Peccato che l’acqua non si possa impacchettare, con la carta da regalo e il fiocco come si deve. Ma è arrivata come un dono, un dono prezioso, l’acqua. Finalmente. Siamo a Caltanissetta, quartiere Poggio Fiorito. Questa estate gli abitanti del luogo sono stati involontari protagonisti di una specie di nuovo record mondiale: sessantaquattro giorni senza acqua corrente. Gran girare di autobotti e bidoncini, erogazioni a singhiozzo, flebili rivoli notturni per dare un velo di speranza alle cisterne assetate.
Poi qualche giorno fa, il miracolo. Vincenzo, sessantaquattro anni, è stato il primo ad accorgersi di quello che stava accadendo, e il suo racconto sembra quasi ai confini della realtà: «Mi sono svegliato presto, come al solito, e mentre facevo colazione in cucina ho sentito un rumore strano provenire da giù». Vincenzo, quando lo racconta, al telefono, lo fa pure, il rumore. È una specie di zeta prolungata e mezza silenziosa, un ronzio flebile … zzzzz … zzzz. Un rumore che era familiare, ma diverso. Cos’era? «Dopo un po’ ho capito: era il contatore condominiale dell’acqua che girava». La rotellina faceva i suoi giri. Ma se la rotellina gira … «vuole dire che c’era l’acqua!». E insomma, Vincenzo scende giù, controlla il cisternone condominiale. C’è l’acqua. Davvero. Un cannolo esile. Ma c’è. «Per la gioia ho avvisato tutti nel gruppo che abbiamo creato su WhatsApp per gestire l’emergenza. Non lo sapeva nessuno». È stata una bella sorpresa. L’acqua stava arrivando nelle vie del quartiere.
Ma le notizie buone non arrivano per tutti. Se a Caltanissetta, infatti, si respira, ad Agrigento, capitale italiana della cultura 2025, dove, pur di non avere distrazioni, la Regione ha deciso di rinviare di un anno le elezioni amministrative, non ci sarà nessun turno straordinario di erogazione idrica per le feste. Ci sarà il capodanno in televisione, certo, con il concerto de Il Volo registrato nella Valle dei Templi a Ferragosto con il pubblico costretto a indossare il cappotto con l’afa (costo alla Regione: ottocentomila euro). Ma l’acqua no. Non farà i turni festivi.
Acqua, dunque, ogni lunghissimi venti giorni, as usual, ormai, da queste parti. Che poi i venti giorni sono nominali, è un’indicazione di massima. Diciamo che è una puntualità che vale per i quartieri del centro. Per le periferie i turni arrivano anche a superare il mese. Anzi, dal comitato cittadino che da mesi protesta in tutte le sedi e le forme fanno sapere che «la situazione rispetto all’estate passata è addirittura peggiorata». In molti, qui, contavano sulle piogge abbondanti delle ultime settimane per avere sollievo, ma in realtà non cambia nulla.
E più ci si allontana dai capoluoghi verso l’interno, più la situazione si fa seria. C’è un paese simbolo di tutto questo. È Racalmuto, cittadina nota per aver dato, nel 1921, i natali al grande Leonardo Sciascia. Non è uomo di lettere, come il suo illustre concittadino, il sindaco Calogero Bongiorno. Ma un lettera ha dovuto scriverla lui, qualche giorno fa, e non a Babbo Natale o a Gesù Bambino, ma a tutte le istituzioni di ogni ordine, grado e latitudine. Parla a nome dei settemilacinquecentocinquanta abitanti, esasperati da una «gravissima crisi che nelle ultime settimane si è ulteriormente aggravata, con una insostenibile turnazione», scrive. «La situazione è assolutamente insopportabile – continua Bongiorno – e i cittadini sono in grande agitazione, e le proteste assumono toni preoccupanti. Giornalmente, infatti, il sottoscritto e gli assessori vengono apostrofati con toni molto aspri, pur se giustificabili»,
Gli scenari descritti dal sindaco disegnano un presepe misero: «Da qualche settimana, specialmente nel centro storico dove non esistono cisterne, la situazione è drammatica, mi viene segnalato che anziani allettati e disabili vengono lavati con acqua minerale. Tutto ciò non è una situazione da Paese civile e sta creando gravissimi problemi igienico-sanitari, con rischi di epidemie, oltre che un probabile rischio per l’ordine pubblico e per l’incolumità degli amministratori».
Racalmuto è davvero un contesto indicativo su come la Regione Sicilia abbia affrontato l’emergenza siccità in questo 2024. La maggioranza di centrodestra che governa l’isola tira fuori dal cilindro soluzioni abbastanza sorprendenti. L’ultima, decisa con la manovra finanziaria estiva e che ora ha trovato attuazione, è niente di meno che un bonus lavastoviglie. Ogni tanto sembra di vivere in una puntata di “Ok, il prezzo è giusto”. È come se fosse una promozione continua.
Fino al 15 gennaio, in pratica, chi acquista una lavastoviglie, ottiene dalla Regione un bonus di duecento euro. Attenzione, però, l’offerta è limitata. Ci sono solo duecentomila euro per l’iniziativa. Quindi, come nelle televendite, potremmo accontentare solo le prime mille telefonate. Ah, astenersi pregiudicati: l’avviso della Regione, infatti, specifica che «non bisogna aver riportato condanne penali». Ai giusti la lavastoviglie, ai galeotti la pila, il sapone e la spugna (e perché non togliergli anche l’acqua calda?). Chissà quanto sarebbe piaciuto a Sciascia tutto questo. Perché, nel frattempo, nel suo paese, Racalmuto, il sindaco, sempre in quella famosa lettera aperta, mette in fila le cose che non vanno, e che, mutatis mutandis, sono uguali ai disagi degli altri comuni isolani. Altro che lavastoviglie.
La rete idrica è una catastrofe, ma il Comune non può intervenire, perché è di competenza della Società d’Ambito. Come tutti i primi cittadini, il Sindaco ha le mani legate. Non lo autorizzano neanche per gli interventi straordinari. Non solo. Sono stati individuati tre pozzi, ma i lavori per l’escavazione non sono stati realizzati. «Avevamo chiesto di nominare il Comune di Racalmuto soggetto attuatore, per accelerare la realizzazione, ma la competenza è stata assegnata sempre alla Società d’Ambito», denuncia il primo cittadino. E anche se è Natale, di fronte all’emergenza idrica, i buoni sentimenti vanno a farsi benedire, perché la siccità è una guerra tra i poveri, e così tra i Sindaci siciliani si fanno la spia l’un l’altro. Scrive sempre il sindaco di Racalmuto: «Da notizie acquisite in via informale, nei paesi del circondario i turni di fornitura di acqua sono notevolmente più corti, in alcuni casi dimezzati, rispetto a quelli di Racalmuto».
La guerra tra poveri . Basta spostarsi di pochi chilometri. Santo Stefano di Quisquina. Quattromila abitanti, l’immancabile eremo, i formaggi buoni. E un pozzo, il “pozzo di Monnafarina” che da tempo immemore disseta la popolazione del luogo e che ha messo al riparo il paese dalla siccità. Fino a quando, sempre la società d’ambito e la Protezione Civile ci hanno messo le mani sopra: quel pozzo serve a tutti, bisogna realizzare una condotta che porti l’acqua anche agli altri Comuni. Ne è nata una sommossa popolare, guidata dal primo cittadino, al grido di «Nessuno tocchi le nostri sorgenti».
Gli storici locali ricordano che non è la prima volta che Santo Stefano resiste all’assalto di chi vuole i suoi pozzi. Già un secolo fa si disse no, nel 1921, alle Ferrovie dello Stato, così come a industrie e altri enti. Come finirà lo deciderà non il Tribunale amministrativo regionale, che si è dichiarato incompetente a trattare il contenzioso, ma il “Tribunale Regionale delle Acque pubbliche della Sicilia”, per il quale, di questo passo, si prevede un 2025 di gran daffare.
I magistrati sperano, come tutti, nel perdurare delle piogge di questi giorni, che stanno dando respiro a dighe e bacini, calmando un po’ gli animi. Una carezza di Gesù Bambino per placare la sete dei siciliani magari per le feste. Poi si vedrà.
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