fuori controllo, i militari compresero che era giunto il momento di cedere il potere, ma lo fecero alle loro condizioni, proteggendosi con l’amnistia. Questo compromesso bloccò ogni possibilità di fare giustizia e rafforzò la cultura dell’impunità . In Brasile il passato non passa», sottolinea.
Un esempio emblematico della difficoltà di superare questa impunità è visibile nei numeri: delle più di 50 denunce contro torturatori e assassini di Stato, la maggior parte è stata archiviata o ignorata. Così come sono state ignorate le due condanne inflitte al Brasile dalla Corte interamericana dei diritti umani. La prima, nel 2010, riguardava i crimini commessi durante la guerriglia dell’Araguaia, mentre la seconda, nel 2018, fu per l’omicidio del giornalista Vladimir Herzog. Entrambe evidenziano come la legge di amnistia ostacoli indagini e processi.
Fino al 2021, l’unico processo contro torturatori della dittatura brasiliana si è celebrato in Italia, nell’ambito del processo Condor che ha condannato 14 torturatori sudamericani. I quattro brasiliani coinvolti morirono prima della sentenza definitiva, lasciando il paese con l’amaro in bocca per un’opportunità mancata di fare giustizia.
Torture anche ai bambini
La prima condanna è arrivata solo nel 2023, quando un tribunale brasiliano ha riconosciuto la responsabilità del colonnello Ustra – quello elogiato da Bolsonaro – per le torture inflitte a Maria Amélia de Almeida Teles e César Teles, militanti del Partito comunista brasiliano, nel 1972. I loro figli, Janaina ed Edson, allora di 5 e 4 anni, furono costretti ad assistere alle atrocità . Amelinha trascorse 11 mesi in carcere, mentre suo marito vi rimase per 4 anni.
Janaina, oggi docente di storia all’Università dello Stato di Minas Gerais (UEMG), si dedica alla promozione della memoria, della giustizia e della verità . «La legge dell’amnistia ha escluso la responsabilità dei torturatori, rendendo difficile per le vittime ottenere giustizia e perpetuando una cultura di rimozione e oblio», sottolinea la professoressa.
A passi lenti
In Brasile, tutto ciò che riguarda la memoria e la riconciliazione storica fatica a concretizzarsi. Il Paese ha impiegato 27 anni per trovare il coraggio di istituire una Commissione nazionale per la verità (Cnv), incaricata di indagare sui crimini di Stato commessi durante il regime militare. Voluta dall’ex presidente Dilma Rousseff, ex militante politica e vittima della dittatura, la Commissione ha documentato 434 vittime, tra morti e desaparecidos, identificato 377 responsabili di torture e omicidi, e formulato 29 raccomandazioni per promuovere giustizia, risarcimenti e riforme istituzionali. Tuttavia, a dieci anni dalla pubblicazione del suo rapporto finale, molte di queste raccomandazioni restano ancora inattuate.
Nonostante ciò, Pedro Dallari, professore dell’Istituto di Relazioni internazionali dell’Università di San Paolo ed ex coordinatore della Cnv, evidenzia l’importanza storica del lavoro svolto dalla Commissione. «Il rapporto della Cnv rimane un punto di riferimento fondamentale per il recupero della memoria storica brasiliana. Un esempio significativo è il richiamo alla Commissione nel finale del celebrato film candidato all’Oscar, Siamo ancora qui, del regista Walter Salles, dedicato alla vita della famiglia di Rubens Paiva dopo la scomparsa e l’assassinio dell’ex deputato», afferma Dallari. La pellicola è nella shortlist all’Oscar 2025 nella categoria miglior film internazionale.
Alla luce dei recenti eventi politici, il valore del rapporto della Cnv appare ancora più rilevante, osserva il professore. «La prima raccomandazione della Cnv richiedeva una responsabilizzazione istituzionale delle Forze armate per le violazioni dei diritti umani, persino prima di quella degli agenti statali. Il mancato rispetto di questa raccomandazione è la causa principale della persistente inclinazione antidemocratica delle Forze armate, emersa nel dicembre 2022 e potenzialmente destinata a riemergere in futuro», sottolinea Dallari.
Il tentativo di colpo di Stato ha evidenziato quanto la cultura dell’impunità sia profondamente radicata nella politica brasiliana. Oggi, coloro che hanno cercato di sovvertire la democrazia con il piano golpista smascherato dalla polizia tentano di sfruttare la legge sull’amnistia per sfuggire alle proprie responsabilità .
Questo atteggiamento rende ancora più urgente una revisione della legislazione, soprattutto considerando che numerosi crimini commessi durante la dittatura sono tuttora sconosciuti o non denunciati.
Come ha spiegato Krischke, «è necessaria una volontà politica autentica, non un semplice simulacro di difesa della democrazia, ma una difesa radicale. Le cicatrici lasciate dalla violenza politica non si rimargineranno mai se il Paese non intraprenderà un vero e proprio percorso di giustizia».
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